«Ci sarà pace solo se si decapita Hezbollah» 15/08/2006
Autore: Angelo Pezzana
Gerusalemme - I centri di ricerca politica, nazionale e internazionale sono una realtà importante in Israele, così come avviene negli Stati Uniti, dove i Think Tank che elaborano analisi e valutazioni storico- politiche sono un punto di riferimento privilegiato del governo. Nel nostro paese sono quasi inesistenti, lavorano nel totale disinteresse dei partiti e, salvo pochissimi che arrancano alla meno peggio, non ricevono alcuna attenzione. In Israele si sono sviluppati all’interno delle università, accanto a quelli finanziati privatamente. I risultati valgono l’investimento. All’università di Bar Ilan, il prof. Efraim Inbar è il direttore del Centro per gli studi strategici Begin-Sadat (BESA), dove chi vuole approfondire i temi di scienza politica può trovare gli studi più seri ed accurati. Siria,Iran, i rapporti fra sciiti e sunniti, arabi israeliani, analisi strategiche sui possibili scenari imminenti, dal centro BESA escono informazioni preziose e indispensabili per capire dove stiamo andando. Lo incontriamo nelle ore in cui l’opinione pubblica, non solo israeliana, sta aspettando di sapere se la guerra continua, cosa deciderà l’Onu e quali conseguenze ne trarrà Olmert. Inbar, da buon stratega, non sembra preoccupato per il domani, Hezbollah, ci dice, in un modo o nell’altro verrà sradicato. Certo, è stato commesso un errore nella sottovalutazione delle sue forze, ma ciò che conta è liberarsi da quella palla al piede che sono i luoghi comuni quando si parla di mondo arabo. Dove il problema non è l’islam ma la politica. Gli arabi non sono in favore del dialogo, rispettano il potere e a quello ubbidiscono. Per questo Israele deve riprendere al più presto le eliminazioni mirate. Nasrallah va eliminato. Nella mentalità araba il capo, il leader, finchè è vivo continua a incutere timore e paura, si veda quale esempio illuminante il caso di Saddam Hussein. Se l’Iraq è sconvolto da una guerra civile molto dipende dal fatto che Saddam, una volta catturato, gli americani – o gli iracheni stessi – non hanno subito provveduto alla sua eliminazione. Saddam vivo può tirare ancora i fili della ribellione, comunque un suo ritorno sulla scena politica non può essere escluso, per questo fa ancora paura. In quanto alla Siria sbagliano coloro che si illudono di poterla allontanare dall’alleanza con l’Iran. La Siria, un paese militarmente debole e con una guida politica la cui intelligenza si avvicina allo zero, ha un regime laico ma fascista. Sostenendo Hezbollah, ha voluto colpire Israele indirettamente, Per questo è un errore cercare un accordo. Sono sforzi inutili, già Kissinger, nel ’76, dopo l’esperienza della guerra del Kippur del ’73, cercò di inserirsi nell’alleanza Siria-URSS, nel tentativo di spezzarla e portare il regime di Assad nella sfera di influenza americana, come fece con successo con l’Egitto. Ma fallì. Ci riuscì invece la Turchia nel ’98, quando lanciò alla Siria un ultimatum per liberarsi dal partito comunista curdo, quel PKK di Ocialan che organizzava gli attentati in Turchia con l’appoggio di Assad. Il quale, di fronte ad una minaccia reale di guerra, cedette, e il terrorismo del PKK ebbe fine. Lo stesso vale oggi con Nasrallah, ci vuole una escalation maggiore contro Hezbollah e, perchè no ?, contro la Siria, che ospita anche la base ideologico-organizzativa di Hamas. La Siria è un nemico dichiarato dell’America, o cambia campo a 360 gradi, ma veramente, oppure deve essere attaccata per distruggerne le infrastrutture che tengono in piedi il regime. Per Efraim Inbaril rovesciamento del polically correct deve essere totale. Dobbiamo smetterla, ci dice, di continuare con la litania dei “ territori in cambio di pace “. Israele deve fare come fanno tutti gli altri paesi quando vincono una guerra, oltre a tutto di difesa e non di aggressione. Pace