Che Israele abbia provato fastidio e irritazione per la mancata partecipazione ufficiale di Unione Europea e Usa alle celebrazioni per i 40 anni di riunificazione di Gerusalemme è comprensibile, ma per lo Stato ebraico non è una novità. Sia gli Stati Uniti che la maggior parte degli altri stati con i quali ha rapporti diplomatici, non hanno l'ambasciata nella capitale ma a Tel Aviv. In un mondo dove si prende atto di qualunque fatto compiuto, succede solo a Israele che la sua capitale non venga riconosciuta. Ma gli israeliani ci hanno fatto il callo, come si dice, tanto che ieri le polemiche erano già scomparse da tutti i giornali. Per ciò che è considerato lecito, in democrazia come in qualunque altro tipo di regime, gli israeliani sanno che il metro col quale vengono giudicati è diverso. Gerusalemme capitale non poteva essere una eccezione. Persino costruire nuove abitazioni viene marchiato quale "insediamento di coloni", perchè Israele, per la mai risolta questione del riconoscimento dei confini e la conseguente creazione di uno Stato palestinese indipendente, non ha il diritto di considerarsi a casa propria, ma soltanto una "realtà sionista" che va sradicata, come sostiene il buon Ahmadinejad e i suoi amici di Hamas. E ogni giorno che mantiene Israele lontana dalla separazione definitiva con i suoi vicini arabi, della Cisgiordania come di Gerusalemme est, ogni rinvio di una soluzione che garantisca per il futuro il carattere ebraico dello Stato, è un pericolo che il governo, di qualunque colore politico sia, non può più permettersi il lusso di non affrontare. E risolvere. Prendiamo il caso di Gerusalemme, dove la popolazione araba cresce ad un ritmo tale che fra 12 anni supererà quella ebraica. Che cosa succederà? Il mondo non aspetta altro se non un segnale che il livello democratico non è più garantito nel paese. Lo dicono già ora quelli che per mestiere diffamano Israele, "paese dell'Apartheid, come il Sud Africa". Ma se, anche solo a Gerusalemme, la maggioranza dei cittadini non fosse più ebraica, cosa succederebbe? Facile dare consigli, Israele deve fare questo, non deve fare quello, un paese dove la gente si alza ogni giorno sapendo di vivere nella continua minaccia di un attacco, minaccia per modo di dire perchè poi, a intervalli regolari, l'attentato arriva. Ma il governo ha il dovere di non considerare il problema demografico come qualcosa che attiene alla scienza statistica. E' un problema politico, e come tale va affrontato. Siamo talmente soffocati dalla retorica del " due popoli due stati", che i nostri politici vanno ripetendo convinti di star lavorando per la pace, che non ci accorgiamo che uno dei due popoli, quello palestinese, di uno Stato autonomo e indipendente non sa più che farsene. E che in fondo non l'ha mai voluto, anche se a suon di terrorismo l'ha sempre reclamato. Ma è mai possibile che nessuno veda che lo Stato in pericolo, in procinto di scomparire dalla faccia della terra, è Israele ? Minacciato non solo dalle atomiche iraniane, dai razzi che arrivano da Hamas o dai missili di Hezbollah, ma dalla bomba demografica all'interno del suo territorio, se la separazione dagli arabi non diventerà effettiva e in una cornice giuridica ineccepibile. Il che esclude l'eterno tavolo delle trattative, inutile e dannoso, vista la mancanza di volontà della controparte. Pur nel rispetto dei diritti degli altri, Israele prenda una decisione, senza alcun timore del giudizio di quegli stati che non gli hanno nemmeno concesso il diritto ad avere una capitale riconosciuta.