Israele resta un paese unito 10/09/2006
Autore: Angelo Pezzana
Gerusalemme- A un mese dall’inizio della guerra al nord, Israele continua ad essere un paese sostanzialmente unito nella decisione di sradicare la presenza di Hezbollah nel sud del Libano. Questo, malgrado alcune crepe siano evidenti dopo che Udi Adam,dal comando delle truppe al nord, si trova ad essere in posizione subalterna a Moshe Kaplinsky, appena nominato al suo posto. Non è un buon segnale per l’opinione pubblica nè per i soldati al fronte, perchè rivela, più che nell’apparato militare, una certa confusione in quello politico. Le parole d’ordine rimangono le stesse, Ehud Olmert è sostenuto da tutte le forze politiche, ma si fa strada l’opinione che avrebbe dovuto valutare di più e meglio l’avversario. Invece pare che Hazbollah, sia per le armi possedute sia per la strategia di guerriglia, sia stato sottovaluto. E’ vero che non spetta al primo ministro ed al governo l’analisi militare, ma le decisioni finali sulle azioni da intraprendere, quelle sì, spettano al potere politico. Ed è curioso che Olmert abbia adottato una strategia cauta, rischiando persino di impantanarsi in una nuova occupazione, quando l’opinione pubblica israeliana, di sinistra e di destra, chiedeva a gran voce di arrivare a dire basta, e in modo definitivo, con il terrorismo radicato in Libano. Non ha pagato l’aver riposto un esito veloce della guerra nell’aviazione. L’infiltrazione di Hezbollah nel sud del Libano ha avuto sei anni tranquilli, dopo l’uscita unilaterale di Israele nel 2000, pre preparare l'attacco. Anni nei quali ha potuto scavare tunnel, bunker, ricevere armi sofisticate iraniane via Siria, mandare le propie milizie da Ahmadinejad perchè fossero addestrate, senza che l’intelligence israeliana ne avesse valutato accuratamente il pericolo. Oppure c’è stata una mal riposta fiducia nel proprio sincero comportamento. L’uscita dal Libano e poi da Gaza, l’urgenza con la quale Olmert, e Sharon prima di lui, aveva presentato il progetto dell’abbandono di territori in Cisgiordania per arrivare al più presto al soluzione dei due stati, ebraico e palestinese, indipendenti, aveva indotto Israele a credere di trovarsi di fronte a stati e gruppi politici che avrebbero colto l’occasione, l’ennesima offerta dallo Stato ebraico, per arrivare a risolvere i conflitti. Sono solo supposizioni, ma è quello che la gente si chiede di fronte alla eventualità che un cessate il fuoco possa venir dichiarato a breve, con Nasrallah che canta vittoria perchè Tzahal non è riuscito a distruggerlo. Non sono gli unici problemi. Anche se non hanno inneggiato in pubblico a Nasrallah,  i cittadini palestinesi di Israele (circa il 20%)  si sono schierati a maggioranza dalla sua parte, se persino chi ha perso dei famigliari, uccisi dai suoi missili, ne ha dato colpa e responsabilità al governo israeliano. Per ora è una minoranza che si esprime soprattutto attraverso i suoi deputati alla Knesset, i quali, essendo totale la libertà di parola, si comportano nei confronti del paese del quale sono cittadini e rappresentanti, come se parlassero in nome di Hezbollah o Hamas. La violenza rimarrà solo verbale o prenderà la forma di una rivolta, se gli avvenimenti bellici dovessero permettere l’apertura di un fronte interno ? Sono domande legittime, in un paese democratico, che si trova ad avere a che fare con il terrorismo islamico praticamente contando solo sulle proprie forze. L’Europa, come già negli anni trenta si era rifiutata di capire il pericolo nazista, ripete oggi lo stesso errore. Non Israele, qui i cittadini hanno del nazismo e del comunismo un’esperienza priva di correttezza politica. Sanno che oggi Hezbollah va sradicato via, con qualunque mezzo, che impari che il piccolo Satana ha i denti buoni e affilati. A Olmert la decisione, ma è questione di ore.