Piccola ma appassionata storia del Kibbutz 04/02/2007
Autore: Deborah Fait
Mi sono sempre chiesta quale fosse il motivo dell' avversione dei giovani di sinistra per Israele. Non ho mai avuto risposta e continuo a pensare che  i giovani, sognatori per natura, dovrebbero provare amore per un paese nato dall'idealismo e dal lavoro.
Soprattutto chi si dice di sinistra dovrebbe rispettare  l'unico paese al mondo dove si e' realizzato il socialismo democratico con il fenomeno unico del kibbuz.
Invece no!
Loro odiano Israele e  la loro simpatia va tutta al buio violento e assassino dei suoi nemici arabi e islamici, questi giovani di sinistra dimostrano di preferire la violenza della dittatura anziche' guardare alla realta' di un piccolo Paese che si difende strenuamente con coraggio e senza mai mettere in discussione i valori democratici che lo hanno guidato dal giorno della fondazione.
  
Quando, verso la seconda meta' dell' 800,  i primi chaluzim ( pionieri) arrivarono in Palestina  dalle varie nazioni europee, per ricongiungersi agli ebrei, per lo piu' religiosi, che vivevano e pregavano nelle citta' sante di Israele,  la regione, sotto il dominio ottomano, era  abitata da tribu' seminomadi di beduini  in continua guerra con gli arabi insediati nei villaggi in mezzo al deserto.
La vita era misera, le malattie imperversavano, la terra era desolata come la descrivono tutti i viaggiatori  che ebbero la ventura di attraversarla.
La vita dei primi pionieri fu di estrema fatica e pericolo, lavoravano spaccandosi la schiena, nel fango, nella sabbia, nelle paludi che avevano infestato di malaria tutta la zona e dovevano difendersi dai banditi di una regione selvaggia e senza leggi.
Faticavano perche' volevano creare un'isola di pace per gli ebrei perseguitati in Europa; erano tutti giovani , non abituati alla fatica fisica, erano studiosi, medici, studenti, uomini e donne insieme,  si tirarono su le maniche, misero in spalla il fucile per difendersi dai predoni, presero tra le mani pala e piccone e incominciarono a spaccare i massi del deserto sassoso di Palestina.
Bonificarono le paludi, risanarono la zona dalla malaria che mieteva morti in quantita' fra gli arabi , guarirono dal tracoma i figli dei beduini, e furono un faro per altri giovani ebrei europei ardenti di ideali e desiderosi di vivere come ebrei senza paura e senza piu' umiliazioni.
Furono un faro anche per gli arabi dei paesi limitrofi che arrivarono a cercare lavoro presso gli ebrei.
Nel 1909 un gruppo di giovani rumeni, 10 ragazzi e due ragazze fondarono, sul Mar di Galilea, (Lago di Tiberiade) il primo kibbuz, Degania. Costruirono delle capanne e incominciarono a lavorare. Nel 1932 erano gia' 1000 persone.
Oggi Degania vive di turismo e di agricoltura ed e' un meraviglioso kibbuz bagnato dalle acque del lago.
A quel primo kibbuz molti altri ne seguirono  dal nord fino all'estremo sud del paese, quasi vicino al Mar Rosso, kibbuzim laici e religiosi, alcuni con migliaia di membri e altri con poche decine, alcuni sul mare altri in mezzo al deserto a coltivare pomodori, verdure, fiori.
Il lavoro dei pionieri ha reso Israele lussureggiante, i pozzi artesiani costruiti con tanta fatica perche' significava scavare per centinaia di metri fino a trovare l'acqua, si trasformarono in kilometri di tubi che portavano la benedizione dell'acqua in tutto il paese con una rete idrica perfetta e il Movimento divenne la spina dorsale di Israele e l'espressione stessa del sionismo e della liberta'.
Il kibbuz e' una comunita' che si basa sulla totale democrazia, ogni decisione viene presa tra tutti i membri che, al  compimento del diciottesimo anno,  hanno facolta' di parola e di voto.
Ogni figlio del kibbuz e' figlio della comunita', tutti si prendono cura dei bambini anche se la Guerra del Golfo,  con la paura dei gas tossici e dei missili di Saddam Hussein, ha trasformato questa realta' e  i genitori hanno voluto i figli a casa. Si sono svuotate le case dei bambini, situate sempre al centro della comunita' per essere difese meglio, e si sono ingrandite la case delle famiglie.  
Oggi il kibbuz non e' solo una comunita' agricola ma si e' trasformato in centri scientifici; in scuole di agricoltura; in centri industriali con  fabbriche di vario tipo, dai mobili agli occhiali;  in centri ittici dove si allevano pesci ornamentali che vengono esportati in tutto il mondo;  in allevamenti di cavalli, di lama, in fattorie collettive dove le mucche pascolano nei prati e le colture sono biologiche.
La trasformazione e' avvenuta per stare al passo coi tempi ma la vita delle persone e soprattutto i loro ideali sono rimasti intatti.
Il kibbuz e' diventato anche il luogo migliore per abituare i nuovi immigranti  alla realta' di un paese diverso da quelli di origine, a Israele dove la vita non e' facile,  dove si lavora molto, dove si conosce la paura della guerra e del terrorismo, dove ci si sacrifica ancora per un ideale. 
I Falasha', gli ebrei etiopi, che hanno tante difficolta' ad inseririsi in una societa' tecnologicamente avanzata e moderna trovano in queste  comunita' la sicurezza che la vita di citta' non puo' dare e che tanto li spaventa.
Il kibbuz ricorda loro i valori del villaggio africano dove tutti aiutavano tutti, dove i bambini erano figli di tutti, dove nessuno era mai solo.
Si insegna l'ebraico ai nuovi arrivati da tutto il mondo,  si educa ai valori dell'uguaglianza e della dignita' umana e a conoscere la cultura e la storia di Israele .
Il kibbuz e' stato anche il rifugio per i libanesi che, per non essere uccisi da hezbollah,  dovettero fuggire dal Libano nel 2000 quando Israele si ritiro' dalla fascia di sicurezza. Vennero accolti, protetti, impararono l'ebraico e oggi molti di loro sono completamente inseriti nella vita del Paese, lavorano e mandano i figli a scuola e non abbandonano il kibbuz.   
Col passar del tempo, per innumerevoli motivi: la voglia di citta' dei giovani, il benessere, il consumismo, il processo di pace che aveva esaltato tutti e il pericolo dei missili di Saddam Hussein, il Movimento  e' entrato in crisi e ha perso molti membri, persone che volevano  avere un lavoro diverso, piu' soldi, meno regole, piu' divertimenti ma e' stato un problema  temporaneo perche' le radici non si cancellano e  l'ideale sionista vive ancora.
Oggi il kibbuz e' rinato a nuova vita e ha ricominciato ad assorbire altri giovani, intere famiglie, tutte persone desiderose di tornare alla natura, all'idealismo, all'origine di Israele e dei suoi valori. Molti  israeliani stanno tornando ad apprezzare  gli ideali dei Padri Fondatori, di quei pionieri che non chiedevano che di poter lavorare per sviluppare la Terra che amavano e per la quale erano disposti a fare ogni sacrificio.
I kibbuzim  gia' esistenti vengono ingranditi, altri vengono fondati, vengono anche affittate case ai "cittadini"  che godono di tutti i servizi della comunita' ma, a differenza dei mebri , non hanno diritto di voto, sono semplici affittuari felici di godere della vita pastorale  che  hanno un consiglio interno per rappresentare i loro interessi all'interno del kibbuz.
Il numero dei "kibbuznikim" (abitanti del kibbuz) sale ogni anno dell'1% e all'ufficio dei kibbuzim di Tel Aviv c'e' la ressa,  le  richieste sono innumerevoli  tanto che si pensa di aumentarne la popolazione di  30.000 nuovi membri.
I "figli del kibbuz" ritornano, molti per nostalgia e altri  perche' la vita vi  si e' fatta meno faticosa, il lavoro meno pesante e le regole, ferree fino a qualche anno fa, piu' miti e accettabili  persino dai giovanissimi.
Molti anni fa Bruno Bettelheim scrisse un libro meraviglioso e oggi introvabile  che si intitolava "I figli del sogno", figli nati per creare un paese dal nulla, un sogno realizzato con immensa fatica e tanti morti, un sogno che molti hanno tentato e tentano di distruggere, un sogno realizzato che alcuni definiscono un cancro.
Un cancro eh? Civilta', cultura, prati verdi,  coltivazioni nella sabbia che non si sa come fanno a crescere.
Un cancro, vero? Tecnologia, ricerca scientifica  da cui tutto il mondo trae vantaggio,  democrazia  e gente che lavora, produce e crea.
Un cancro? diciamo una perla  incuneata nell'immensita' dell'odio, della barbarie e del rifiuto  arabo, una perla che tutti vorrebbero depredare.    
Un cancro? Israele e' l'unico paese al mondo dove, alla fine del 20 secolo, gli alberi sono aumentati anziche' diminuire.
Un cancro? Israele ha dato al mondo il primo movimento ecologico, il Keren Kayemet LeIsrael, fondato nel 1902.
Un cancro? Israele ha dato al mondo il sindacato, l' Histadrut, nato nel 1920. Gli ebrei sono stati quindi l'unico popolo a creare un sindacato senza avere uno Stato.
Un cancro? Alla sua fondazione Israele aveva gia' ospedali, scuole, universita', centri di ricerca, teatri, il tutto creato tra enormi difficolta' nei primi anni del '900 quando ancora non esisteva la speranza concreta di avere uno Stato.
Un cacro, eh?  magari ci fossero tanti cancri del genere in giro per il mondo.
 
