Amos Gitai,Un regista noioso e tanto conformista
Lo intervista Alain Elkann
Testata: La Stampa
Data: 09/12/1012
Pagina: 22
Autore: Alain Elkann
Titolo: Solo l'ottimismo può cambiare il Medio Oriente

Sulla STAMPA di oggi, 09/12/2012, a pag.22, con il titolo "Solo l'ottimismo può cambiare il Medio Oriente" Alain Elkann intervista il regista israeliano Amos Gitai, più che altro noto per la noia che distribuisce a piene mani con i suoi film, peraltro accomunati da un bassissimo numero di spettatori. Alain Elkann lo intervista a Haifa, città dove a Gitai è stato dedicato un nuovo museo, ma, attenzione, non ad Amos, bensì al padre, un famoso architetto che ben lo merita. Domande curiose, risposte prevedibili, un'altra mosca cocchiera che sa tutto e che lo vorrebbe pure insegnare a chi governa il suo paese. E la democrazia, bellezza, e noi siamo contenti che Amos Gitai possa dire tutte le castroneie che vuole. Finchè sta dietro a una cinepresa, il danno è contenuto.

Amos Gitai

Alain Elkann

Il regista sessntaduenne Amos Gitai si trova da alcune settimane a Haifa, in Israele. Il Paese è calmo, come accade prima di un conflitto.

Perché ci sarà un conflitto?
«Netanyahu fa continue provocazioni, ci deve essere un limite a tutto questo. Non vuole più dare denari ai palestinesi e se davvero non gliene darà avranno difficoltà addirittura a pagare i loro funzionari. Quindi ci sarà ancora più miseria di adesso».

Personalmente mi domando cosa voglia davvero.
«Adesso non so davvero cosa voglia, si mette non soltanto in conflitto con tutti i Paesi arabi e con i palestinesi, ma anche con i Paesi che lo appoggiano. Io credo che lo faccia per avere i voti dell’estrema destra nelle prossime elezioni, ma questa politica mi pare assolutamente irresponsabile».

Secondo lei sarà rieletto?
«Se la sinistra continua a lacerarsi senza riuscire a compattarsi e non si mette d’accordo, Netanyahu finirà con essere rieletto».

E ciò sarebbe un disastro per Israele?
«Non mi piace la parola disastro, ma di sicuro potrebbe essere un gioco pericoloso».

Lei cosa crede possa succedere?
«Basta pensare che il 29 novembre 1947 Israele ha ricevuto all’Onu due terzi dei voti delle varie nazioni del mondo, e quindi esiste anche per la buona volontà della comunità internazionale e non soltanto per il suo potere militare. C’è stata una buona volontà da parte dei Paesi che erano al corrente delle sofferenze che gli israeliani avevano patito durante la guerra».

Ma perché Netanyahu è così indignato per la questione del riconoscimento della Palestina come Stato?
«C’è confusione tra quello che è il rapporto tra Israele e il mondo arabo e il rapporto con i palestinesi; per di più la maggior parte dei Paesi sono preoccupati dei rapporti tra Israele e Palestina. Dobbiamo assolutamente trovare un modo di coabitare e questo è un problema centrale per Israele. Ma Netanyahu viene da una scuola e da un modo di pensare molto ideologici. In realtà oggi si tratta più che mai di un problema etico e di una necessità politica, bisogna trovare una soluzione. I moderati hanno sempre avuto poco successo, hanno governato poco, sono 35 anni dalla fine della guerra del Kippur che il Partito laburista ha perso via via sempre più potere».

E Likud?
«Controlla in realtà il Paese».

Ma secondo lei, dove vuole andare Netanyahu?
«Lui non può forzare le cose. La missione di altri territori del West Bank e le costruzioni bloccano ogni speranza. Eppure Netanyahu ripete parole e frasi senza significato, perché in realtà non vuole l’esistenza dei due Stati».

Ritiene che in questi giorni gli americani finiranno per intervenire in Siria?
«Non lo so. Ma tutto il Medio Oriente è in una situazione molto difficile, a differenza dell’Europa che ormai ha stabilizzato i propri confini. In Medio Oriente adesso c’è davvero un grande tramestio. In ogni caso, ora bisogna smetterla con gli atti provocatori, a questo punto la ricetta migliore è quella che prevede di restare calmi».

Per quanto riguarda l’Egitto?
«Credo che in questo preciso momento storico ci siano molti poteri che stanno delirando. C’è chi sogna lo stato faraonico, chi l’impero ottomano, chi il grande Israele. Ma non ci si rende conto che se si fa così si finirà con una guerra».

Come è adesso la situazione di Gaza?
«Bisogna innanzitutto riconciliare il conflitto e non mettere olio sul fuoco».

Lei dove si trova in questo momento?
«Sono ad Haifa, dove sto preparando il mio prossimo film che vorrei girare a febbraio a Gerusalemme».

E di che film si tratta?
«Si intitolerà “La valle”. Farò lavorare attori palestinesi e israeliani e sarà ambientato nel bel mezzo di questo conflitto».

Qual è il tema del film?
«È sull’amore impossibile e la coesistenza durante il conflitto. Ma l’arte, sia ben chiaro, è uno degli ultimi fronti di resistenza e non bisogna tradire questo ruolo. Abbiamo visto abbastanza guerre in Medio Oriente, facciamo qualcos’altro!».

Che cosa dicono gli israeliani?
«Sono calmi, ma è solo apparenza, in realtà sono confusi e se si guardano i sondaggi ci si accorge che cambiano idea ogni giorno. La conclusione è terreno purtroppo molto fertile per la xenofobia e per la perdita di identità. In ogni caso credo che ci si debba professare ottimisti, e per questo rimango in Israele e mi rifiuto di essere pessimista, perché è meglio cercare di cambiare qualcosa invece di diventare nichilisti».

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