Pellegrinaggi persiani Afshin Molavi
Il Saggiatore
Lipstick Jihad Azadeh Moaveni
Editrice Pisani
L’ultima primavera Ahmad Rafat
Edizioni Polistampa
Il 17 giugno 2005 veniva eletto in Iran l’ultraconservatore Mahmoud
Ahmadinejad, il primo presidente non religioso dopo Bani Sadr nel 1981. La
sua vittoria che stupì non solo l’Occidente ma anche molti iraniani fu
resa
possibile sia dalla crisi economica, sia dall’impopolarità di Hashemi
Rafsanjani, uomo ricco e fortemente corrotto, sia dal fatto che
Ahmadinejad
si presentava ai poveri (che rappresentano circa il quaranta percento
della
popolazione) come uno di loro che aveva partecipato alla guerra in Iraq e,
facendo leva sull’indignazione della gente nei confronti dei lussi
ostentati dalle alte personalità del regime, promise agli iraniani che
“avrebbe convogliato sulle loro tavole i proventi del petrolio”.
Dopo qualche mese le gravi esternazioni di Ahmadinejad a un summit di
paesi
arabi alla Mecca sulla speranza che Israele venisse cancellata dalla carta
geografica e la successiva negazione dell’Olocausto provocarono immediate
e
giuste reazioni da parte di tutto l’Occidente.
Oggi vivono in Iran 35.00 ebrei ma prima della rivoluzione erano circa
100.000 poi un esodo continuo ma costante ha ridotto notevolmente la
comunità ebraica.
Nel 2000 la vicenda dei tredici ebrei iraniani incarcerati con l’accusa di
spionaggio a favore di Israele mobilitò l’America, la Francia e il
Congresso Mondiale ebraico.
Anche se “nessuno si comporta aggressivamente contro di noi” dice Harun
Jashajaei, presidente della comunità ebraica di Teheran, gli ebrei
iraniani
preferiscono tenere un basso profilo e non dare nell’occhio.
Dice Pooya uno studente ebreo intervistato da Afshin Molavi nel suo saggio
“Pellegrinaggi persiani” a proposito della Rivoluzione: “Non è stato
facile
per noi all’inizio, non eravamo perseguitati, ma ci sentivamo a disagio.
….Amo l’Iran questo è il mio paese. Tutti i miei amici più cari sono qui.
Non metto sullo stesso piano il paese e il governo”.
Durante la seconda guerra mondiale lo Scià riuscì a convincere i nazisti
che gli ebrei iraniani avendo vissuto in Iran per più di 2500 anni, erano
da considerarsi cittadini della nazione persiana e quindi iraniani a tutti
gli effetti. Così la vita degli ebrei iraniani residenti in Europa fu
salvata e anche quella di migliaia di ebrei ai quali i diplomatici
iraniani concessero velocemente passaporti iraniani.
Ma come è la situazione del paese dopo anno dall’elezione di Ahmadinejad?
Come vivono gli iraniani, quali sono le loro speranze?
Ho cercato di capirlo ponendo alcune domande a giornalisti e scrittori che
hanno recentemente pubblicato i loro libri in Italia.
Afshin Molavi, autore di “Pellegrinaggi persiani”, è un giornalista nato
in Iran e cresciuto negli Stati Uniti ha lavorato per il Washington Post in
Iran e nel 1999 decise di intraprendere un lungo viaggio attraverso l’Iran.
“Per oltre un anno ho viaggiato attraverso questa terra antica,
sofisticata e tormentata per osservare, ascoltare, discutere, pensare e scrivere. Ho
percorso migliaia di chilometri e visitato più di venti città e villaggi.
A tutte le persone che ho incontrato ho rivolto una semplice richiesta:
Raccontami la tua storia”.
Come giornalista Molavi ha osservato con attenzione la politica, ha visto
un paese lacerato tra il desiderio di libertà che accomuna poveri e ricchi
e l’oscurantismo degli ayatollah nei quali risiede ogni potere. Ha
assistito alla determinazione con cui i taxisti rifiutano di prendere a
bordo i religiosi, ha ascoltato le opinioni della gente comune, dei reduci
di guerra, di studenti progressisti, di esponenti religiosi sul movimento
democratico, sulla censura, sulla libertà di stampa.
Ma nel libro di Afshin Molavi c’è anche la Storia. Il suo pellegrinaggio
ci conduce alla tomba di Ciro il Grande sull’altopiano di Pasargade e a
quella di Hafez uno fra i poeti più amati dagli iraniani fino al mausoleo di
Khomeini a Teheran.
