Edizioni: Il Saggiatore
La tradizione liberale e democratica non teme il rischio, scrive Farian Sabati verso la fine del suo libro “Islam: l’identità inquieta dell’Europa. Viaggio tra i musulmani d’Occidente” (prefazione di Ferruccio De Bortoli). Il viaggio si è aperto con un esergo di Baruch Spinoza dedicato al difficile ma imprescindibile rapporto fra fede e libertà: un rapporto che nelle parole del filosofo non ammette ambiguità. La libertà non solo è compatibile con la religione “ma, anzi, essa non può essere soppressa se non insieme alla pace dello Stato e alla religione”.
Il coraggio di non schivare il rischio e la libertà di coscienza, che in una sorta di chiasmo spirituale apre e chiude questo saggio, ne è anche il filo conduttore. Da Parigi e Ginevra e poi Londra, Stoccolma, Anversa, Amburgo e Madrid: Farian Sabati compie un viaggio in alcune delle comunità islamiche europee. Ogni sua meta è affrontata con strumenti diversi: il microfono per l’intervista, un bagaglio storico culturale, sinossi di film e libri, bibliografie, cronologie e siti Internet. C’è soprattutto, il suo sguardo attento e partecipe: “Come i giovani che ho intervistato mi sento anch’io, secondo le circostanze, italiana, europea e iraniana….Per questo l’esperienza su cui ho scritto è stata sia professionale sia umana: consegnato il testo all’editore, riconosco di non essere più la stessa persona”.
Uno dei temi centrali è la condizione femminile all’interno di queste comunità che lo sguardo di Farian Sabati esplora. Ma non si parla soltanto di velo, poligamia, lapidazione per le adultere. Si parla anche, ad esempio, di come un sistema articolato di borse di studio riservate alle ragazze musulmane rappresenterebbe una buona strada verso l’emancipazione, spesso frenata perché quando in famiglia c’è da pagare gli studi si prediligono, ovviamente, i maschi. E poi il dato di un universo migrante. “Essere immigrati non è necessariamente un dramma”, ma è certamente, in questa nuova Europa multietnica, una condizione comune che influisce in vario modo sulla sensibilità e i comportamenti della comunità islamica. Nel libro si incontrano leader di centri islamici, giovani e attempate convertite, intellettuali integralisti, studiosi. Ma anche luoghi e immagini, di questo Islam sparpagliato dai fiordi nordici alla Penisola iberica. L’approccio è sempre diretto, mai retorico e men che meno ambiguo. Come quando Sabahi domanda a Tariq Ramadan: “Chi si fa saltare in aria è uno shahid, un martire, oppure un terrorista?” e non pare soddisfatta dall’esclamazione di risposta, “Dio solo sa!”: “la retorica dell’affascinante intellettuale ginevrino non è, in fin dei conti, così articolata da farmi cambiare opinione: per rendere veramente compatibili Islam e democrazia è necessario abrogare quei precetti coranici – di conseguenza la tradizione contenuta nei detti del profeta, gli hadith – che discriminano la donna e i non musulmani”.
Proprio questa è la notevole, originale forza del libro. Una forza etica che va al di là del contenuto culturale, del principio della divulgazione. In queste pagine Sabahi non rinuncia mai al dettato spinoziano che sta all’inizio: l’intolleranza verso l’intolleranza. Che è il principio fondamentale, forse l’unico, per la convivenza in una società multiculturale.
Elena Loewenthal