Nostalgia per Clementina
Forleo, che assolveva gli organizzatori di attentati suicidi
Testata:
Data: 18/01/2005
Pagina: 2
Autore: Susanna Ripamonti
Titolo: La Cassazione: «Iraq, gli attacchi contro i militari? Sono terrorismo»
La Cassazione ha stabilito giustamente che gli attacchi contro i militari impegnati in Iraq ( la coalizione internazionale rimane  in Iraq su richiesta un governo  riconosciuto dall'Onu e democraticamente eletto), dagli a sono terrorismo, non guerriglia. E ha così rivisto la sentenza di assoluzione di Mohammed Daki pronunciata da Clemetina Forleo.
All'UNITA' però l'assimilazione non è piaciuta. Chi organizzava attentati anche contro i soldati italiani, per il quotidiano dei DS era un guerrigliero.
Ecco l'articolo:


Vi ricordate la famosa sentenza del gup milanese Clementina Forleo, che aveva introdotto (stiamo ovviamente semplificando) una fondamentale distinzione tra guerriglieri e terroristi? Argomentando questa distinzione, il giudice milanese aveva prosciolto dall’accusa di terrorismo internazionale il marocchino Mohamed Daki e altri due nordafricani e la sua decisione era stata confermata dalla Corte di assise di appello. Nei mesi scorsi però, la Cassazione ha bocciato il verdetto milanese e ieri ha depositato le motivazioni della sentenza. I supremi giudici dicono in sostanza che «costituisce atto terroristico anche quello contro un obiettivo militare quando le peculiari e concrete situazioni fattuali facciano apparire certe ed inevitabili le gravi conseguenze in danno della vita e dell'incolumità fisica della popolazione civile, contribuendo a diffondere nella collettività paura e panico».
Dissentendo dai giudici di Milano ritengono che sia sbagliato considerare terroristici «solo gli atti diretti contro la popolazione civile e che debbano essere compresi anche gli attacchi diretti contro militari impegnati in compiti del tutto estranei alle operazioni belliche e a queste neppure indirettamente riconducibili, quale lo svolgimento di aiuti umanitari».
Clementina Forleo nella sua sentenza osservava che la nozione di terrorismo diverge da quella di eversione e citava a questo proposito la convenzione globale dell’Onu per la prevenzione del finanziamento al terrorismo e la decisione quadro del consiglio d’Europa del 2002. Queste delibere internazionali stabiliscono - spiega Forleo «che le attività violente o di guerriglia compiute nell’ambito di contesti bellici, anche se da forze armate diverse da quelle istituzionali, non possono essere perseguite, neppure sul piano del diritto internazionale, a meno che non abbiano lo scopo, al di là di possibile dolo eventuale, di seminare terrore indiscriminato verso la popolazione civile, in nome di un credo ideologico e/o religioso, ponendosi dunque come delitti contro l’umanità». Nel caso specifico non era in alcun modo provata questa intenzione. «Queste persone - dice Forleo - avevano lo scopo di andare a combattere in un territorio occupato e in un contesto di guerra, la possibilità di creare terrore tra la popolazione è un rischio e non lo scopo. Diversamente, dovremmo contestare il reato di terrorismo internazionale in ogni conflitto bellico».
La Suprema Corte concorda invece con le valutazioni fatte a Milano che non attribuivano valore di «prova» alle informazioni provenienti da «fonti di intelligence» che al massimo possono costituire uno «spunto investigativo». E aggiunge che in nessun caso «la sola appartenenza all'area religiosa dell'integralismo e del fondamentalismo islamico e finanche lo stesso favore espresso verso forme di lotta politica e militare possono giustificare, di per sé, l'affermazione di collegamenti organizzativi finalizzati al compimento di attività terroristiche fino a quanto rimangono allo stato di idee, dato che nel nostro ordinamento (che tutela la libertà di pensiero) la semplice adesione ad una ideologia, anche se eversiva, non può integrare un'ipotesi di reato se non si traduce nella realizzazione di una struttura organizzativa o di concreti atti di violenza».

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