contro pace, e nient’altro deve essere l’offerta, altro che territori, specialmente se guardando la carta geografica vediamo che le alture del Golan, se dovessero mai ritornare alla Siria, si trasformerebbero a breve in un altro pretesto di guerra. Il versante israeliano rimane a Israele per la sua sicurezza, quello siriano rimane alla Siria. Pace sì ma a solo a queste condizioni. Gaza e Libano insegnano. Israele ha lasciato completamente il Libano nel 2000 e cosa si ritrova dopo sei anni ? Di doverne rioccupare la parte sud, con ingenti perdite umane, perchè da uno stato confinante è stato attaccato da una milizia terrorista che ormai in nulla più si differenzia da quella ufficiale libanese. Con la beffa di passare di fronte all’opinione pubblica mondiale come uno stato aggressore ! Israele deve imparare a dire NO, tanto ha capito sulla propria pelle che in caso di bisogno deve contare sulle proprie forze e quindi infischiarsene se le anime belle europee si scandalizzano se per difendersi, reagisce. Altro argomento sul quale Efraim Inbar capovolge le analisi sin qui fatte sia sul piano politico che su quello dell’informazione, è il futuro dello Stato palestinese. Non ci potrà mai essere, ci dice, almeno nella dimensione nella quale siamo portati a giudicare uno stato moderno. E questo per la dimostrazione data a Gaza. Israele consegna l’intero territorio all’Autorità nazionale palestinese, a Gaza non c’è più nemmeno un israeliano, sta ai palestinesi dimostrare che sono pronti per autogovernarsi, e che fanno ? L’unica cosa che riescono a pensare è organizzarsi per bombardare le città e i kibbutz oltre il confine ! Non gli passa nemmeno per il cervello che sono a casa loro, che c’è uno Stato da costruire. No, si affidano ad Hamas e mirano unicamente alla distruzione di Israele. Non riescono nemmeno ad unificare le varie milizie in un unico esercito. Ma allora, gli chiediamo, che ne sarà del progetto di Sharon, i due stati indipendenti l’uno accanto all’altro, l’uscita dei coloni da buona parte della Cisgiordania, il confine di separazione da tracciare, se i palestinesi non saranno mai in grado di autogovernarsi ? Inbar non ha dubbi, Sharon aveva effettivamente in mente la separazione fra ebrei e palestinesi, ma aveva anche l’intelligenza pratica dei “ mugik” russi ( la sua famiglia era di origine russa, non a caso l’attività alla quale ritornava appena poteva era fare il contadino nella sua fattoria nel deserto), anche lui giudicava improbabile che i palestinesi fossero in grado di costruire uno Stato, per questo prevedeva che Israele avrebbe dovuto ritirarsi da tutti quegli avamposti che non sarebbero stati omogenei con il territorio nazionale. A quegli israeliani, calcolati in 80/100.000, avrebbe detto che potevano trasferirsi in territorio israeliano, dietro compensi, aiuti, sostegno, ma comunque venire via da qui territori che sarebbero passati all’Anp. Oppure rimanere dove erano, e diventare cittadini di un altro Stato. Non ci sarebbe più stato Tzahal a proteggere le loro vite. Questo, ci dice Inbar era il piano di Sharon, e verosimilmente non si discosterà molto da quello che l’attuale governo appronterà appena le condizioni lo permetteranno. Questo governo o un altro, anche perchè Inbar non ha fiducia nella durata della coalizione dopo gli ormai più che evidenti errori di valutazione commessi nel primo mese di guerra contro Hezbollah. Ciò malgrado, Inbar è uno stratega ottimista. Noi israeliani, ci dice, abbiamo un vantaggio sui nostri nemici. Sono in fondo deboli e disorganizzati, anche se a volte danno l’impressione di vincere ai punti, ma quello che li unisce è solo l’odio nei nostri confronti, sono consumati da quest’odio. Noi non odiamo nessuno, vorremmo vivere in pace nel nostro Stato, avere buoni rapporti con tutti. Ci piace vivere, non morire. Per questo, alla fine, vinceremo noi.

da Libero del 15/08/2006