Denise Holstein-Non vi dimenticherò mai, bambini miei di Auschwitz 04/01/2007
giulio busi,denise holstein
Autore: Giorgia Greco
Non vi dimenticherò mai, bambini miei di Auschwitz –Denise Holstein
Il Melangolo               Euro 10,00

Anche Denise va talvolta al cinema per vedere film sulla Shoah ma ne esce
“dopo dieci minuti con la voglia di urlare per come tradiscono la verità.
C’è sempre una donna graziosa, un bel deportato, una storia d’amore che non
sta in piedi”.
Meglio il silenzio, allora. E infatti Denise tace per 45 anni.
Quando finalmente trova il coraggio per comunicare, le parole fluiscono
come se gli eventi fossero appena accaduti. Si direbbe che il trauma del
lager porti con sé una misteriosa simultaneità della memoria: il tono del
racconto, le osservazioni psicologiche e i paesaggi stessi sembrano ancora,
a distanza di tanti anni, quelli percepiti dall’adolescente, strappata alla
sua casa di Reims e gettata nella macchina dell’annientamento.
L’effetto straniante,che ha fatto di queste memorie –ora tradotte dal
Melangolo -, un caso letterario in Francia, è dato dal profondo contrasto
tra la semplicità quasi ingenua della scrittura e la terribile crudezza
delle immagini che scorrono davanti al lettore.
Senza retorica, senza enfatizzare i propri sentimenti ma anche senza
scusarsi, la Holstein riesce a rendere con precisione il pervasivo
incessante terrore e la paura senza confini, disumana nella sua dimensione
assoluta.
Le stazioni di questa storia sono in un certo senso ”prevedibili”. Attorno
alla famiglia ebraica del dott. Holstein, stimato dentista della provincia
francese, si stringe a poco a poco il cerchio della persecuzione. Prima le
angherie quotidiane, imposte dagli occupanti tedeschi e assecondate dai
francesi con relativa indifferenza, poi l’arresto e la prima deportazione
verso il centro di transito di Drancy. Da qui, i genitori di Denise vengono
spediti direttamente ad Auschwitz per essere uccisi, mentre la ragazza
riesce ad avere, per qualche mese, un incarico come accompagnatrice dei
bambini ebrei orfani. L’interludio, tuttavia, rende solo più terribile
l’arrivo al campo di sterminio, dove Denise assiste impotente
all’assassinio dei piccoli nelle camere a gas.
“Il cielo è rosso, l’odore spaventoso, l’aria irrespirabile. Fiamme
gigantesche escono dai camini”.
Nelle ultime settimane di prigionia è assegnata a una baracca proprio di
fronte ai forni crematori: “Come si può vivere, dormire, mangiare davanti a
un simile spettacolo?”
La guerra sta ormai per finire e Denise sa di essere “giovane, abbastanza
forte e di volerne venir fuori”. Gli alleati sono sempre più vicini, i
tedeschi abbandonano la Polonia e Denise è trasferita, assieme ad altri
prigionieri, a Bergen-Belsen. Il 6 di febbraio del 1945 compie diciotto
anni e ricorda che suo padre le aveva promesso per quel giorno una bella
festa. Così si fa da sola un regalo, un paio di stivali che le costa
“quattro giorni di pane e una settimana di margarina” e alla fine della
quale è allo stremo delle sue forze. Il 15 aprile i soldati inglesi che
liberano il campo distribuiscono le loro razioni alimentari. Così è la
pietà questa volta a uccidere, perché molti muoiono per dissenteria. Denise
però ce la fa: “Ho veramente l’impressione di attraversare la porta
dell’inferno, ma nel senso buono, quello dell’uscita”.
Nella ormai sconfinata letteratura sulla Shoah, il racconto autobiografico
di Denise Holstein rientra nel novero delle testimonianze tardive e della
scrittura priva di orpelli.
Ma davanti un simile materiale è davvero difficile esercitare il mestiere
impersonale della critica letteraria.

Giulio Busi
Il Sole 24 Ore