Il miele del leone – David Grossman
Casa editrice Rizzoli
Parte di un progetto sull’interpretazione dei miti che coinvolge
venticinque editori di tutto il mondo, questo libro è una riflessione
ermeneutica sul personaggio di Sansone che ne mette in luce gli aspetti
simbolici e allegorici, individuando originali connessioni con remote e
attuali vicende di Israele. La singolarità del personaggio biblico è già
prefigurata nel momento in cui l’angelo del Signore ne annuncia la nascita
alla madre sterile: consacrato a Dio sin dalla nascita e predestinato a
liberare Israele dal giogo filisteo, Sansone, l’uomo la cui straordinaria
forza risiedeva nella folta capigliatura, è dunque uno strumento dei
disegni divini. E la tragicità della sua esistenza è già preannunciata
nelle parole che la madre, il cui nome rimane oscuro, rivolge al padre
Manoah: “Il fanciullo sarà nazireo di Dio dalla nascita e fino al giorno
della sua morte”. Quale madre, si chiede Grossman, nell’annunciare la
nascita di un figlio va con la mente al momento della sua morte? Solo
quella che sente, sin dal concepimento, in modo forse subliminale, che il
proprio figlio non le appartiene. Essa percepisce in lui un mistero che ne
farà un alieno, un essere estraniato dai propri simili e dagli stessi
genitori.Le imprese per cui viene ricordato, del resto, sono tutte
testimonianze di questa diversità, eroica e per certi versi artistica:
l’uccisione del leone dalla cui carcassa sgorga un miele dolcissimo (e che
Sansone offrirà ai genitori), lo scardinamento delle porte di Gaza, il
massacro di un migliaio di filistei con una mascella d’asino. Ma quella di
Sansone è anche una diversità segnata da una forte autodistruttività: la
sua straordinaria potenza fisica, così fortemente connessa con il divino,è
anche un’atroce condanna, ciò che lo confina per sempre in una solitudine
senza scampo. Lo stesso matrimonio con una donna filistea appare come il
segno di quel “bisogno ossessivo di essere tradito” di cui parla Grossman,
una sorta di coazione a ripetere che percorre tutta la vita dell’eroe.
Estraneo ai genitori, tradito dalle donne - anche dall’unica che abbia mai
amato, Dalila – Sansone desidera disperatamente mettere a parte gli altri
del suo segreto: come se, nel liberarsene, egli potesse diventare più
umano, essere come gli altri. Ma nel suo destino c’è l’incomprensione e il
tradimento da parte di tutti. E l’estremo sacrificio, quando, in catene,
cieco e deriso, causa il crollo del tempio, da un lato rappresenta il
completamento del volere divino, dall’altro fa di Sansone l’eroe tragico
che uccide se stesso per un fine che gli va oltre. Primo kamikaze della
storia dell’umanità, chiosa Grossman, l’eroe biblico è anche, insieme,
simbolo dello stato di Israele, della sua forza e della sua vulnerabilità.
Giovanna Ferrara
Il Foglio