E se fosse D'Alema il "Jesse Jackson" invocato da Furio Colombo ? 11/07/2006
Autore: Angelo Pezzana
Da quando ha smesso le vesti di direttore dell’Unità, Furio Colombo sembra aver riacquistato quell’equilibrio nei confronti delle questione mediorientale che lo aveva contraddistinto prima del suo ingresso fra i fedeli dell’ex PCI. Ora, quando affronta l’argomento sul quotidiano, che con delizioso eufemismo viene catalogato come “ vicino ai DS “ pur essendone l’organo di partito, nei suoi editoriali riesce persino a descrivere le ragioni di Israele. Ne prendiamo atto con soddisfazione, è bene che anche a sinistra ci sia qualcuno che incomincia a ragionare sulle differenze che passano tra democrazia e terrorismo. L’altro giorno, in un lungo e a modo suo appassionato editoriale, Colombo, a proposito della detenzione del soldato Ghilad nelle mani di Hamas, si chiedeva come mai in Europa non ci fosse l’equivalente di quel Jesse Jackson che durante la prima guerra del golfo era andato in Iraq e aveva ottenuto la liberazione di alcuni soldati americani prigionieri di Saddam Hussein. Jackson, ex pantera nera, ex capo della fazione più estremista all’interno del partito democratico americano, era la persona con le credenziali giuste per presentarsi davanti al rais e riportare a casa i suoi compatrioti. Era di estrema sinistra, anticapitalista, terzomondista, a lui Saddam non poteva dire di no. A noi, che ci facciamo la stessa domanda di Colombo,  un nome ci sarebbe pure venuto in mente e ci permettiamo di suggerirglielo. Dopo gli elogi che gli sono venuti dal mondo arabo, Massimo D’Alema è la fotocopia perfetta di Jesse Jackson, in grado di essere ricevuto da Hamas – a Gaza o a Damasco, poco importa – e di ottenere la liberazione del giovane caporale israeliano. Il viaggio può organizzarlo l’agenzia Craxi-Intini, specializzata nel settore arabo palestinese, due nomi di assoluta fiducia del nostro ministro degli esteri. Prenderebbe due piccioni con una fava, come si suol dire. Riportando Ghilad alla sua famiglia compirebbe un bel gesto umanitario, il che non guasterebbe nel suo curriculum di ex comunista, e in più darebbe una bella ripulita alla propria immagine di fronte alla comunità ebraica italiana che la teoria dell’equivicinanza non  l’ha proprio digerita, nemmeno quelli che pur sono di casa fra i DS. Non abbiamo il privilegio di frequentare Massimo D’Alema, ma Furio Colombo sicuramente sì.  Si affretti però, i carcerieri di Ghilad non sono quelli di Guantanamo, che fanno regolarmente visitare la prigione alla Croce Rossa, sono macellai di professione e la vita del giovane israeliano è nelle loro mani.