Mosè Maimonide Immortalità e Resurrezione 21/11/2006
Autore: Giorgia Greco
Immortalità e Resurrezione                   Mosè Maimonide
a cura di Giuseppe Laras
Casa Editrice                          Morcelliana             Euro 15,00

La fortuna è cieca. Anzi dispettosa, e gioca a rimpiattino con chi la
rincorre. Meglio fingere d’ignorarla e ostentare disinteresse, magari
seguendola con la coda dell’occhio.
Un caso esemplare di burbero baciato dalla dea è quello di Mosè Maimonide,
accigliato filosofo del medioevo ebraico. Di lettori proprio non ne voleva,
e chi si avvicinava alle sue opere senza le dovute cautele veniva
aspramente rimproverato: “Non prendere in considerazione nessuna delle mie
parole – scriveva il maestro – giacchè non solo non ti daranno alcuna
soddisfazione ma ti arrecheranno anche danno e avversione”. E poi rincarava
la dose: “sarebbe come somministrare un cibo raffinato a uomini abituati a
nutrirsi solo di cipolle, aglio e pesce”.
In realtà, Maimonide ancor oggi uno degli autori ebrei più letti, e le sue
opere costituiscono un capitolo fondamentale della storia del pensiero
giudaico. Se necessario, seppe rivolgersi a interlocutori di diverso
livello ed esprimersi con cristallina semplicità. Tuttavia, il segreto
della sua fortuna deriva anche dal disdegno aristocratico che traspare da
tante delle sue pagine. Non si stanca infatti di ripetere che meglio
scrivere per un solo sapiente piuttosto che per una massa d’ignoranti, ed è
proprio questo a stuzzicare l’orgoglio del lettore, poiché ciascuno di noi,
in fondo, vorrebbe identificarsi con quell’unico saggio.
Maimonide era profondamente convinto che il livello ultimo di conoscenza
fosse riservato a pochi, e su questo concetto sono costruiti anche i brevi
testi dedicati a “Immortalità e Resurrezione”, tradotti da Giuseppe Laras
per Morcelliana.
Per un razionalista come Maimonide, la fede nella resurrezione dei corpi,
così importante nella tradizione rabbinica, costituiva certo una sfida
intellettuale. La ricomposizione delle membra dopo la dissoluzione della
morte è infatti contraria alle leggi di natura, è un paradosso che
contrasta con l’aristotelismo maimonideo.La soluzione che il filosofo
propone al suo unico lettore è tuttavia accomodante. Proprio perché è un
miracolo, la resurrezione non ha bisogno di prove razionali e “ha come
unico supporto la forza della tradizione”. Diverso invece il problema
dell’immortalità. Come i pesci sono ignari del fuoco, giacchè vivono
nell’elemento contrario, così per Maimonide gli uomini stentano a
comprendere l’incorporeo, legati come sono ai desideri fisici. Solo lo
studio della Torah e una rigorosa disciplina intellettuale possono farci
intuire il vero bene spirituale, che è godimento della perfezione divina.
La via che Maimonide indica è quella del distacco dai beni mondani e dello
studio disinteressato, che ha come ricompensa una moneta di valore
inestimabile: la verità. Il filosofo racchiude allora il proprio imperativo
ermeneutico in una frase lapidaria: “La verità non ha altro scopo se non
sapere che essa è la verità”.
Non c’è da stupirsi che le ricompense a cui quasi tutti aspirano lo
facciano sorridere. Un giardino dell’Eden con “letti guarniti di seta e
ruscelli di vino e oli profumati” è naturalmente un’immagine buona per il
volgo, poiché il vero dotto sa che il bene ultimo non è intriso di materia
ma consiste “nell’immortalità dell’anima, che dimora nell’intelletto
agente, ovvero in Dio”.
La posta in gioco è dunque l’eternità. I lettori sono avvisati.

Giulio Busi
Il Sole 24 Ore