Mieli e Calamandrei 02/01/2007
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A proposito dell'articolo di Paolo Mieli sull'impiccagione dell'ex dittatore iracheno.

Il direttore del Corriere della sera cita Piero Calamandrei  "Perché gli imputati si sono trovati solo tra i vinti? perché i giudici soltanto tra i vincitori?", frase estrapolata da un articolo pubblicato su Il Ponte dl 1946 a proposito del processo di Norimberga ad alcuni degli ex gerarchi nazisti. Invio il testo che ho ritrovato sul sito  http://www.presentepassato.it/Dossier/Guerrapace/Documenti5/doc5_9.htm perché ritengo che ci sia un'incompletezza d'informazione, se si cita esclusivamente questa frase avulsa dal suo contesto. 
Un pò come quando si cita la poesia di Primo Levi Se questo è un uomo finendo quasi sempre con il "meditate che questo è stato". Ma questa non è la fine, perché c'è una maledizione lanciata ai posteri che mette i brividi solamente a pensarla (...O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri nati torcano il viso da voi. ) che è molto rassicurante non citare.
Invito dunque a leggere attentamente Calamandrei cominciando dall'incipit.  Pure oggi ci sono molte anime bennate che hanno gridato allo scandalo davanti al patibolo. Io appartengo a quella schiera che si dichiara contro la pena di morte ma che vive il tormento della ragione e dell'anima quando si trova di fronte a uomini che si sono macchiati dei più feroci delitti: sottile è la linea che distingue e unisce giustizia e vendetta..... 
Sessant'anni fa Calamandrei si pone queste domande già prefigurando la condanna della bomba atomica ed i bombardamenti alleati ma pure si chiede "Quante generazioni occorreranno per dimenticare il maleficio inflittoci da coloro che trasformarono in forche per creature innocenti i benigni alberi delle nostre campagne?" Domanda non retorica se appena ci ricordiamo di cosa è successo in Cile per la morte del dittatore Pinochet -nel suo letto!- e durante i funerali: scontri tra coloro che inneggiavano al massacratore e tra i sopravvissuti all'orrore ed alla perdita dei propri cari. In Iraq c'è ora, attraverso gli attentati terroristici, una resa dei conti che l'intervento americano ha reso visibile e fattibile eliminando il dittatore e la sua corte.
Qualche osservazione.
Prima ancora di citare Norimberga, Mieli dovrebbe ricordare i processi nostrani (e quelli mai avvenuti o nascosti negli armadi della vergogna) e l'epigrafe scritta proprio da Calamandrei per una lapide "ad ignominia" collocata sullo scalone del Palazzo Comunale di Cuneo in segno di indignata protesta per la scarcerazione di  Albert Kesserling, il criminale nazista  comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia. Processato e condannato a morte per crimini di guerra (tra i quali Fosse Ardeatine e Marzabotto) la condanna fu commutata nel carcere a vita. Ma in considerazione delle sue "gravi" condizioni di salute, nel 1952 fu messo in libertà. Tornato Germania fu accolto come un eroe dai neonazisti bavaresi ed ebbe la sfrontatezza di dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi e che gli italiani avrebbero fatto bene a erigergli... un monumento! E' a quel monumento che Calamandrei si riferisce quando scrive "Lo avrai camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi italiani ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi (...)". E', questa, giustizia?
Albert Speer, l'architetto del fuhrer, il ministro degli armamenti ecc. ebbe salva la vita perché immediatamente seppe accattivarsi la benevolenza dei giudici. "il solo che a Norimberga si fosse assunto tutte le colpe sue, del nazismo e della Germania, ricavandone il disprezzo dei vecchi amici e camerati" (C.Fruttero-F.Lucentini, La Stampa 8.10.95). Trascorse vent'anni nel carcere di Spandau a coltivare un giardino ed a scrivere le sue (fortunate) memorie morendo anziano nel 1981 nel letto della sua giovane amante londinese (Gitta Sereny, In lotta con la verità, Rizzoli 1995). E', questa, giustizia?
Non mi sento spregevole se penso che la storia mi ha risparmiato l'autobiografia di Saddam e la mia coscienza sarà pur tormentata, ma infinitamente più leggera. Mieli, così attento alla Storia da divenire uno storico, dovrebbe altrettanto attentamente rileggere la tragica attualità del testo di Calamandrei e poi discutere di pietas e giustizia.
Tina Fronte

 

Le leggi di Antigone (di Piero Calamandrei in: Il Ponte, novembre 1946]

Qualche anima bennata si sente offesa e impietosita dinanzi a queste forche e a questi giustiziati.

