Steven Nadler L’eresia di Spinoza
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Autore: Giorgia Greco
L’eresia di Spinoza
L’immortalità e lo spirito ebraico      Steven Nadler

Casa Editrice:       Einaudi

Difficile immaginare un pensiero più teologicamente “scostante” di quello
di Baruch Spinoza. A distanza di secoli e generazioni, con in mezzo
rivoluzioni scientifiche e filosofiche per tutti i gusti, la sua libertà
intellettuale è ancora capace di sconcertare. Rappresenta, soprattutto, un
modello irraggiungibile. Non perché fosse eterodosso, beninteso. O non solo
per tale ragione. Questo può piacere e non ( e a tanti continua a non
piacere), ma per il suo strenuo affidarsi alla ragione, alle misure umane
di cui siamo stati dotati e che è inutile tentar di forzare. E’ insomma
dalla lucidità di Spinoza  che abbiamo ancora tanto da imparare. Eppure il
filosofo non sembra godere di una particolare popolarità, in questi tempi.
Per intanto, Steven Nadler provvede con i suoi studi. L’ultimo è uscito di
recente per Einaudi. S’intitola L’eresia di Spinoza. L’immortalità e lo
spirito ebraico. (traduzione, a volte un po’ sommaria, di Davide
Tarizzo).Questo saggio si pone il problema della scomunica – lo cherem –
del filosofo da parte della Comunità di Amsterdam. Come mai una condanna
così drastica? Nella realtà il libro è un viaggio nel suo pensiero:
appassionante, problematico. Ad esempio, nella questione dell’immortalità
dell’anima.
“la tradizione ebraica è nel suo complesso una tradizione rabbinica. Il
Talmud e la Mishnah dettano la scaletta – e in parte anche i contenuti – di
tutti i lavori successivi. Certo, malgrado gli sforzi di Maimonide ed
altri, il giudaismo è rimasto sempre una religione assai poco dogmatica”
spiega Nadler. E ha ragione, come quando dice che la questione della vita
dopo la morte è compresa, nella tradizione ebraica, entro la sfera del
narrativo. Fa parte, cioè, di quelle cose che non vanno prese per legge,
che si ha da osservare con la fede e l’ubbidienza, bensì che rientrano
nell’ambito dell’immaginazione. Dell’ipotesi non verificabile. Di fronte
alla vita dopo la morte, in sostanza, l’ebraismo non può che ammettere i
limiti della conoscenza umana. Spinoza procede per parte sua negando
l’immortalità dell’anima che, nello spirito ebraico, è una parola
effettivamente sempre associata a questa “vita”.
Anche nella sua affermazione più rivoluzionaria, e cioè quel Deus sive
natura che fu allora ed è ancora per molti uno scandalo, si trova in fondo
una ineludibile radice di pensiero ebraico. Spinoza ha infatti più che mai
reso “astratto” Dio, nel suo farne “principio e fondamento della natura”.
Ha, in un certo senso, portato alle sue estreme conseguenze quella
spersonalizzazione del Creatore che l’ebraismo ribadisce attraverso la
condanna dell’idolatria, il rifiuto dell’antropomorfismo, l’innominabilità
di Dio, il cui nome non va pronunciato.
Allora in fondo non era poi così eretico, il povero filosofo errante. A
dispetto della storia. A dispetto della teologia. A proposito di
quest’ultima, ecco un libro che, c’è da scommetterlo, non gli sarebbe
dispiaciuto. Si tratta di un Dizionario dei Monoteismi sotto la direzione
di Jacques Potin e Valentie Zuber che le Edizioni Devoniane di Bologna
hanno appena tradotto. Ebraismo, Cristianesimo, Islam nelle loro parole
fondamentali, affrontate con correttezza e con un contatto diretto con le
fonti. Certo, il Cristianesimo, al centro dell’opera, fa la parte del
leone. Ma nell’insieme è un utile strumento ricco di materiale, che
costituisce un buon primo approccio a parole, concetti, momenti della
storia.

Elena Loewenthal