Mondatori Euro 17,00
Si può amare lo Stato di Israele semplicemente perché è il proprio paese. Oppure perché, in quanto ebrei, è il luogo in cui la propria gente ha finalmente trovato la patria capace di difenderla con risolutezza contro ogni prepotenza. Ma si può amare quello stato, incarnazione del sogno sionista, anche senza essere né israeliani né ebrei. E’ un amore allora che risulta da un processo intellettuale e morale al termine del quale sta il riconoscimento del diritto di Israele all’esistenza come discrimine fondamentale, oggi, tra una cultura della vita e un’ideologia della morte.
Questo è il modo, mi sembra, in cui Magdi Allam, che è italiano e musulmano, è giunto ad apprezzare le ragioni dello stato fondato sessant’anni fa da David Ben Gurion, e il titolo, così provocatorio e così coraggioso, del suo nuovo libro (Viva Israele, Mondatori) risuona certo come “un inno alla vita” (dice lui) ma anche come un grido liberatorio.
Allam, infatti, come tanti di noi, è arrivato faticosamente alla sua posizione attuale. Ha condiviso a lungo i pregiudizi che rappresentano Israele come uno stato coloniale e oppressore. Del resto, come avrebbe potuto essere altrimenti? Cresciuto nell’Egitto di Gamal Abdel Nasser, ha respirato, per così dire, l’antigiudaismo seguito alla guerra dei Sei giorni. E soprattutto poi, nell’Italia degli anni Settanta e Ottanta, ha partecipato dell’opinione “progressista” che vedeva in Israele il principale ostacolo a una giusta pace in Medio Oriente.
Liberarsi di questa ideologia, scoprirne le pigrizie e le menzogne è dunque stato per Allam una conquista (ben raccontata in queste pagine), grazie alla quale la sua è oggi una delle voci più energiche nella denuncia dell’islamismo radicale predicatore di morte e delle equivoche posizioni culturali “antisioniste” ancora tanto diffuse in Europa.
Panorama