L'Italia non apra ad Hamas
un' intervista a Nemer Hammad, ex rappresentante dell'Olp in Italia
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Pagina: 12
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Il nostro problema sono i poveri di Gaza, l’Italia non li dimentichi»
Il dato politicamente più significativo dell'iintervista di Umberto De Giovannangeli all'ex rappresentante dell'Olp in Italia Nemer Hammad è sicuramente la richiesta all'Italia di non legiitimare Hamas.
E' dunque quantomeno curioso che l'intervista sia intitolata dall'UNITA' Il nostro problema sono i poveri di Gaza, l’Italia non li dimentichi".
La linea dell'Auorità palestinese non è certamente priva di ambiguità (si pensi agli stipendi pagati ai funzionari di Hamas), ma è chiaro che un titolo come quello del quotidiano dei Ds può essere interpretato come un'invito a trattare comunque con Hamas, per motivi "umanitari". l'esatto contrario del messaggio di Nemer Hammad.
Ecco il testo:


Se c'è un dirigente palestinese che conosce alla perfezione la politica italiana, questo è senza ombra di dubbio Nemer Hammad. Per circa 30 anni delegato dell'Olp in Italia, Hammad ha conosciuto i maggiori leader politici e di governo della prima e della seconda Repubblica. Richiamato a Ramallah da Abu Mazen, Nemer Hammad è oggi primo consigliere politico del presidente palestinese. Hammad non ha mai smesso di mantenere rapporti strettissimi con l'Italia: «Una decina di giorni fa - confida a l'Unità - ho avuto un lungo colloquio con Massimo D'Alema. Abbiamo parlato della situazione in Palestina e affrontato anche la questione di Hamas». E su Hamas, Nemer Hammad è perentorio: «Il problema per noi oggi è come aiutare il popolo di Gaza e al tempo stesso isolare Hamas». «Abu Mazen -ricorda Hammad- ha sempre cercato di evitare una guerra civile. E lo stesso fece Arafat, nonostante Hamas lo avesse tacciato di tradimento. La risposta di Hamas alle aperture di Abu Mazen sono stati i cinquanta agenti delle forze di sicurezza e quadri di al-Fatah uccisi durante il periodo del governo di unità nazionale, e i 190 palestinesi assassinati nel golpe di giugno». Prima di parlare di dialogo, sottolinea Hammad, «Hamas deve riconoscere gli accordi fin qui sottoscritti dall'Olp, e dunque riconoscere lo Stato d'Israele».
Fuori dalle dispute terminologiche, cosa chiede l'Autorità nazionale palestinese al governo italiano?
«Sul piano politico, di fare tutto ciò che è nelle sue possibilità, nel quadro dell'Unione Europea e del Quartetto, perché la Conferenza di Washington dia risultati concreti. In altri termini, un piano chiaro con tempi chiari che realizzi finalmente una pace fondata sulla legalità internazionale e la cooperazione fra due popoli e due Stati. C'è poi un altro ambito non meno importante su cui l'Italia può agire incisivamente: mi riferisco alla cooperazione economica. Non si tratta solo di farsi interpreti della necessità di un programma straordinario di aiuti, ma di guardare oltre l'emergenza, e ciò significa borse di studio per tecnici e universitari palestinesi, e a livello delle imprese, ci attendiamo un incoraggiamento del governo italiano a investire in Palestina. Un esempio concreto: due giorni fa, abbiamo inaugurato un importante progetto nel settore agricolo e agro-industriale nella zona della Valle del Giordano. Questo progetto, finanziato dal Giappone, vede operare assieme palestinesi, israeliani e giordani. Questo progetto è finalizzato a creare una novità riguardo alle frontiere: frontiere di cooperazione e non di guerra. Questo è molto importante, perché è anche con progetti di questo tipo che potremmo cambiare l'atteggiamento della gente».
Resta sul tappeto il problema-Hamas. Romano Prodi ha chiarito il suo pensiero. Qual è la sua opinione in merito?
«Una decina di giorni fa ho avuto un lungo incontro con il ministro degli Esteri Massimo D'Alema: abbiamo parlato di tutta la situazione mediorientale, compresa la questione di Hamas. Su questo punto non c'è molto da chiarire. Il nostro problema oggi è come aiutare la popolazione di Gaza e al tempo stesso isolare Hamas».
Ma isolare Hamas, radicalizzandone le posizioni, non creerebbe ulteriori problemi alla leadership di Abu Mazen?
«Se c'è un uomo che ha lavorato fino allo stremo per favorire il dialogo con Hamas, questo uomo è Abu Mazen. Lo dico per conoscenza diretta. Abu Mazen ha cercato di portare Hamas alla politica, di responsabilizzarli. Per questo ha insistito con gli americani perché non ponessero ostacoli alla partecipazione di Hamas alle ultime elezioni legislative (gennaio 2006, ndr.). Ritenevamo che in questo modo si sarebbero responsabilizzati. Ma da subito hanno dato prova della loro concezione antidemocratica della democrazia. Vuole un esempio?».
Lo faccia.
«Quando fu rapito il soldato israeliano Ghilad Shalit (giugno 2006, ndr.), abbiamo chiesto al governo guidato da Haniyeh di agire per cercare di intervenire sui rapitori. La risposta è stata: è Hamas che deve trattare, non il governo. Ma quel governo era un monocolore di Hamas!. Dopo l'accordo della Mecca, abbiamo dato vita a un governo di unità nazionale. Durante il periodo in cui questo governo è rimasto in carica, sono stati uccisi 50 tra agenti delle forze di sicurezza e quadri di Fatah, a cui si aggiungono i 190 assassinati nel corso del golpe di giugno. Su queste basi quali dialogo è possibile?».
Ed ora cosa potrà accadere?
«La nostra intenzione è di fare ciò che finora non era stato fatto, a cominciare dall'unificazione delle varie forze di sicurezza: ogni altra forza è fuorilegge».
Anche la Forza esecutiva di Hamas che a Gaza svolge funzioni di polizia?
«Da oggi (ieri, ndr.) anche Forza esecutiva, al pari delle altre milizie, è considerata illegale e chi ne fa parte rischia fino a sette anni di carcere. La logica che muove il presidente Abu Mazen è riassumibile in questo concetto: una sola autorità, una sola legge, un solo fucile. C'è poi il problema impellente di aiutare la popolazione civile di Gaza. Su questo punto l'Europa deve riflettere sugli errori commessi in passato: parlo dell'embargo decretato dopo la vittoria elettorale di Hamas. Una decisione che ha finito per essere una punizione collettiva inflitta alla popolazione di Gaza, mentre Hamas ha continuato a rafforzare le sue milizie con i finanziamenti occulti che ha continuato a ricevere. La gente di Gaza non deve pagare per le colpe di Hamas».
Per ultimo vorrei tornare a rapporti con Roma. Qual è il suo appello a Romano Prodi e all'Italia?
«È quello di continuare ad appoggiare la giusta causa del popolo palestinese per l'indipendenza e l'autodeterminazione nazionale. Le cose non cambiano per via di Hamas: la nostra lotta per la libertà è sempre valida e attuale».
E alle forze della sinistra?
«La sinistra ha avuto sempre nel cuore la Palestina. E deve continuare a farlo, con la convinzione che il popolo palestinese desidera realizzare uno Stato laico e democratico. Non siamo diventati un popolo di integralisti».

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