Fiamma Nirenstein Israele siamo noi 24/03/2007
Autore: Giorgia Greco
Fiamma Nirenstein Israele siamo noi
Rizzoli


Com’è naturale, una legge volta a contrastare le infiltrazioni nemiche vieta in Israele di dare asilo ai cittadini di un paese ostile, e il Sudan è indiscutibilmente un paese ostile. Da tempo giungono in Israele profughi dal Darfur che preferiscono ogni sorte, anche la prigione, pur di sfuggire ai loro aguzzini. Un coro di voci si è sollevato nel paese per dire: «Sono perseguitati come lo fummo noi e bisogna trovare una soluzione ». Uno schieramento bipartisan prepara un disegno di legge per risolvere la questione e intanto kibbutz e villaggi accolgono i profughi: musulmani (in maggioranza) e cristiani. Questo è il paese che tanta parte dei media europei descrive come un concentrato di fascismo, una sorta di lager gestito da un popolo di torturatori ispirato da un tenebroso spirito di superiorità razziale. E questo è il paese che descrive Fiamma Nirenstein nel suo ultimo libro, attraverso il racconto di vicende analoghe e attraverso i fotogrammi di una realtà vitale, complessa, ricca e contraddittoria, mille miglia lontana dall’immagine oscura che trasmette chi vuole rappresentare Israele come una piccola Sparta feroce. La descrizione di Fiamma Nirenstein è da par suo, condotta con uno stile vivace e avvincente che restituisce con grande autenticità i mille volti di Israele. E’ la realtà di una società democratica, costretta a difendersi con le unghie e con i denti da un ostinato disegno di distruzione e che, tuttavia, in questa condizione di drammatica precarietà, non smarrisce un profondo attaccamento ai principi di libertà e dei diritti della persona. “Israele siamo noi” significa, in primo luogo, che Israele è un frammento di Europa; o piuttosto, di ciò che di meglio la civiltà europea ha saputo dare nel corso del suo sviluppo storico, in termini di convivenza civile. Al contrario di ciò che pretende certa propaganda, il sionismo è l’espressione di una visione democratica in cui l’Europa dovrebbe riconoscersi. Nella cecità di parte dell’Europa e dell’occidente sta il secondo e più drammatico significato di “Israele siamo noi”: nel guardare a Israele, l’Europa dovrebbe riconoscere la propria condizione e il rischio drammatico di essere distrutta dall’attacco del fondamentalismo islamico. Israele si trova al centro di un rischio di distruzione totale che sovrasta l’Europa da tutti i lati e minaccia l’intero occidente. L’Europa non vuol vedere questo rischio, non vuole specchiarsi nell’immagine della condizione di Israele, come prefigurazione di un suo possibile destino, e preferisce esorcizzare questa consapevolezza rompendo lo specchio, e cioè distruggendo l’immagine di Israele, proiettando su Israele la responsabilità di tutti i mali del mondo e persino dei rischi che essa stessa corre. E’ questo un tema non nuovo nella produzione letteraria di Fiamma Nirenstein. Ne “L’abbandono” (2002) aveva denunciato il rinnegamento di Israele da parte dell’Occidente e il ritorno dell’antisemitismo. Ne “Gli antisemiti progressisti” (2004) aveva puntato i riflettori sulle responsabilità della sinistra nella diffusione di un’immagine distorta di Israele, fino alla falsificazione, e nell’essersi fatta portavoce di una campagna di odio antisionista e, in definitiva, antisemita, proveniente dal mondo islamico. Ora Fiamma affonda il coltello ancor più in profondità avvertendo che “Israele siamo noi”, in tutti i sensi, e che il destino che ci aspetta è disegnato nella condizione in cui oggi si trova Israele, una condizione ben più difficile di quella di pochi anni or sono. Il crescendo che si manifesta nei suoi libri dà – purtroppo – il senso di una stretta sempre più drammatica, in cui ogni ulteriore metro che “noi” percorriamo sulla strada dell’antisionismo e dell’ostilità preconcetta nei confronti di Israele, accresce l’isolamento e le difficoltà di quest’ultimo e, al contempo, ci avvicina al “nostro” baratro. Del resto, il deterioramento della situazione è sotto gli occhi di chi non voglia infrangere lo specchio. Abbiamo creduto che il ritiro della famigerata mozione Onu che condannava il sionismo come forma di razzismo segnasse un nuovo percorso e ci troviamo invece oggi con forme di demonizzazione del sionismo ancor più pervasive e devastanti. Un membro dell’Onu, l’Iran, si permette di minacciare quasi quotidianamente la distruzione di un altro membro dell’Onu, senza che alcuno profferisca più di un inconcludente vagito. Ed è bastato che Hamas riuscisse a concludere un accordo di governo con Fatah che lascia assolutamente intatte le posizioni del primo, perché vari governi europei (fra cui il nostro) mostrassero il desiderio incontenibile di chiudere la partita e di riaprire rapporti con il nuovo governo, incuranti del fatto che esso concede a Israele molto di meno di quanto concedeva lo stesso Arafat, o piuttosto concede soltanto una promessa di annientamento. In questi cedimenti s’intravede il percorso che conduce all’annientamento di “noi” tutti, noi con Israele. Questo è un libro di speranza, anche se di speranza alquanto disperata, se è lecito l’ossimoro; ma comunque di speranza, perché Fiamma – convinta che vi siano orecchie per ascoltare – non si stanca di descrivere Israele per quel che è, di combattere uno ad uno i mille pregiudizi che ne macchiano l’immagine, e di spiegare perché l’ideale sionista sia qualcosa di nobile che non può che risvegliare nell’animo europeo il ricordo dei propri migliori ideali. La descrizione di “una generazione che ha perso la strada” riprende temi già affrontati, con accenti nuovi e con vividi e toccanti riferimenti autobiografici. Ma non sfocia nel pessimismo, per quanto cupo sia il cielo. La speranza è radicata nell’anima ebraica e Fiamma ne è profondamente ispirata: “E’ tempo per la mia generazione di tornare a essere se stessa. E per le nuove generazioni di essere indirizzate da noi vecchi verso la nostra ispirazione originale, quella della libertà e dei diritti umani”.

Giorgio Israel
dal Foglio del 24 marzo 2007