Fiamma Nirenstein Israele siamo noi 26/03/2007
Autore: Giorgia Greco

Israele siamo noi Fiamma Nirenstein

Rizzoli Euro 17,50

Israele eravamo noi, che capimmo quel sogno e fummo stupefatti nel vederlo realizzato. Il ritorno d’una parte del popolo ebraico sui luoghi della Bibbia, tanto più agognati dopo la gratuita caccia all’ebreo che si era scatenata in Europa. Il fuggire lì da altre persecuzioni: un’immigrazione, senza precedenti per entità e rapidità, da Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Libia, Libano, dallo Yemen, dall’Urss. Il prodigioso fondersi di lingue, di costumi, in armonia con chi non aveva mai lasciato quella terra, dove si diceva palestinese chi pregava il Dio di Abramo e chi pregava Allah. Israele eravamo noi, sedotti dalla semplicità di Ben Gurion e Golda Meir, i capi pionieri; dal socialismo realizzato nel kibbutz; dal deserto trasformato in orti e giardini; dalla cultura seminata tanto prima che nascesse lo Stato: Palestine Orchestra (oggi Filarmonica d’Israele) inaugurata da Toscanini settant’anni fa, Politecnico di Haifa (1924), Università di Gerusalemme (1925), Teatro Habima (1931), l’Istituto Weitzmann (1934).

Israele siamo noi, afferma Fiamma Nirenstein, ben sapendo che oggi è difficile trovare chi assenta. Eppure, con rabbia e con orgoglio, ne fa il titolo del nuovo libro, in copertina i colori della bandiera israeliana. Sì, fa pensare alla Fallaci per il piglio che a tratti assume, per la passione che non nasconde, per l’allarme che con Oriana condivide nel planetario incalzare dell’integralismo islamico. Ma, giornalista da anni a Gerusalemme, bada a cifre, date, fatti. Anche ai più sgradevoli: un capo di Stato che commette reati sessuali, uomini corrotti al governo, errori politici e militari, un generale rimosso per la disastrosa missione in Libano. Come possiamo dire: Israele siamo noi?

Fiamma Nirenstein spiega perché possiamo. Pur sapendo quanto sia arduo far capire che non è un chilometrico "muro di apartheid" quello che per gli israeliani è un "recinto di difesa" da un terrorismo suicida che non distingue cittadini ebrei e arabi, che ha fatto migliaia di vittime civili sugli autobus, nei luoghi di svago, nelle università. Pur sapendo che quasi nessuno si preoccupa per le minacce del rais iraniano che vuole annullare Israele. Pur sapendo quanto pervasivamente si confondano antisemitismo, antiamericanismo e odio per Israele. Dove ha germinato quell’odio? Perché quanto si intrecciò con il fascismo e con il nazismo oggi contamina la sinistra e il pacifismo? Come si può dialogare con il terrorismo, addirittura giustificare Hamas, la cui storia è "punteggiata da centinaia di attentati ignobili"?

Con autobiografica sincerità, che farà molto discutere, l’autrice vede l’origine del male nella propria generazione: la sua voglia di libertà e diritti umani è degenerata nel "tragico incontro" con il comunismo.

"L’ispirazione sociale e pacifista si è trasformata in una macchina giustificazionista di comportamenti contrari alla morale". Del tutto insensibili al farsi della storia, "abbiamo chiamato "resistenti" i terroristi in Iraq; non abbiamo voluto capire, per paura, il messaggio delle Torri Gemelle". Israele, dunque, siamo noi perché simbolo della minaccia che ci sovrasta?

Alberto Sinigaglia

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