Quando sono arrivati, 15 anni fa in questo periodo, tutta Israele piangeva.
Scendevano dagli aerei, erano frastornati, in poche ore avevano fatto un viaggio di 1000 anni, forse piu'.
Scendevano, di notte, dai cargo, cui preventivamente erano stati tolti i sedili e sostituiti con materassi per avere piu' posto e permettere loro, easusti, di dormire.
Si guardavano intorno, molti piangevano, altri erano come ipnotizzati, i bambini roteavano gli occhioni umidi sgranati dallo stupore.
Erano gli ebrei etiopi, 14.266 persone, che Israele, salvandoli da un promesso sterminio, portava a casa, una casa sconosciuta, moderna, caotica, piena di luci.
Avevano persino abbassato le luci all'interno dell'aeroporto per spaventarli meno.
Erano gli ebrei etiopi cui era stata messa in mano una bandierina biancoazzurra che sventolavano timidamente e che crollava a terra con loro quando, di colpo, come colpiti da un fulmine, si inginocchiavano per baciare la terra che li accoglieva con entusiasmo e tante lacrime, poi si rialzavano e, piangendo di emozione e certamente anche di paura, camminavano in una fila silenziosa davanti alle centinaia di israeliani che li applaudivano e li abbracciavano, per poi salire sugli autobus.
Erano vestiti di bianco, il colore della festa e delle nozze, perche' stavano andando a Gerusalemme e questo era il loro matrimonio, arrivare a Sion, diventare ebrei in tutto e per tutto, senza doversi nascondere o rischiare la morte, lasciare alle spalle il loro passato e i loro villaggi per venire catapultati nel presente che per loro era gia' il futuro.
Non conoscevano la luce elettrica, non conoscevano il gas, l'acqua corrente, non sapevano cosa fosse un aereo, quasi tutti malati di tubercolosi da denutrizione, tutti senza una professione, sapevano pero' di essere ebrei, discendenti di Salomone e della regina di Saba, chiamata Makeda dalla tradizione africana, e del loro figlio Menelik che fu il capostipite di una stirpe ebraica in Africa e che poi divento' il primo imperatore d'Etiopia col nome di Menelik I .
L'Operazione Salomone non fu il primo riuscito tentativo di portare in Israele gli ebrei etiopi, la prima fu l'Operazione Mose' del 1984 che diede un fortissimo impatto emotivo ad ogni ebreo del mondo e agli israeliani in particolare.
Ancora una volta Israele salvava ebrei minacciati di morte, questa volta arrivavano dall'Africa, prima erano arrivati dallo Yemen, da tutti i paesi arabi, dall'India e prima ancora dai cimiteri-lager d'Europa.
Israele ha accolto i suoi etiopi con amore e con orgoglio, il Governo li ha aiutati come meglio ha potuto ma i problemi ci sono perche' queste persone, soprattutto le piu' anziane ma anche molti giovani, sono ancora emotivamente fragili quindi con grandi difficolta' di inserirsi nella societa' israeliana che e' molto selettiva anche se estremamente generosa.
Arrivare, in una notte, dai villaggi isolati in Africa, alla societa' ultramoderna e multietnica di Israele e' stato uno schock inenarrabile cui molti non hanno retto.
Bisogna considerare che le tradizioni di queste persone erano rurali, i bambini vivevano nell'aia davanti alla capanna, andavano a prendere acqua al pozzo , quando c'era e la vita era quella semplice del villaggio.
In Israele, i piu' anziani pensavano di continuare lo stesso stile di vita tribale, l'attaccamento alle loro antiche tradizioni e l'impossibilita' pratica di seguirle li ha confusi, sradicati e, in un certo senso, allontanati dai giovani molto piu' aperti ai cambiamenti radicali di vita.
I giovani inoltre hanno un vantaggio in piu', l'Esercito di Israele che e' , per eccellenza, il luogo in cui i giovani ebrei etiopi imparano a considerarsi alla pari dei loro compagni. L'IDF e' una specie di frullatore che mescola le tante diversita' delle varie etnie in un'unica israelianita' ebraica.
Tutti uguali, tutti fratelli, tutti per Israele.... o quasi....