E’ una civiltà colta e raffinata che ha dato frutti duraturi e che ha
vissuto conflitti aspri e profondi quella che ci presenta Molavi. Questo
libro non è solo un’esperienza commovente e una profonda riflessione
personale ma è anche il ritratto di un paese narrato attraverso le vicende
e le speranze del suo popolo.
Lipstick Jihad di Azadeh Moaveni spicca fra i libri recenti sull’Iran per
l’ironia con la quale narra della sua vita in California insieme alla sua
famiglia fuggita alla vigilia della rivoluzione islamica e per la
profondità con la quale descrive la vita a Teheran all’epoca della
presidenza di Khatami dove si reca nel 2000 come corrispondente del
settimanale Time. “ Partii alla ricerca di un Iran moderno, e in
particolar modo della generazione della Rivoluzione….la generazione di cui avrei
fatto parte, se non fossi cresciuta al di fuori del paese. L’Iran, scoprii, non
era la Morte Nera, ma un paese dove la gente votava, si rifaceva il naso e
mangiava patatine fritte”.
Se l’oscurantismo dei mullah soffoca ogni afflato di libertà, in privato
gli iraniani cercano di concedersi ciò che in pubblico è vietato e le
donne in particolare sfidano i divieti dei religiosi con…..smalto e rossetto.
Emerge nel libro anche la difficoltà per le seconde generazioni di
acquisire una identità propria, costantemente in bilico fra due culture,
fra due paesi in conflitto fra di loro.
Un libro da leggere per conoscere l’”altro” Iran.
La lotta per la libertà di informazione in Iran è sapientemente illustrata
nel libro L’ultima primavera a cura di Ahmad Rafat.
Dodici famosi giornalisti fra cui Mashaollah Shamselvaezin, Mehrangiz Kar,
Mohsen Sazgara raccontano le loro vicende con la censura e la repressione
messa in atto dalla Repubblica islamica.
Dai loro scritti emergono una tenacia e una forza di volontà ammirevoli che
impediscono loro di desistere dinanzi anche agli attacchi più duri perché
come dice Shamsevaezin “non si può tradire la fiducia dei lettori”.
“La fine della primavera della stampa ha costretto molti giornalisti a
emigrare in rete. Solo le agenzie di stampa nazionali e locali che nella
Repubblica islamica trasmettono esclusivamente in Rete sono più di un
centinaio. Il successo dei blogger ha raggiunto una dimensione tale che
molti esponenti del Khatamismo rimasti disoccupati con l’ascesa di
Ahmadinejad sono rinati nel mondo virtuale. Per il loro successo i blogger
hanno pagato un prezzo molto caro…..alcuni hanno conosciuto il carcere e
molti hanno dovuto lasciare la Repubblica Islamica e imboccare la strada
dell’esilio per non rientrare in carcere”.
L’elezione di Ahmadinejad ha decretato la fine del riformismo?
Per Afshin Molavi il riformismo non è morto ma solo fortemente indebolito.
Penso – mi spiega – che ora la gente sia molto più preoccupata riguardo a
questioni economiche che politiche e abbia perso la pazienza con i
riformisti islamici della cerchia di Khatami. Un nazionalista come
Mossadeq avrebbe molte più possibilità di sconfiggere Ahmadinejad rispetto a un
riformista.
Anche Azadeh Moaveni il riformismo non è morto ma non costituisce più un
pubblico dibattito rimane ristretto ad una sfera più “privata” e non è al
momento capace di influenzare la cultura politica o determinare un vero
cambiamento.
Quanto influenza ancora oggi i giovani iraniani la figura di Ali Shariati?
Molavi mi spiega che Shariati ha avuto un forte ruolo negli anni settanta
nella radicalizzazione dei giovani. “Ha dato loro un manifesto per la
rivoluzione che includeva anche aspetti della loro fede e lo fece con
estrema eleganza e stile ponendosi quale intellettuale radicale impegnato”.
Certamente ancor oggi ha una certa influenza sui giovani.
La religione islamica è compatibile con la modernità?
Per Moaveni tutte le teocrazie e tutte le religioni del mondo sono
incompatibili con la democrazia che deve essere secolare.
Molavi : “Credo che il problema maggiore che l’Iran abbia dovuto
affrontarenegli ultimi cento anni sia stata la lotta fra tradizione e modernità. In
certi casi la modernità ha vinto in altri ha vinto la tradizione. Oggi
nella Repubblica islamica il paese è governato da una cricca che governa
nel nome della tradizione ma usa i moderni metodi dell’autoritarismo.
L’Iran ha bisogno di voci forti, credibili che gettino i semi del
cambiamento e rompano con la tradizione e il potere repressivo.
Giorgia Greco