Il dialogo interreligioso 21/09/2006
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo:

Credo che siano utili alcune riflessioni su ciò che è accaduto a partire dalla lectio magistralis di Papa Benedetto XVI a Regensburg (Ratisbona):un discorso, estremamente complesso, che partendo dal presupposto del dialogo interreligioso e della discussione sul binomio fede e ragione, si apriva alla discussione sulla scienza e la filosofia moderne, l’illuminismo, l’etica, e il rapporto Dio-uomo così come si è strutturato nelle religioni monoteistiche, è stato condensato in una pillola avvelenata che ha infiammato il mondo islamico fondamentalista, trascinando per simpateticità anche gran parte di quello moderato impaurito per la possibilità di essere messo in un angolo. E’ naturalmente facile concludere che se ciò è avvenuto la responsabilità è di colui che intervenendo ha commesso un errore sostanziale o comunque di comunicazione. Sarebbe altrettanto facile replicare che lo scoppio di violenza incontrollata, con chiese bruciate e religiose uccise, dimostra la verità della analisi attribuita al Papa sul rapporto fede-violenza . Lo spirito del dialogo, basti pensare a quello socratico-platonico o a quello talmudico, prevede la franchezza della discussione, la durezza delle diversità di pensiero, il tentativo maieutico di convinzione. Non prevede invece la violenza come metodo per concludere la discussione. Il Papa mette in rapporto fra di loro giudaismo, cristianesimo, filosofia greca. Riprendendo Manuele II "Non agire secondo ragione (con il logos) è contrario alla natura di Dio", invita nel dialogo delle culture gli interlocutori. Il Dio giudaico-cristiano, che ha concesso all’uomo il libero arbitrio non è assolutamente trascendente, come nella tradizione islamica, per cui "tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esiste una vera analogia" Se invece si accentua la trascendenza di Dio, per cui la sua libertà avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di quello che ha fatto, si potrebbe arrivare ad " un Dio-Arbitrio, che non è legato nemmeno alla verità e al bene". Alle origini del pensiero ebraico e cristiano, nel medioevo ci sono due grandi pensatori come Maimonide e S.Tommaso: ambedue studiosi di Aristotile , lo hanno, riprendendolo da Averroè, tradotto e trasferito nelle rispettive religioni, fornendo loro un substrato teorico talmente forte che, nonostante le incomprensioni, l’antigiudaismo, le persecuzioni più terribili nel corso dei secoli, è sopravissuto, dando luogo, a partire dal Concilio Vaticano II, la dichiarazione Nostra Aetate e il lavoro successivo di Papa Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ad una fioritura di incontri nel dialogo i cui frutti migliori sono per maturare. E Averroè, il più grande degli interpreti di Aristotile, l’iniziatore di una tradizione islamica legata alla filosofia e alla ragione? Vissuto a Cordoba nella seconda metà del 1.100, nel 1195 fu condannato dal sovrano almohade Al Mansur, sotto la spinta delle sette islamiche più ortodosse, all’esilio a Lucena. Lo stesso sovrano pubblicò un editto in cui si diceva che Dio aveva riservato il fuoco eterno per chi pensava che la verità potesse essere trovata per mezzo della sola ragione. Tutti i libri di logica e metafisica furono dati alle fiamme. Averroè fu successivamente trasferito in stato di detenzione in Marocco dove morirà nel 1198. Il teologo Al Gazali lo criticò in nome della religione contro la filosofia, affermando che non c’è un nesso di causalità, se non nella forza operante di Dio: ci sono cose che si sottraggono ad ogni prova. Inizia da qui il divorzio delle tradizioni giudaico-cristiana, da una parte e di quella islamica dall’altra, tanto da far dire, ad un filosofo laico come Bertrand Russel che "Averroè è più importante per la filosofia cristiana che per quella maomettana. Nella seconda rappresenta un punto morto; nella prima un inizio". Se Averroè fosse stato accettato e integrato nell’islam la storia avrebbe avuto un corso assai diverso e diversi sarebbero stati i rapporti fra le tre grandi religioni monoteistiche. La storia non si fa con i se; tuttavia, poiché non siamo né fatalisti né deterministi ci auguriamo che ciò che non è avvenuto agli inizi del secondo millennio possa avvenire, sia pure faticosamente agli inizi del terzo. Ma questo, per riprendere le parole di Benedetto XVI deve avvenire nel"rispetto reciproco". E credo che reciproco vada sottolineato.

Guido Guastalla
Assessore alla cultura
Comunità ebraica Livorno