Linda Grant - Gente di strada. Notizie da Israele 28/05/2007
Autore: Giorgia Greco

Gente di strada. Notizie da Israele      Linda Grant

 

Traduzione di Davide Mano

Alet                                                           Euro 13,00

 

 

Che cos’è un balagan? Un balagan è un casino che rasenta l’incontrollabile. Più che una parola è una categoria ontologica. Esprime un fatale principio di disordine, il vociare delle opinioni contrastanti, una goffaggine del vivere, spesso grottesca ma talvolta anche, improvvisamente, drammatica. Il balagan è una chiave per entrare nella realtà israeliana.

 

Onnipresenza e onnipotenza dell’”incasinamento” – categoria tutto sommato facilmente intuibile per un italiano, ma esotica per una giornalista inglese, abituata a urbane e noiose discussioni sul politicamente corretto. Gente di strada di Linda Grant appartiene di diritto alla tradizione dei libri britannici di viaggio.

 

Sebbene l’autrice sia nata a Liverpool, in una famiglia ebraica di origine lituane, e si senta profondamente segnata dalla precarietà del destino giudaico, nelle sue pagine la società israeliana appare come un groviglio di contraddizioni, di passioni dai colori forti e di invincibile vitalità. Insomma ancora una vaga venatura coloniale, che qualche volta può disturbare ma che costituisce anche il vezzo del racconto.

 

Da una parte la “città bianca” di Tel Aviv, fatta di ormai cadenti edifici in stile razionalista, che parlano del sogno utopico dei sionisti venuti dall’Europa, dove regnano “palme, sabbia, gatti, odore forte di foglie marce e bidoni straripanti di spazzatura”. Dall’altra parte Gerusalemme coi suoi “terribili geli d’inverno e pessimi ristoranti”, fatalmente ostile per una visitatrice laica e indecisa come la Grant.

 

Come quasi tutti i letterati che scrivono su Israele, anche Linda fa professione di apoliticità, afferma di voler registrare impressioni e incontri, senza offrire ricette per il conflitto israelo-palestinese. E come tutti, puntualmente, manca alla promessa. Ma se è impossibile scrivere più di dieci pagine senza invischiarsi in uno scontro che taglia in due la geografia e le coscienze, la Grant riesce a renderne conto per spezzoni impressionisti. In qualche punto è un po’ saccente, come si addice a una contestatrice pentita, che in gioventù ha rifiutato il sionismo per far dispetto a un padre autoritario e maschilista, e solo più tardi ha scoperto Israele e una solidarietà istintiva.

 

Da ricordare, tra gli alti e bassi della prosa, alcuni intermezzi descrittivi, come quello sulle attiviste per la pace, che presidiano  con ammirevole affanno il muro di sicurezza tra la zona araba e quella ebraica, e le camerate di soldati adolescenti, sbattuti a far la guardia nei Territori tra violenze quotidiane, ubiqui telefoni cellulari, tatuaggi e pupazzi di peluche sulla branda. Naturalmente non ci si può aspettare la risposta a nessun “perché”, ma il “come” dell’Israele contemporaneo è declinato nel pieno rispetto della ferrea legge del balagan.

 

 

Giulio Busi

 

IL Sole 24 Ore