Dopo 33 anni lo stato italiano ricorda Stefano Tachè 04/02/2015
Commento di Deborah Fait
Autore: Deborah Fait
 Dopo 33 anni lo stato italiano ricorda Stefano Tachè
Commento di Deborah Fait

“Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano”.

Era il 9 ottobre 1982, alle 11.55. Shabat. Sono passati 33 anni da quando Stefanino Gay Tachè è stato ucciso da una sventagliata di mitragliatrice dei feddayin mandati da Arafat con il suo luogotenente Abu Nidal (l’assassino dell’Achille Lauro), altre 37 persone sono rimaste ferite nell’attentato alla sinagoga, alcune portano ancora nel corpo le schegge delle bombe a mano lanciate dai 5 terroristi. Da quel giorno nessuno in Italia ha più ricordato quel bimbo di due anni che usciva ridendo dalla sinagoga.

Era vietato dalla politica cattocomunista italiana, bisognava glorificare il mandante di quel crimine e di molti altri fatti in Italia nonostante il Lodo Moro che aveva venduto l’Italia al terrorismo palestinese. Bisognava portare Arafat in trionfo ad Assisi, riceverlo in Parlamento, in Vaticano, con tutti gli onori, lui si faceva ammirare e entrava nei Palazzi dello Stato armato, anche dal Papa. Nessuno fiatava. Tutto era lecito al raiss assassino. Gli italiani di allora erano in adorazione di Arafat, avevano per lui un amore nato dall’odio per gli ebrei.

Nel Tempio Maggiore di Roma si stava festeggiando la festa di Shemini Atzeret, la festa dei bambini, i terroristi palestinesi stavano ad aspettare che gli ebrei uscissero e poi hanno incominciato a sparare. Stefano è stato fra i primi ad apparire alle porte del Tempio, forse correva contento, era un bambino appena uscito da una festa, lo hanno colpito e ucciso. Era ebreo e questo a loro bastava, avrebbero dovuto fare una strage davanti al Tempio Maggiore, questo era stato loro ordinato.

Arafat voleva sangue ebraico e i suoi ammiratori italiani non hanno detto una parola, hanno fatto finta di niente, hanno guardato dall’altra parte, anzi, qualche giorno prima erano andati a gettare una bara nera davanti alla sinagoga urlando “A morte Israele”, il loro slogan preferito. Il demonio li ha accontentati.

Sergio Mattarella ha fatto giustizia, finalmente, ma non crediate che le sue parole siano state molto apprezzate. In internet ho letto commenti ignobili scritti da gentaglia fetente: “ecco, vuole fare il leccac... degli ebrei... e i bambini di Gaza non li ha ricordati?... e le foibe?... e i bambini italiani ammazzati dalle madri?...” Vi risparmio i commenti più schifosi. Gli italiani di oggi come quelli di ieri. Ieri avevano messo tutto a tacere, oggi dà fastidio che quell’assassinio disumano sia stato ricordato addirittura dal Presidente della Repubblica Italiana. Mentre ascoltavo le parole di Mattarella, piangevo per la commozione, perché non me lo aspettavo, perché pensavo che a Stefano era stata resa giustizia e che adesso potrà riposare in pace. Lui, Stefano Gay, Stefanino come lo chiamavamo allora, sarà lassù, da qualche parte, a correre e a giocare con tutti gli altri bambini ebrei ammazzati dai nazisti. Riposa in pace, Stefano.
Grazie, Presidente!


Deborah fait
Gerusalemme Capitale di Israele, unica e indivisibile


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