Emanuele Ottolenghi AUTODAFÈ 26/02/2007
Autore: Giorgia Greco

AUTODAFÈ Emanuele Ottolenghi

Lindau, 378 pp., euro 24

Pochi sanno oggi gustare lo “stile ebraico”, quella preziosa tradizione ebraica che sa guardare alla vita con un occhio al testo (la mania di scavare nella parola, nel Libro), uno alla storia, piazzando il punto focale nell’uomo, nell’individuo. Un metodo impalpabile, ma riconoscibile, come gli spessori corposi della carta di un tempo, proprio di una cultura millenaria che sa mettere al centro della scena la persona, per poi descrivere tutto il contesto, con uno straordinario “senso del tempo”. Emanuele Ottolenghi dà prova eccellente di questo stile e affronta, con pacata sapienza ebraica, il tema scabroso: “perché mi odiano, qui, oggi?”. Mi odiano perché ebreo, mi odiano perché sionista. Naturalmente non dice mai ne “io”, né “noi”. Ma quell’io, quel noi, traspaiono, perché l’odio di cui parla è odio antisemita. Odio dell’ebreo. Non quello degli anni Trenta, non l’utopia assassina che portò alla Shoah, non in Europa almeno, più volte questo viene ripetuto nella ricerca, col puntiglio di chi rifiuta allarmismi e vittimismi. Ma sempre e comunque antisemitismo, quello della modernità, figlio della Rivoluzione francese che emancipò gli ebrei, all’insegna del proclama del 1793 di Clermont Tonnerre: “Agli ebrei deve essere negato tutto come nazione, ma garantito tutto come individui”. “Oggi Dreyfus non è un individuo in divisa, ma uno stato. Israele è un Dreyfus collettivo che dall’ottobre 2000 è sotto processo in Europa, mentre dalle strade di Parigi, come nel 1898, si levano nuovamente i cori di “Morte agli ebrei!”. A partire da questa forte intuizione, Ottolenghi sviluppa il suo “Autodafè”. In cui elenca frasi, giudizi, denunce dei tanti ebrei che piacciono all’Europa antisionista. L’Europa laicista, che non sa più neanche chi sia san Paolo, oggi cerca ebrei che rimproverino agli israeliani di difendersi da un islam jihadista che ha sempre rifiutato la politica, la trattativa, che ha sempre rifiutato le cinque storiche proposte di stato palestinese accettate dai sionisti (l’ultimo fu Arafat, nel 2000 ). Esiste un’Europa tanto cieca nel suo pregiudizio antisionista, da non sapere oggi neanche cogliere l’evidenza, della follia del sangue palestinese che scorre a Gaza a opera di palestinesi. Quella Gaza restituita dal “truce” Sharon (quante vignette, quanti titoli, quanti articoli infami contro di lui in Europa), che poteva e doveva essere fondamento di uno stato palestinese, la cui cronaca di sangue invece, rivela la realtà vera: per novant’anni i sionisti hanno cercato un leader arabo, un Abu Mazen che trattasse con loro per i “due stati”: ma quando lo hanno trovato, nel 1951 in re Abdullah di Giordania, nel 1979 in Sadat, questi sono stati assassinati dagli jihadisti e quando infine è emerso Abu Mazen è stato costretto a subire il jihad di un islam fondamentalista che è la vera, unica, storica, patologia intima del mondo arabo, Israele o non Israele.

Carlo Panella
Il Foglio 24 febbraio 2007