Certo, si preferirebbe non trovar riprodotte queste macabre documentazioni nella stessa pagina illustrata in cui si esibiscono le nudità delle attrici di moda con altra austerità si vorrebbe veder annunciata questa catarsi simbolica della immensa tragedia mondiale. Ma la nostra pietà, prima di riuscire a commuoversi dinanzi a queste undici salme, rimane tutta assorta (per quanto tempo ancora!) dinanzi ad altri supplizi e ad altri orrori più vicini e più nostri.

Che ci importa di sapere come son finiti questi condannati sotto i neri cappucci imposti dal giustiziere di Norimberga? Quello che più ci offende e ci impietosisce è che il loro passaggio sul mondo abbia lasciato dietro di sé l'ombra lugubre di altri capestri innumerevoli, che contrista ed oscura come una stregoneria le nostre terre un tempo così soleggiate e ridenti. Questa serena piazza provinciale, che era popolata per noi dei magici ricordi della fanciullezza, ha perduto per sempre la sua pace accogliente da quando sappiamo che vi è rimasto esposto per ventiquattro ore, tra sentinelle tedesche, un povero ragazzo innocente impiccato ad un'inferriata; e in un altro paese toscano il viale dei vecchi platani, nel quale dalla porta delle mura sfociava nei pomeriggi domenicali la folla festiva, è diventato, da quel giorno che ad ogni tronco si vide penzolare uno dei cento ostaggi, un desolato cammino di cimitero, dal quale i superstiti non passano senza segnarsi. Quante generazioni occorreranno per dimenticare il maleficio inflittoci da coloro che trasformarono in forche per creature innocenti i benigni alberi delle nostre campagne?

Ma lo scrupolo legalitario di certi loici, che non si turba dinanzi a milioni di vittime umili ed anonime sacrificate senza processo, è tormentato da assillanti dubbi di procedura dinanzi a questa sentenza uscita da un anno di dibattimenti: come si è potuto condannarli se non c'erano leggi prestabilite, né pene comminate, né garanzia di giudici imparziali? Quello che lo stato permette, o addirittura premia, non può esser delitto. Torturare, stuprare, evirare, adoprare uomini e donne come cavie da vivisezione, cremarli vivi per estrarne utili sostanze chimiche, tutto questo era fatto per la più Grande Germania: il Führer, che l'ha voluto, si è valso di un potere affidatogli dal popolo per il bene della nazione; chi obbediva a quelle leggi, compieva per la nazione il suo dovere di cittadino. Undici criminali? No: undici eroi nazionali.

Cosi ragionano i loici; e non si accorgono che il problema non può esser risolto sul piano delle leggi nazionali. In realtà questa giustizia va angosciosamente in cerca di una pacificazione più vasta: vuoi aprire ai popoli un filo di speranza in una autorità più alta degli stati. Guai se non si fosse arrivati a questo epilogo: guai se alla fine non avessero prevalso con questa tendenza le leggi universali decretate dai gemiti e dalle invocazioni dei milioni di martirizzati innocenti!

Le leggi, non scritte nei codici dei re, alle quali obbediva Antigone; le "leggi dell'umanità" che furono fino a ieri una frase di stile relegata nei preamboli delle convenzioni internazionali -, queste leggi hanno cominciato ad affermarsi, nella funebre aula di Norimberga, come vere leggi sanzionate: l'"umanità", da vaga espressione retorica, ha dato segno di voler diventare un ordinamento giuridico.

Ma i bombardamenti a tappeto, ma le popolazioni innocenti sterminate dall'alto? ma la bomba atomica? Perché gli imputati si sono trovati solo tra i vinti? per ché i giudici soltanto tra i vincitori?

Domande gravi, ma che non debbono servire, se fatte in buona fede, a spostare il problema. L'essenziale, infatti, non è per ora che i giudici siano senza peccato: l'essenziale è che la violazione delle leggi dell'umanità abbia cominciato a trovare un tribunale e una sanzione. Quel che conta è il "precedente", che domani varrà come legge per tutti, per i vinti e per i vincitori: che si rivolgerà, occorrendo, contro gli stessi giudici di oggi.

Nella sentenza di Norimberga c'è implicita per domani la condanna delle spietata inumanità della bomba atomica di questo devono accorgersi gli uomini di buona fede, e trarne conforto.

Cogli altri, con quelli che non sanno darsi pace della sconfitta della Germania, è inutile discutere. Rispettiamo la loro mestizia: lasciamoli a ricordare con nostalgia i tempi felici in cui il grosso padrone tedesco, oggi cenere, si degnava periodicamente di scender tra noi a razziare le nostre opere d'arte; ed essi, allineati sulla banchina della stazione, erano fieri di servirlo col saluto romano.