(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)
Bruciare un essere umano vivo è un metodo per eliminare i nemici, noto e documentato già nelle prime fonti islamiche, e ben radicato nella legge della Shari’a. Questa settimana lo Stato Islamico ha diffuso un video sconvolgente, della durata di 20 minuti: la parte saliente mostra un pilota giordano, Maaz al-Kassasbeh, che viene bruciato vivo. Il film cerca di giustificare la punizione descrivendo il ruolo della Giordania nella guerra contro lo Stato Islamico, con foto di morti, tra cui donne, bambini, uomini, morti soprattutto tra le fiamme. Nel resto del video il pilota descrive il coinvolgimento delle forze aeree di Giordania, Emirati Arabi, Arabia Saudita, Qatar, Bahrain, Kuwait, Marocco e Stati Uniti e mette in evidenza gli aerei americani che decollano da basi turche. Nel video, montato con professionalità, c’è una colonna sonora impressionante e gli effetti visivi attestano il talento e la capacità dei tecnici. Per lunghi minuti vediamo una visita silenziosa che il pilota giordano fa alle rovine di un grande edificio, che pare sia stato il quartier generale dello Stato Islamico colpito dagli aerei della coalizione, tra cui forse anche da quello guidato dal pilota giordano. Tutto il film è destinato a giustificare la scena che appare verso la fine: il pilota giordano che brucia vivo. L'evento è organizzato con molta cura: per prima cosa il pilota è imprigionato in una gabbia di ferro in modo che non abbia alcuna possibilità di scampare al fuoco, e gli indumenti arancioni che lui indossa sono stati imbevuti di benzina. Anche la sabbia sotto la gabbia è fradicia di benzina e un rivolo che la impregna raggiunge il punto in cui si trova un soldato con un bastone attorno al quale è avvolto uno straccio, anch'esso imbevuto di benzina. Un altro soldato dà fuoco allo straccio: si vede il rivolo di benzina sulla sabbia infiammarsi, poi le fiamme che avanzano verso la gabbia, quindi la benzina sotto i piedi del pilota che s’incendia e il pilota che muore dopo un’agonia straziante. Infine arriva un bulldozer che distrugge la gabbia. Quello che il video racconta non ha nulla di nuovo per chiunque abbia familiarità con le fonti islamiche, quelle che raccontano di come Ali ibn Abi Talib, il cugino di Maometto che ne aveva sposato la figlia Fatima diventando il quarto califfo, avesse bruciato due eretici. C'è una disputa tra i religiosi islamici se ciò sia consentito: da un lato, chi lo nega, sostiene che solo a Dio è concessa il potere di condannare gli eretici alle fiamme – che ricordano la condanna all'inferno. Lo Stato Islamico - che vede in se stesso la forza che ristabilirà la condizione statuale originale – si richiama ad Ali nel condannare al rogo i nemici. Per i responsabili della propaganda dello Stato Islamico questo punto è fondamentale: il messaggio che il video trasmette è che il nemico sarà condannato all’inferno, e per meglio raffigurarlo con la pena che lo colpirà, ecco il video che risponde a entrambe le domande.
