Maurizio Molinari GLI EBREI DI NEW YORK 26/02/2007
Autore: Giorgia Greco

Maurizio Molinari

GLI EBREI DI NEW YORK

Laterza, 234 pp., euro 16

Una guida alla vocazione ebraica della città di New York, con tanto di sosta al celebre 770 di Eastern Parkway, tempio dei mistici haredim che hanno riconosciuto il messia nel rebbe Menachem Mendel Schneerson, morto qualche anno fa. Corrispondente della Stampa dagli Stati Uniti, Maurizio Molinari in questo libro che si legge come una novella a puntate racconta il calderone delle tribù giudaiche della città magica e insonne di Isaac Bashevis Singer e Leonard Bernstein. La capitale delle tipografie chassidiche e delle librerie talmudiche, delle mille sinagoghe e delle altrettante yeshivà, delle pasticcerie polacche e dei negozi di kippot, talletot e tefilloth. E dei venditori di knishes, i ravioli di patate identici a quelli che si potevano comprare a Lodz negli anni Venti. L’alcova di Crown Heights, a Brooklyn, li riunisce tutti, questi strani ebrei con il cappello bordato di pelliccia e pallidi per lo studio disperato e che si trascinano dietro filatteri mistici e boccoli messianici. Lì la setta dei Lubavitcher vive aspettando il ritorno del loro idolo spirituale, il preveggente che due secoli prima li aveva condotti in fuga dalla Russia zarista salvandoli dalla furia tedesca. Lì si studia “come avveniva a Vilna e negli shtetl dei chassidim disseminati dal Mar Baltico al Mar Nero mentre solo poche strade più a sud si vive come un tempo a Damasco e Beirut”. Sospesa tra la modernità e la tradizione, la tentazione dell’assimilazione e le dolcezze incantate dell’isolamento, questa New York vive in una perenne attesa, come una città nella città ai confini dell’insulare e del transitorio. Vi ritroviamo tutti i volti dell’innesto samaritano, gli ebrei belzer protagonisti degli affreschi di Joseph Roth e gli ungheresi satmar, quelli con i calzini bianchi sopra i pantaloni che non credono allo stato d’Israele. E poi le lobby filoisraeliane, i grandi maestri e i rabbini superbi, i figli dei sopravvissuti all’Olocausto, i finanzieri e gli speculatori, gli scaccini e i bibliotecari, fino ai fornai, agli scrittori e agli artisti, non c’è limite alla varietà del parco umano che scuote di frenesia e successo il surreale epicentro ebraico della Grande Mela. Questa New York è un universo di mera data vigliosi trafficanti dediti all’oro e al cielo. Sulle labbra celano il santo nome del Baal Shem Tov. Il rabbino che ha ispirato generazioni di ebrei dalla giubba dorata stretta in vita e con i pantaloni alla zuava che offrono filatteri ai newyorchesi per accelerare la venuta del Messia. (gm)

Da Il Foglio del 24 febbraio 2007