Giorgio Levi Della Vida Arabi ed ebrei nella storia
Autore: Giorgia Greco
Arabi ed ebrei nella storia                        Giorgio Levi Della Vida
a cura di Francesco Gabrieli e Fulvio Tessitore     Guida, Napoli 2005


L’occasione è solenne, e l’oratore un giovane professore tra i più
promettenti dell’Università di Roma. E’ il 1920. Il Paese, da poco uscito
dalla guerra, è quanto mai incerto sul proprio futuro. Per il discorso che
inaugura l’anno accademico, l’orientalista Giorgio Levi Della Vida ha
scelto un tema apparentemente innocuo, e confinato in un passato lontano:
“La politica dei profeti d’Israele”. Tuttavia, le parole che pronuncia
hanno un doppio valore. E’ infatti chiaro a tutti che si riferiscono sì
all’Israele antico ma, allo stesso tempo, entrano taglienti nel dibattito
politico italiano. Tra il pubblico vi è Giovanni Gentile ed è innanzitutto
a lui, “profeta” del nascente fascismo, che si rivolge Levi Della Vida.
Mentre  i re d’Israele cercavano di mantenere gli equilibri tra le grandi
potenze dell’epoca – sostiene l’oratore – i profeti li spingevano allo
scontro, invocando la volontà divina, “ossia, in termini moderni, il mito
del nazionalismo”.
Da questo estremismo, continua Levi Della Vida, nacque la sciagura del
popolo ebraico. Considerati i rapporti di forza, infatti, “la politica di
pace era la sola possibile mentre il bellicismo intransigente avrebbe
portato la nazione alla catastrofe, come di fatto la portò ogni qualvolta
l’entusiasmo dei profeti riuscì a prevalere sulla cautela dei monarchi”.
Ci sono vari modi per giudicare il metodo di uno studioso.Ma se la validità
delle previsioni sul futuro è un criterio attendibile, bisogna riconoscere
a Giorgio Levi Della Vida il rango di un indiscutibile maestro. Non solo
mise in guardia con eleganza dalle lusinghe di un nazionalismo distruttivo
ma fu anche capace di pagare di persona il proprio rigore morale. Nel 1931
fu uno dei dodici professori, su oltre 1.200 accademici, che rifiutarono il
giuramento al fascismo. Dopo le leggi razziali del1938 emigrò negli Stati
Uniti,  e ritornò in Italia solo dieci anni più tardi.
Nel coro di irragionevole entusiasmo e di piaggeria del ventennio fascista,
la figura di Levi Della Vida rimane quasi isolata, così come controcorrente
è la lucidità delle sue analisi storiografiche. Fu un grande semitista e
s’impegnò per far uscire gli studi sul Vicino Oriente dal chiuso recinto
dell’erudizione. Le sue doti d’intelligente divulgatore si apprezzano anche
nel volume “Arabi ed ebrei nella storia”, ora ristampato da Guida. E’ una
raccolta di saggi composti tra il 1918 e il 1938, che seguono
l’intrecciarsi di Islam e giudaismo con il mondo europeo.
Soprattutto a proposito della cultura musulmana, Levi della Vida cercò di
superare lo stereotipo di un’opposizione oriente-occidente. “L’Islam –
scriveva –è ancora per molti di noi un nemico, anzi “il Nemico”….indomabile
antagonista politico dell’Europa, ieri vittorioso e oggi vinto”.
Eppure quest’antitesi è solo convenzionale, poiché “le interferenze non
soltanto esterne, ma anche di intima natura spirituale sono continue”. Il
messaggio è insomma che le dicotomie sono figlie del pressappochismo
culturale, mentre lo studio del passato c’insegna come il bacino del
Mediterraneo abbia rappresentato un sistema economico e intellettuale
aperto, che ha funzionato nonostante, e al di là, delle differenze
religiose.
Certo, Levi della Vida esprimeva ancora una visione europeo-centrica,
convinta della superiorità del modello sociale e politico elaborato  dal
vecchio continente, ma la sua cautela di storico gli suggeriva di diffidare
degli affrettati trionfalismi. La forza religiosa dell’Islam, ammoniva,
risiede in due fattori essenziali. Da una parte, nella mancanza di
un’autorità centrale e normativa e quindi nella natura sostanzialmente
egualitaria della fede musulmana, dall’altra, nella capacità di offrire
risposte variegate alle esigenze religiose, che vanno da un messaggio
estremamente semplice per le masse a una raffinata teologia che soddisfa i
più colti. E’ assai probabile, concludeva, “che il vecchio Islam mantenga
salde le sue posizioni contro l’invasione baldanzosa dell’Occidente”.
Parole scritte nel marzo 1923.

Giulio Busi
Il Sole 24 Ore