Amos Oz Non dire notte 20/02/2007
Autore: Giorgia Greco

Non dire notte                                Amos Oz

Feltrinelli                                          Euro 15,50

 

 

 

 

Un amore adulto, al tempo dell’impegno. Theo, un uomo solido, nella pietra dei sessant’anni, un passato avventuroso e l’istinto della solitudine, insonne che passa la notte in balcone, aspettando il momento perfetto del deserto; Noa, di quindici anni più giovane, puro ossigeno, l’aria frizzante che è la femminilità compiuta dei quarant’anni, le mani che invecchiano più di lei. Noa che fatica ad arrendersi alla virile tutela di Theo. L’impegno è quello per l’istituzione di un centro per il recupero di tossicodipendenti, voluto dal padre di Immanuel, un liceale alunno di Noa morto per overdose; ma anche quello di essere fedeli alla storia di Tel Kedar, la città nuova sorta ai margini del deserto del Negev, quando Israele era “ancora tutto sabbia e fantasie”.

 

 

Avraham Orvieto, addetto alla sicurezza (un trafficante d’armi?) che vive in Nigeria, è arrivato a Tel Kedar con una richiesta per Noa: presiedere il comitato per il Centro intitolato al figlio. Avraham dice a Noa di una lettera di Immanuel, del suo segreto attaccamento per lei, di una matita, un regalo che lei non ricorda – ma la memoria farà il suo lavoro, come il rimorso. L’uomo, un grumo di volontà sfinita e dignità paterna, le racconta delle passeggiate serali col figlio durante le sue visite, quando “guardavano in silenzio la città che fioriva”; il padre, il pioniere che si emozionava nel veder crescere la nazione, il figlio, che “pareva stare più dalla parte del deserto”. Come Theo, che ha seguito Noa fino a Tel Kedar, “alla fine del mondo”, perché lei e il deserto erano tutto quel che voleva. E ora deve farsi piccolo, rincantucciarsi – è così ingombrante, lui, il geniale urbanista, il “patrimonio nazionale” in disarmo volontario, orgoglioso. E l’irrequieta Noa vuole voltar pagina o soltanto “fare un po’ di baccano”, per tenere sveglio il suo Theo? Non dire notte è un dramma a due voci, quelle dei protagonisti, due voci sommesse ma ferme, profonde, capaci di dar luce a un mondo di severità e speranza, un avamposto di una nazione che è “una specie di impresa memoriale”.

 

 

Dove il miracolo di un amore adulto, screziato di amicizia e consapevolezza, trova alleato solo il deserto – e un interprete d’eccezione. Amos Oz è al suo meglio nel dar figura e lettera alla vocazione minerale di Theo, il suo starsene discosto, ad aspettare lei, testardo e paziente come un contadino innamorato, al passo sciolto ma già un po’ incerto di Noa, la sua insofferenza per la silenziosa autorevolezza di lui, la sua tenerezza senza rimedio; e riesce laddove è più arduo – i trapassi d’umore e i gesti della passione, le bizzarre geometrie dei sentimenti.

 

 

 

 

Tiziano Gianotti

 

 

La Repubblica