Irène Némirovsky David Golder
Autore: Giorgia Greco
David Golder – Irène Némirovsky
Casa editrice  Adelphi


“Aprì l’ampia mantella e apparve seminuda, in un abito di tulle rosa
scollato fino all’attaccatura dei piccoli seni delicati, un filo di perle
intorno al collo,i capelli  d’oro scompigliati dal vento…..” La diciottenne
Joyce è bella e dannata come una creatura di Francis Scott Fitzgerald,
un’amatissima visione di grazia e giovinezza per il vecchio padre David,
squassato da troppe guerre finanziarie. Dopo la scoperta clamorosa di
“Suite francese”, l’opera incompiuta e inedita di Irène Némirovsky, uscita
Oltralpe nel 2004 e in Italia l’anno scorso, la Adelphi pubblica nei
prossimi giorni David Golder, il romanzo d’esordio che nel 1929 le portò
subito la celebrità.
Golden è un ebreo di Odessa emigrato giovanissimo, divenuto un magnate
della finanza internazionale, ora sull’orlo del fallimento (i Némirovsky,
originari di Kiev, erano banchieri ricchissimi fuggiti in Francia dopo la
Rivoluzione d’ottobre). “Era un uomo di più di sessant’anni, enorme, con le
membra grasse e flaccide, gli occhi color dell’acqua, vivacissimi e
opalescenti….il viso devastato, duro, come plasmato da una mano rozza e
pesante”. Così viene presentato nelle prime pagine, dove si consuma il
crudele confronto che porterà al suicidio Simon Marcus, il socio di David,
e lui stesso alla rovina. L’odore dei soldi emerge prepotente dalla scena
buia, espressionista. La “divinità terribile” che governa quei cuori si
chiama”affari”, in questo caso il petrolio russo.
L’editore Bernard Grasset, entusiasta del manoscritto, rimase stupito nello
scoprire che l’autrice aveva solo 26 anni ed era in Francia da appena
dieci. David Golder sembra l’opera di uno scrittore consumato e certe scene
pensate cinematograficamente (non a caso il romanzo ispirò il film omonimo
di Julien Duvivier nel 1930 e My daughter Joy di Gregory Ratoff nel 1950,
protagonista Edward G. Robinson). La critica lo elogiò all’unanimità. Nella
postfazione a “Suite francese”, Myriam Anassimov ricorda che le lodi
arrivarono sia dallo scrittore ebreo Joseph Kessel (Belle de Jour) sia dal
monarchico antisemita Robert Brasillach, che sarà fucilato nel 1945 come
collaborazionista.
“Nel descrivere l’ascesa sociale degli ebrei la Némirovsky aderisce a ogni
sorta di pregiudizi e utilizza tutti gli stereotipi negativi dell’epoca”
scrive Anassimov. Golden è condannato a vivere unicamente per accumulare
ricchezza, tradito dalla moglie Gloria, che sverna dispendiosamente a
Biarritz (il modello è sempre Fanny, l’odiatissima madre di Irène),
tiranneggiato dalla figlia Joyce, viziata e avida. Quando cade malato di
angina pectoris, Gloria con un braccio lo sorregge, mentre con l’altra mano
tiene il libretto degli assegni aperto davanti a lui.
La vecchia moglie del socio Marcus ha naso adunco e giallo, il suo
segretario è un piccolo ebreo “dagli occhi di brace”. In un’intervista a
L’Univers israélite del 1935 Némirovsky chiarì di aver voluto dipingere “i
molti ebrei cosmopoliti nei quali la passione per il denaro ha preso il
posto di ogni altro sentimento”.
Colpito dalla lettura di David Golder e affascinato dall’ambigua identità
della scrittrice, Jonathan Weiss, studioso di storia francese
contemporanea, le ha dedicato una biografia (Irène Némirovsky, Editions du
Félin). “In questo romanzo Irène associa il giudaismo con il materialismo”
dice Weiss. “Credo si sentisse più vicina all’ideale cristiano di una vita
altruista, dedicata alla famiglia”.
Dopo alcuni anni sfrenati, trascorsi tra feste e flirt, tra Parigi,
Biarritz e la Costa Azzurra, nel 1926 la giovane sposò Michel Epstein, un
altro emigrato russo, banchiere. Da allora si dedicò al marito, alla
scrittura e alle figlie.
Forse Irène apparteneva a quella schiera di ebrei che Jean Daniel in “La
prigione ebraica” (Baldini Castaldi Dalai) chiama “dissidenti”, da Baruch
Spinoza a Simone Weil, a Hannah Arendt, a Maxime Rodinson: “Un dissidente
non è né indifferente né estraneo all’ortodossia” riflette l’autore. Per
Weiss lo status sociale alto borghese dei Némirovsky li aveva allontanati
dalle radici del ghetto. E convertendosi al Cattolicesimo la scrittrice
“non rifiutò il suo retaggio ebraico ma affermò di non avere un’identità
ebraica se non per discendenza”.
La tardiva conversione al cattolicesimo dell’autrice non fu frutto di un
lungo travaglio spirituale come accadde a Weil, fu un espediente per
cercare di salvarsi la vita. Per lo stesso motivo fino al 1940 Irène
collaborò a un giornale di destra come Gringoire, il cui editore Horace de
Cartuccia, notoriamente antisemita, la stimava e proteggeva.
Non servì. Arrestata dai gendarmi francesi morì ad Auschwitz nel 1942.
Per la figlia Denise Epstein la madre, nel profondo del cuore, si sentiva
ebrea. E le ultime pagine del David Golder sono una straziante
testimonianza di appartenenza: il vecchio giudeo errante si lancia
nell’estrema scorribanda finanziaria per salvare la piccola Joyce. A Odessa
ritrova le sue radici Yiddish e muore.


Manuela Grassi
Panorama