Storia del Sionismo 21/04/2007
Autore: Giorgia Greco

Georges Bensoussan - Storia del Sionismo - due volumi in cofanetto - Einaudi

Recensione di Elena Loewenthal da TUTTOLIBRI de La Stampa del 21/04/2007

Sion è un'altura di Gerusalemme, una città che la storia ha sparpagliato un po' come Roma fra i suoi sette colli. In ebraico si chiamano «montagne», queste pieghe sul suolo della Terra Promessa. Ma come capita spesso da queste parti, l'occhio stupisce di fronte alle modeste proporzioni della geografia e la mente si domanda come abbia potuto, un posto così piccolo, sollevare tanta storia.
Sion diventa presto, soprattutto grazie al salmo 137, il luogo di una nostalgia inguaribile: dettato di una memoria che non è lecito dimenticare, di un oblio che è minaccia fisica: «Sulle rive dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti e abbiamo pianto il ricordo di Sion… Se ti dimentico, Gerusalemme, la mia destra si dimentichi di sé, la mia lingua si attacchi al palato». Da allora, il «monte» di Sion divenne il faro spento della Diaspora, il punto della Terra Promessa visibile da ogni remota distanza: non con gli occhi del corpo, certo, bensì con quelli della mente di cui la lingua ebraica dota l'individuo.
Per questo il movimento nazionale ebraico porta, inevitabilmente, il nome di sionismo: «È questo il senso ultimo dell'autonomia politica che tutte le scuole di pensiero del sionismo cercano, il desiderio di non essere più argomento di discorso, ma di parlare, finalmente. Invenzione ex novo del soggetto alienato e ritorno all'autenticità di sé, al di là delle mille poste in gioco politiche che ha rivelato e attivato in un secolo di storia, il sionismo è stato davvero un'impresa di decolonizzazione psichica dell'essere-ebreo».
Così scrive Georges Bensoussan nella conclusione de Il sionismo. Una storia politica e intellettuale: 1860- 1940: due volumi pubblicati in italiano da Einaudi, con la sapiente traduzione di Monica Guerra e una cura editoriale davvero impeccabile (e sempre più rara, fra l'altro).
Il sionismo è un movimento secolare. Non è il risarcimento dell'Europa colpevole al proprio ebraismo sterminato - e ai danni di una popolazione araba vittima di una presunta colonizzazione: «La legittimità ebraica non deriva dalla tragedia degli ebrei d'Europa, ma da se stessa». Israele non è un «regalo» dell'Occidente agli ebrei a spese del Medio Oriente, bensì il tessuto profondo dell'identità ebraica, così come si articola lungo duemila anni di storia. E in particolare in quell'ampio periodo «costruttivo» che va dagli inizi dell'Ottocento sino al 1947, anno in cui una risoluzione dell'Onu sancisce la nascita di due Stati «palestinesi»: uno ebraico e uno arabo. Gli ebrei accolsero allora con un entusiasmo sfrenato questa risoluzione. Il fronte arabo la respinse in massa.
L'analisi di Bensoussan è estremamente articolata. Egli parte dalla cosiddetta Zona di Residenza, quella ampia fascia di confine dell'impero russo dove negli ultimi due secoli erano state relegate le comunità ebraiche. Alla fine dell'Ottocento, due terzi dell'ebraismo mondiale si trovano in quella zona, in balia dell'incertezza e dei pogrom. Ma certo quella «quasi nazione» è l'humus originario del movimento sionista organizzato.
Bensoussan offre al lettore un quadro particolarmente esaustivo dell'ebraismo moderno e contemporaneo: in questo senso la sua non è «soltanto» una storia del sionismo. O meglio: la storia del sionismo è, di fatto, la storia dell'ebraismo moderno e contemporaneo. Esso non è soltanto la più grande «invenzione», ne è piuttosto il midollo, l'autentica linfa vitale.
La scoperta della dimensione politica come ingrediente necessario e ineludibile per la costruzione del futuro s'accosta, nel sionismo, a un principio di continuità storica. «Secondo Gershom Scholem l'ebraismo è attraversato da una corrente conservatrice che corrisponde al presente, una corrente restauratrice che rimanda al passato e una corrente utopistica che si proietta nel futuro».
Bensoussan è però giustamente molto cauto nell'accostare il sionismo allo slancio messianico: la sua puntuale e documentatissima analisi dimostra invece come il ritorno a Sion venga proiettato, dalla tradizione ebraica e dalla modernità, in un contesto di aspirazione più terrena che celeste. Certo, «il sionismo nasce dal culto della nazione e sviluppa soltanto in seguito l'amore viscerale per la patria, mentre al contrario ogni nazionalismo si radica prima di tutto nell'amore per il territorio e si allarga poi al culto della nazione»: in questo senso è un movimento sui generis.
Il lettore si trova a spaziare nei luoghi più diversi, della geografia e dell'intelletto: dai circoli protosionisti nella Diaspora alle comunità ebraiche che in terra d'Israele sono sempre esistite, dalle elaborazioni religiose alla formidabile invenzione della «diplomazia» ebraica come lo strumento più adatto per raggiungere lo scopo di un ritorno politico.
Questo fu infatti il grande contributo di Theodor Herzl, che l'analisi di Bensoussan contestualizza in misura adeguata. Il sionismo non fu, infatti il lampo di genio di un personaggio, per quanto eccentrico e straordinario. Fu un movimento di massa in cui tutto l'ebraismo venne chiamato in causa, in quel lungo periodo storico (due secoli circa, a partire dall'illuminismo ebraico, chiamato Haskalah, che pone le basi del confronto con l'Emancipazione), in cui ci si rende conto che il futuro è garantito solo a condizione di prendere in mano il proprio destino, senza più lasciare che sia affidato ad altri.
Da quest'esigenza matura un intenso lavorio intellettuale e politico. Matura una vera e propria società: lo Yishuv. La comunità ebraica in terra d'Israele, cioè, prima che fosse pronunciata la dichiarazione d'indipendenza: un «prima» lungo millenni, a dispetto di quanto spesso si creda.