Col passare del tempo, le nuovissime generazioni stanno lentamente superando le enormi difficolta' dei primi anni, l'idea del clan, della tribu', viene abbandonata per l'idea piu' allargata della societa', del Paese, della Patria che non hanno mai avuto.
Se i piu' anziani , arrivati in Israele 15 e 22 anni fa, non hanno saputo e potuto capire le nuove esigenze dei loro figli in una societa' diversa, le giovani coppie di oggi sono radicalmente cambiate, seguono i propri figli, scuola, doposcuola, sport, esercito, si sentono totalmente israeliani e vogliono parlare solo ebraico.
I giovani etiopi sono il futuro di Israele come tutti i giovani israeliani e gli anziani rappresentano la tribu' antica, le tradizioni ancestrali, bisogna quindi trovare il modo di legare questi due mondi cosi' diversi tra loro e di ricucire gli strappi gia' avvenuti.
Per questo il governo ha varato un programma di aiuto e sostegno, di cui fanno parte professionisti e volontari israeliani, che vuole avvicinare i giovani agli anziani per evitare i ghetti psicologici e culturali e l'allontanamento dalla famiglia che porta inevitabilmente alla solitudine, all'emarginazione , a volte anche al suicidio.
Il programma ha lo scopo di integrare sempre meglio gli etiopi al resto della societa' e soprattutto di far conoscere ai giovani e giovanissimi le loro tradizioni, la loro provenienza, gli raccontano come era la vita in Etiopia, li inducono ad essere orgogliosi dei loro genitori e della loro storia e a capire che i piu' anziani "pensano" ancora come all'epoca della vita sulle montagne africane e sono spaventati perche' qui non trovano il sostegno della tribu'. I giovani non li capiscono e allora bisogna aiutarli a diventare forti dando forza a chi non ne puo' avere, a chi vive nel terzo millennio in un paese moderno con la mentalita' del villaggio africano e la estrema debolezza che ne deriva.
Il programma del Governo tenta di costruire ponti tra gli etiopi stessi e poi tra essi e il resto della societa' e pare che funzioni perche' non si vedono quasi mai per la strada anziani etiopi da soli, sono sempre insieme ai figli e ai nipotini. Non hanno piu' la loro tribu' ma li hanno aiutati a ritrovare la famiglia. E sorridono.
Ci sono ancora problemi, ancora suicidi, alcuni tendono a vivere tutti insieme, sono ancora la parte piu' debole della societa' israeliana ma stranamente sono quelli che hanno piu' speranze perche' vedono che il Paese risponde, sentono di non essere abbandonati, credono nel futuro, credono in Israele perche' sanno che Israele li ama.
Intanto e' gia' in atto l' "Operazione Promessa" che portera' in Israele gli ultimi etiopi di origine ebraica, i Falasha Mura, arriveranno anch'essi vestiti di bianco come per un matrimonio, baceranno la terra che li accogliera' e sventoleranno le loro bandierine ma saranno molto meno spaventati della loro nuova vita e Israele sara' molto piu' preparato a riceverli con maggiore praticita', meno romanticismo ma tutto l'orgoglio di un Paese, minuscolo e sempre in guerra, che riesce a fare cose grandiose che nessuna nazione al mondo si sognerebbe di fare.
Alla conclusione dell'Operazione Promessa tutta l'Etiopia ebraica sara' in Israele per dare il via a future generazioni di israeliani sempre piu' belli e variopinti.
Aviva Aling ha 24 anni, e' un ufficiale dell'IDF, e' arrivata in Israele a 9 anni e racconta che da piccola su quel Cargo pensava di arrivare nella Terra del latte e del miele dove tutto era d'oro e i sassi erano pane.
Aviva non ha trovato trovato l'oro ma dice sorridendo di continuare a cercarlo perche' adesso lei vive in Israele dove tutto e' un miracolo.
Il miracolo e' che 100.000 persone sono arrivate, dal cielo, su grandi uccelli, vestite di bianco, dall'epoca della Regina di Saba e da sperduti villaggi delle montagne etiopi, per camminare liberi e bellissimi per le strade di Israele.