Irène Némirovky La moglie di Don Giovanni 17/10/2006
Autore: Giorgia Greco
 La moglie di Don Giovanni        Irène Némirovky
 Trad. Laura Frausin Guarino
 Casa Editrice                    Adelphi


 A una donna si può fare di tutto: tradirla, picchiarla e abbandonarla, ma
 se un uomo può perdonare chi lo deride, una donna mai”.
 E’ la morale del racconto di Irène Némirovsky “La moglie di don Giovanni”
 (1938), parabola fulminante sulla spietatezza femminile, ora pubblicata 
per la prima volta in italiano. La forma è epistolare: una vecchia domestica,
 in punto di morte, scrive una lettera a una donna di cui si occupava 
quando l’attuale signora era una bambina. Vuole svelarle la verità sulla tragica
 vicenda che le sottrasse entrambe i genitori, visto che il padre fu ucciso
 dalla madre, la quale venne incarcerata per il delitto.
 Il padre era un don Giovanni: bellissimo, adorato dalle donne e generoso
 nell’amarle. Ricca e sgraziata, sposata solo per i soldi, la madre
 tollerava in silenzio. Sopportando tutto, ma non la beffa. Di fronte alla
 burla e alla derisione del seduttore, metterà gelidamente mano alla
 pistola.
 Nata a Kiev nel 1903 e morta ad Auschwitz nel ’42, la Némirovsky,
 acclamatissima in Francia negli anni Trenta, è una cultrice raffinata del
 racconto breve, per cui s’ispira a Cechov e a Maupassant. Un romanzo,
dice, consente di penetrare in un ambiente: ce ne impregniamo, lo amiamo o lo
 detestiamo. Una novella è una porta che ci fa intravedere per un istante
 una casa sconosciuta e subito si richiude. E’ uno sprazzo, un 
avvertimento,che esige quindi estrema economia di mezzi. E che ha la virtù del pudore. 
A volte il romanziere può o deve parlare di sé stesso. Invece l’autore di
 novelle, che ha il tempo contato, è costretto a tenersi in disparte e a 
far parlare solo i personaggi, per i quali non mostra mai pietà e ai quali non
 può affezionarsi, sempre per mancanza di tempo. Nella “Moglie di don
 Giovanni” la Némirovsky si attiene scrupolosamente a queste regole. Il
 testo corre in un soffio. Asciutto e vivido, estraneo a orpelli e a
 sentimentalismi, stilato senza affettività, come un teorema logico, ha la
 leggerezza del ghiaccio e una crudeltà venata di ironia.

Leonetta Bentivoglio
 La Repubblica