Una lettera a Furio Colombo 15/11/2006
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Egregio Furio Colombo,

 non mi sento sufficientemente competente in materia per commentare in dettaglio il Suo intervento sulla intervista di D’Alema del 10 novembre, 2006 pubblicato sull'Unità  di ieri. Da ebreo italiano che ha trascorso quasi tutta la propria vita negli USA (ho 48 anni) vorrei, tuttavia, suggerirle di rivedersi il film “Fiddler on the roof”. Lei, e come Lei, tutti gli intellettuali ebrei italiani “di sinistra” mi ricorda un po’ quel “violinista sul tetto”. Pur producendo melodie a volte bellissime, siete perennemente in pericolo di cadere dal tetto tanta è la precarietà delle vs posizioni. Quando Lei sostiene che: “L’intervista dunque è una efficace rappresentazione del più grande tra tutti i problemi di Israele, il suo vero male oscuro, la solitudine, una sorte che non tocca mai a un Paese con cui si condividono valori giuridici, morali, legami di cultura e di storia. Soprattutto il patrimonio comune della liberazione dal fascismo e dal nazismo.” Lei compie un abile tentativo di ridurre l’impatto delle gravissime affermazioni di D’Alema. Il Suo tentativo, tuttavia, non può che fallire. Non sfugge infatti anche ad un osservatore superficiale come il sottoscritto che il predecessore “fascista” di D’Alema tutto avrà fatto fuor che lasciare Israele in “solitudine”. Mi reputo una persona politicamente “di sinistra”. Uno che fino a pochi anni fa si è sempre rifiutato di votare “da ebreo”. Oggi, tuttavia, le cose sono cambiate. Mai come oggi l’esistenza stessa di Isaele è in pericolo. Non è tempo di melodie in bilico su un tetto…Gilberto I. Gentilli

 

 

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