Come  e' possibile, dunque,  che molti  giovani europei odino chi ha costruito un Paese con l'ideale dell'amore, con la fatica, la volonta', la speranza di un mondo e di una vita migliori creando dall'assoluto nulla un Paese che poteva essere per tutti gli abitanti della zona ma che gli arabi hanno rifiutato negandone il diritto all'esistenza.
Se c'e' un popolo che qui  ha diritto di esistere questo  e' il popolo ebraico perche' la Terra e' di chi la ama e la rispetta, la nutre  non di chi la distrugge. 
 
Come si puo' odiare una democrazia con un passato cosi' doloroso per simpatizzare con chi vuole eliminarla?
Come e' possibile che i giovani italiani  odino i giovani israeliani conoscendo i loro sacrifici e il pericolo quotidiano  di morire a vent'anni?  
Tante domande senza risposta che riempiono di malicnonia  ma per fortuna i Figli di Israele non badano ai loro coetanei europei che li insultano, li calunniano, li scacciano dai locali quando vanno all'estero, per fortuna i Figli di Israele hanno altro a cui pensare e altro in cui credere.
Hanno un Paese che amano, che e' in continuo sviluppo e che  devono difendere dai predatori.
Per fortuna i  Figli del Sogno tornano sempre a casa .
 http://www.kibbutz.org.il/eng/welcome.htm