Alcuni mesi fa il web era pieno di combattenti dello Stato Islamico che si intrattenevano con delle ragazze yazidi. Anche quello era stato un chiaro messaggio: invece di aspettare di raggiungere in cielo le 72 vergini, chi si unisce allo Stato Islamico può godersi il Paradiso in terra. Un altro motivo per bruciare vivo il pilota, è il principio giuridico islamico di reciprocità: la pena deve essere adeguata al crimine. Nel caso del pilota giordano, il video si preoccupa di mostrare le vittime dello Stato Islamicoi, compresi i bambini, morti bruciati vivi in seguito agli attacchi della coalizione. Questa presentazione delle vittime bruciate vive è destinata a giustificare il metodo scelto per uccidere il pilota, basato, appunto, sul principio di reciprocità. Un altro importante dettaglio che colpisce nel film, è una lunga lista di piloti giordani, alcuni accompagnati da fotografia e indirizzo. L’obiettivo è duplice: incoraggiare i giordani che s’identificano con lo Stato Islamico a vendicarsi, e scoraggiare i piloti giordani dal prendere parte alle battaglie aeree contro lo Stato Islamico. Sicuramente questa macchina da guerra psicologica ha richiesto tempo e capacità nella produzione di questo video, con la grafica giusta e altre tecniche per inviare il messaggio a livello mondiale. Alcuni commentatori hanno fatto a gara a chi rivolgeva le critiche più forti allo Stato Islamico - le espressioni ascoltate negli ultimi giorni sono giustamente pesanti - ma questo è esattamente ciò che i combattenti dello Stato Islamico volevano ottenere: seminare il terrore nei cuori dei loro nemici, per diffonderlo poi in altri Paesi, soprattutto in Occidente. Il modo giusto di reagire è rimanere pragmatici e procedere a un’analisi obiettiva ed equilibrata delle attività dello Stato Islamico attraverso le parole dei suoi portavoce, cercando di approfondire le fonti culturali e religiose dei suoi leader, per trovare i loro punti deboli e usarli per sconfiggerli. Un esempio: i combattenti dello Stato Islamico credono che essere uccisi da una donna annullerebbe il loro essere shahid, non salirebbero più in Paradiso. L'esercito curdo nel Nord dell'Iraq, i Peshmerga, ha fatto uso di questa convinzione arruolando donne combattenti che gridavano e urlavano mentre si avvicinavano alle postazioni dello Stato Islamico: sentendo gli urli delle donne curde, i combattenti dello Stato Islamico fuggivano per non essere uccisi da delle donne. Questo è un esempio che le forze che si oppongono allo Stato Islamico potrebbero utilizzare nel progettare una tattica efficace per combatterli. Non appena è stata diffusa la notizia del barbaro assassinio del pilota giordano, la Giordania si è vendicata con l’impiccagione di un uomo e di una donna, già membri di Al Qaeda, le cui condanne a morte per diversi anni erano state rimandate. Re Abdullah II ha fatto un breve discorso ai suoi cittadini, in cui ha promesso di vendicare il sangue del pilota. Il re non ha divulgato i dettagli della guerra che sta progettando contro i suoi assassini, ma l’impressione è che la Giordania aumenterà il livello dei suoi attacchi contro lo Stato Islamico. Da un lato, potrebbe esserci una maggiore partecipazione alle attività della coalizione, ma è anche possibile che presto le forze giordane si impegneranno in operazioni di terra. Il re deve combattere senza tregua lo Stato Islamico o si troverà contro le tribù beduine, per le quali vendicare il sangue del loro fratello pilota è una missione sacra. Il messaggio mostrato ai beduini e l’empatia con il loro dolore erano tangibili nella keffiyah rossa, tipica dei beduini, che il re portava durante il suo discorso. D’altra parte, ai numerosi giordani che s’identificano con lo Stato Islamico, il re deve anche dare un chiaro segnale: li raggiungerà e saranno trattati senza pietà. La polizia giordana arresterà probabilmente un rilevante numero di cittadini sospetti di simpatie per lo Stato Islamico, soprattutto quelli che vivono nella città meridionale di Maan e tra i rifugiati siriani nel campo di Alzatri nel Nord del paese. Israele deve seguire da vicino la guerra tra la Giordania e lo Stato Islamico, perché il suo esito determinerà chi avrà di fronte dall'altra parte del fiume Giordano: un Paese sovrano con il quale esiste un accordo di pace, o un’organizzazione terroristica per eccellenza, totalmente priva di valori morali. Israele e Giordania sono oggi nella stessa trincea, in guerra contro un'organizzazione che vuole portare le fiamme dell’inferno in Medio Oriente, per distruggere tutto ciò che non è in linea con la sua criminale visione del mondo.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi