Obama: "Penso che sia giunto il momento di parlare!"
Gli ayatollah iraniani: "Grande idea! Ma prima puoi passarci quell'arnese?"
Cari amici,
si discute molto, come sapete, del discorso che Netanyahu è stato invitato a fare al Congresso degli Stati Uniti, della violentissima reazione di Obama, della mancanza di lealtà della sinistra israeliana che si è accodata a Obama anche questa volta contro gli interessi nazionali fondamentali di Israele, in cambio di un po' di appoggio elettorale dall'estero. Netanyahu farebbe bene a rinunciare a parlare, dicono alcuni da quella parte, per non rovinare il rapporto con gli Usa, come se questo dipendesse dalla “buona educazione” del Primo Ministro di Israele e non da una linea ideologicamente marcata fin dall'inizio della presidenza Obama, o ancor prima dalla formazione del futuro presidente in ambienti islamici del Kenya (dove suo fratello è membro della Fratellanza Musulmana) o dai suoi contatti con ambienti estremisti durante gli studi a Harvard e i primi anni della politica a Chicago. Pensate che il New York Times ha dovuto ammettere che il pretesto fondamentale di Obama per definire il discorso di Netanyahu come una violazione del protocollo, e cioè il fatto di non esserne stato avvertito prima, si è rivelato un falso clamoroso (http://www.breitbart.com/big-journalism/2015/01/30/new-york-times-forced-to-correct-netanyahu-timeline/), senza che i media, compreso lo stesso New York Times, smettessero la loro campagna contro Netanyahu. La ragione è che l'amministrazione Obama ha deciso di fare dell'accordo di “condominio” del Medio Oriente con l'Iran (così Indyk: http://www.brookings.edu/blogs/order-from-chaos/posts/2015/02/17-return-to-great-game-in-middle-east-indyk) il proprio obiettivo politico centrale e Netanyahu è in grado di spiegare all'America, prima che l'accordo sia concluso alla fine di marzo, quando esso sia pericoloso per il mondo, non solo per Israele, rischiando di rompere le uova nel paniere a Obama anche con la sola domanda: se questo accordo è buono o anche accettabile, perché ne tengono segreti i termini? (http://www.jpost.com/Israel-News/Netanyahu-If-theres-a-good-nuclear-deal-with-Iran-then-why-hide-it-391235).
Martin Indik Barack Obama
Ma non bisogna mai guardare solo il dito che indica la luna, quel che conta è la luna, cioè gli obiettivi dell'Iran. E questo vi voglio mostrare qui, con una citazione che risale, pensate, a più di 14 anni fa, al 14 dicembre 2001, quando in Iran il presidente era un altro “moderato”, il padre politico dell'attuale presidente Rouhani, cioè Akbar Hashemi Rafsanjani. Ecco cosa disse in quell'occasione Rafsanjani, in un momento di insolita sincerità. Leggete e per favore meditate attentamente:
"Se un giorno il mondo islamico fosse dotato anch'esso di armi come quelle che Israele possiede ora, allora la strategia degli imperialisti collasserebbe perché l'uso anche di una sola bomba nucleare all'interno di Israele distruggerebbe tutto. Una bomba potrebbe invece solo fare qualche danno al mondo islamico. Non è irrazionale contemplare una tale eventualità." (http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/16489).
Akbar Hashemi Rafsanjani
Questo è il punto della situazione. Una sola bomba atomica moderna piazzata fra Tel Aviv e l'aeroporto Ben Gurion potrebbe fare uno o due milioni di morti immediati e ferirne altrettanti, sui sei milioni di ebrei israeliani, distruggere il centro industriale del paese, la sua direzione strategica (il ministero della difesa è a Tel Aviv) e i suoi assi di spostamento, lasciando il resto all'assalto di Hamas, Fatah, Hezbollah, che completerebbero l'opera. E' vero che ci potrebbe essere una reazione israeliana cento volte più forte, con missili dai sommergibili e da terra, bombardamenti aerei e altro. Ma “il mondo islamico”, dice Rafsanjani, sarebbe disposto a sopportare i danni. E di fronte a questa asimmetria non ci sarebbe protezione americana che tenesse (la promette ancora Indyk: http://www.timesofisrael.com/ex-envoy-us-should-offer-israel-nuclear-guarantee-to-cool-iran-fears). Una volta che la bomba ci fosse, potrebbe essere portata sull'obiettivo con un missile (l'Iran ne ha già più che capaci di superare la distanza, Israele lavora da anni a una difesa spaziale analoga a Iron Dome, ma non è detto che basti), per via di mare, anche con un minisommergibile; potrebbe esser contrabbandata oltre al confine per via di terra e fatta esplodere da attentatori suicidi che non mancano.
Hassan Rouhani Ruhollah Khomeini
Insomma, l'America di Obama gioca con l'Iran un “big game”, come lo definisce Indyk; se sbaglia questa mossa, come a me sembra chiaro, perde solo la sua influenza strategica, che Obama ha già abbondantemente rovinato. Israele deve difendere la sua vita e se sbaglia non ha una seconda occasione.
Ma soprattutto la citazione di Rafsanjani mostra che vi è un programma iraniano di lunga durata, che dura da ben prima del 2001, dai tempi di Khomeini, per dotare il paese dell'atomica e quale sia il calcolo strategico dietro a questo sforzo immane. Dopo la fine della guerra con l'Iraq (finita nell'88, 27 anni fa) l'Iran non ha nemici convenzionali che ne minaccino l'esistenza, al massimo deve fronteggiare dei tentativi di rovesciare il regime degli ayatollah. Oggi, senza atomica, l'Iran controlla l'Irak, buona parte della Siria e del Libano (con gli ayatollah), ha preso il controllo dello Yemen, ha influenza decisiva su Hamas, sul terrorismo nel Sinai, sul Bahrein, sul Sudan. Insomma è impegnato in un'offensiva strategica ben più pericolosa dell'Isis, che minaccia Israele su tre lati, l'Egitto e l'Arabia Saudita (suoi rivali nell'islam) su due. Perché dunque vuole l'atomica con una determinazione tale da affrontare boicottaggi e tutte le difficoltà della trattativa con l'America? Per distruggere Israele. Che sia una missione fondamentale come quella di Hitler (i nazisti distolsero mezzi ingenti dalla guerra anche quando stavano perdendola, pur di portare a termine la Shoà) o una via per stabilire il proprio predominio sull'islam, la strada è ancora oggi quella indicata da Rafsanjani quattordici anni fa. Come potrebbe un primo ministro israeliano non considerarla il primo pericolo, il rischio che viene davanti a ogni prudenza o considerazione diplomatica?
Ugo Volli