Cari amici,
la notizia più importante (e più preoccupante) degli ultimi giorni rispetto al medio oriente l'ha data Martin Indyk. Forse non ne avete mai sentito parlare: della proposta sicuramente ma neanche dell'uomo, che pure è assai potente (http://en.wikipedia.org/wiki/Martin_Indyk). Fino all'anno scorso inviato speciale di Obama per le trattative fra Israele e Autorità Palestinese, già ambasciatore americano in Israele durante l'amministrazione Clinton, è stato nel consiglio direttivo del New Israel Fund, la principale fonte di fondi per le Ong antisraeliane e filopalestinesi in Israele, e oggi è direttore per la politica internazionale della Brooking Institution, un think thank importante della sinistra americana che ha una sede in Qatar e prende soldi, fra l'altro da quel governo (http://en.wikipedia.org/wiki/Brookings_Institution). Indyk è il più significativo esponente di quel gruppo di ebrei americani di sinistra che sono decisi a domare Israele (se volete usare l'espressione celebre del direttore di Haaretz: a violentarlo) per rinchiuderlo nel quadro della politica di Obama di appeasement con gli arabi e di privilegio dei palestinisti.
Che cosa ha detto Indyk? Potete leggerlo qui: http://www.jpost.com/Arab-Israeli-Conflict/Indyk-Get-ready-for-UNSC-resolution-proposed-not-by-Palestinians-but-intl-community-391188. Il giorno dopo le elezioni di marzo, il nuovo governo israeliano si troverà a dover scegliere fra andare “volontariamente” incontro alle condizioni arabe, con un blocco immediato dell'edilizia oltre la linea verde e una rapida accettazione degli ultimatum di Abbas, oppure dovrà fare fronte a una decisione in questo senso del consiglio di sicurezza dell'Onu, proposto non dall'Autorità Palestinese, ma dai cinque membri del consiglio di sicurezza dell'Onu: tutti e cinque, dunque, USA inclusi. A leggere fra le righe, Indyk dice che c'è già un accordo fra le grandi potenze per costringere Israele ad accettare non la trattativa, ma il diktat palestinista. L'indiscrezione, o il ricatto, o l'entrata a gamba tesa nella campagna elettorale israeliana (perché è evidente che Indyk insinua che Herzog avrebbe un trattamento migliore di Netanyahu) coincide con le indiscrezioni che arrivano dall'Unione Europea, di cui vi ho già accennato. Il giorno dopo le elezioni l'Europa applicherà un piano molto duro di sanzioni economiche contro Israele, cercando di indurlo col boicottaggio a piegarsi alla sua volontà, che coincide con quella di Obama e di Indyk (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/191160). Anche qui si aspetta il giorno dopo le elezioni per non stimolare la reazione di autodifesa dell'elettorato israeliano, ma si fa circolare il ricatto. Chi ha orecchie per intendere, si regoli.
Resta il mistero del perché, nel momento in cui l'aggressione islamista è sempre più forte e sempre più vicina all'Europa, la “comunità internazionale” voglia indebolire drammaticamente Israele, costringendolo a scegliere fra l'isolamento politico, militare ed economico e l'arroccamento nei “confini di Auschwitz”, come li chiamava Abba Eban, con tutti i rischi di sicurezza, il caos economico e sociale che questo comporterebbe. Il mistero del perché si voglia dar vita per davvero a un nuovo stato terrorista, rischiando di distruggere una democrazia avanzata economicamente e socialmente, la sola ad avere un'organizzazione politica di tipo occidentale, con elezioni regolari dalla fondazione, stampa libera, indipendenza del giudiziario, sistema multipartitico e libertà di religione e di associazione in tutto l'immenso spazio geopolitico che sta fra il Marocco a Ovest e l'India e il Giappone a Est. Resta il fatto che le cose stanno così. Quel che sta accadendo oggi in termini di antisemitismo e di aggressione a Netanyahu è niente al confronto a quel che rischia di accadere da aprile in poi. Dobbiamo prepararci psicologicamente e culturalmente a una durissima resistenza: dovrà farlo Israele, sperabilmente con un primo ministro esperto e temprato come Netanyahu e non con dilettanti allo sbaraglio come Herzog e voltagabbana come Livni. Dovranno farlo gli ebrei della diaspora che saranno sottoposti a una pressione senza precedenti nel momento in cui l'Europa ignora totalmente il senso dell'aggressione islamica cui è sottoposta e la rovescia (se non ci credete, leggete qui il ministro degli esteri francese Armand Fabius dichiarare che le principali vittime del terrorismo islamico che uccide ebrei e giornalisti liberi... sono gli islamici: http://www.europe-israel.org/2015/02/alors-que-les-islamistes-tuent-des-juifs-a-paris-ou-copenhague-fabius-declare-les-premieres-victimes-de-ce-qui-se-passe-ce-sont-les-musulmans/). Come nel Medioevo durante le Crociate, come durante la cacciata di Spagna e i pogrom dell'Europa orientale, come negli anni Trenta del Novecento, gli ebrei (e per essi oggi Israele) diventerà il capro espiatorio di tutti i mali del tempo, il nemico interno all'Occidente da distruggere. D'accordo in questo con i buoni islamisti, che, se possono scegliere preferiscono ammazzare prima gli ebrei e poi i cristiani. Aspettiamo aprile, “il più crudele dei mesi”, attrezziamoci a resistere e speriamo che le elezioni israeliane non vadano come vorrebbero Obama, Indyk e l'Unione Europea.
Ugo Volli