Emanuele Ottolenghi Autodafè. L’Europa, gli ebrei e l’antisemitismo 06/02/2007
Autore: Giorgia Greco
Autodafè. L’Europa, gli ebrei e l’antisemitismo

Lindau, pagina 382, euro 24


«Schierarsi con Israele può costare molto oggi, specie nelle università, nel mondo dell’editoria e in politica. Socialmente, spesso costa l’isolamento e l’ostracismo, specie nei circoli intellettuali». Così Emanuele Ottolenghi, già giovane professore all’Università di Oxford e collaboratore di numerosi giornali italiani, denuncia nel suo nuovo libro Autodafè. L’Europa, gli ebrei e l’antisemitismo (Lindau, pagina 382, euro 24) le nuove forme che l’antisionismo sta assumendo in Europa. Ottolenghi formula uno spietato e documentato atto d’accusa contro gli intellettuali ebrei che prendono posizione contro Israele per farsi accettare dal resto dell’intellighentia. «Denunciare Israele - scrive - è parte dell’esame di ingresso nei circoli intellettuali della sinistra». Con questo loro atteggiamento, questi intellettuali diventano automaticamente «ebrei buoni», perché con il loro mea culpa forniscono il perfetto alibi all’antisemitismo degli altri.
Ma il libro è molto più della denuncia di questo tradimento: fornisce l’analisi più aggiornata e approfondita del moderno antisemitismo europeo. L’autore riconosce che il fenomeno è molto diverso da quello degli anni Trenta e Quaranta, perché oggi nessuno in Occidente vuole più sterminare gli ebrei e il nuovo antisemitismo offre agli ebrei una via d’uscita per evitare la discriminazione: l’equivalente odierno di quello che, un tempo, erano la conversione e l’assimilazione, è la denuncia di Israele, la critica serrata di ogni iniziativa del governo di Gerusalemme, l’accettazione del principio che lo Stato ebraico deve pagare un prezzo per risolvere il conflitto mediorientale.
Quanti e chi sono gli antisemiti? Sulla scorta di sondaggi e rapporti, Ottolenghi arriva alla conclusione che esiste in tutta Europa un fondo di pregiudizio antiebraico che coinvolge in media tra il 10 e il 20 per cento della popolazione. Si tratta, in genere, di un fenomeno a bassa aggressività, ma che assume forme più violente in coincidenza di eventi di cui si può incolpare lo Stato ebraico. In questo è spesso decisivo il ruolo dei media, anche italiani. In un capitolo intitolato «La demonizzazione di Israele», l’autore fa un’analisi spietata di tre casi in cui la stampa internazionale (prevalentemente di sinistra, ma non solo) ha travisato i fatti per addossare allo Stato ebraico responsabilità che in realtà non aveva. Ha definito la «passeggiata» di Ariel Sharon sulla spianata delle moschee nel 2000 come la sola causa della seconda Intifada, quando è ormai dimostrato che, al massimo, fu il fattore scatenante di una rivolta preparata da tempo. Ha presentato acriticamente la battaglia di Jenin, in cui Tsahal ha snidato casa per casa gruppi di terroristi palestinesi dal campo profughi, come una specie di «massacro degli innocenti», poi clamorosamente smentito dalle successive inchieste. Ha, infine, istigato l’opinione pubblica a considerare la barriera eretta per proteggere il territorio israeliano dagli attentati suicidi solo come uno strumento di oppressione dei palestinesi.
Quello di Ottolenghi è un libro devastante, che indurrà a giudicare con nuovi criteri certe prese di posizione antiisraeliane da parte di eminenti intellettuali ebrei in cerca di consensi; un libro, infine, che dimostra, se ancora ce n’era bisogno, quanti pregiudizi anche inconsci pervadono la nostra valutazione del conflitto israeliano-palestinese, che non è affatto la causa di tutti i mali del Medio Oriente.

Livio Caputo
dal Giornale del 6 febbraio 2007

Tra le antiche ossessioni presenti con regolarità nella lunga e dolorosa storia ebraica europea, emerge il desiderio ossessivo di chiedere, da parte di quella minoranza, scusa: kaparah, in ebraico. Anche per cose non fatte. Molti perivano nelle azioni imposte di autoconfessione e di abiura dell'antica fede, «autodafé» - atti di fede -, nelle pubbliche piazze medievali. A volte i persecutori erano proprio convertiti ebrei. Il libro di Emanuele Ottolenghi - Autodafé. L'Europa, gli ebrei e l'antisemitismo (con la prefazione di Magdi Allam, edizioni Lindau) -, docente di storia d'Israele all'università di Oxford, coglie in questi vecchi stereotipi, non nell'antisemitismo biologico dei nazisti, quel variegato complesso di «pregiudizi sommersi» che caratterizzano specialmente l'opinione pubblica liberal europea e nordamericana e alcuni ambienti ebraici progressisti al suo interno. La struttura molto ben documentata del libro tratta, nei primi capitoli, di sondaggi e inchieste d'opinione che quantificano l'attuale pregiudizio antisemita in Europa, specialmente coincidente con la critica all'esistenza dello Stato d'Israele. Nei capitoli centrali Ottolenghi mette in luce l'importanza delle informazioni mediatiche provenienti dal Medioriente, che favoriscono la diffusione a senso unico di alte percentuali contro l'esistenza dello Stato ebraico. Infine negli ultimi capitoli Ottolenghi racconta il fenomeno moderno dell'«autodafé» e cioè quel particolare ruolo antisraeliano e post-sionista di molti intellettuali ebrei, specialmente nell'area anglosassone, negli ambienti accademici e dei media, che per farsi accettare si orientano a rompere frontalmente con la solidarietà, anche critica, nella difesa dello Stato d'Israele. Quello che l'autore denuncia di queste élites ebraiche e progressiste europee è il loro ossessivo senso di colpa, che compensano con la denuncia del ruolo fondante d'Israele come male assoluto. Questo «sionismo realizzato» avrebbe prodotto, con l'espulsione costante dai territori della Palestina e con guerre di aggressione, un mare di «vittime». Una sensazione, leggendo questo bel libro. Scandagliare queste drammatiche contraddizioni interebraiche e le nuove tipologie di antisemitismo europeo, rafforza le motivazioni sul piano psichico-culturale che stanno alla base delle affermazioni aggressive dell'Iran ad Israele, quando il tiranno Ahmadinejad invoca la distruzione esemplare dello Stato degli ebrei. È minaccia tremenda che, come sappiamo da precedenti storici europei, va presa drammaticamente sul serio. Così come ha fatto in recenti suoi articoli il grande storico israeliano Benny Morris, descrivendo un'eventuale «seconda shoah» prodotta dell'Iran. Anche lui ha attraversato, superandola, l'ossessione colpevolista, il suo «autodafé», di aver costruito una patria non solo con la cultura, ma con la forza.

Paolo Sorbi
da Avvenire del 6 febbraio 2007