Quando la storia si ripete 8/02/2006
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Martedì 7 febbraio 2006

Spettabile redazione,
 scrivo, per dire come a volte sembri proprio vero che la storia voglia ripetersi. Le parole del leader e padre spirituale di Hamas, Fattah Dukhan, riportate da Carlo Panella in un suo articolo su "Il Foglio" «La terra di Palestina, dal Giordano al Mediterraneo, compresa Israele, era, è e sarà sempre, fino al Giudizio universale, un waqf, un "legato", un dono diretto di Allah al popolo musulmano. È terra sacra all’islam. Non accetteremo compromessi. A Israele possiamo proporre soltanto una lunga "hudna". Una tregua», ricordano ciò che disse Hitler al Ministro degli Esteri polacco Józef Beck in un incontro avvenuto a Berchtesgaden il 5 gennaio 1939: «Danzica è tedesca, sarà sempre tedesca e ritornerà prima o poi alla Germania» (la storia però volle altrimenti). Pochi mesi dopo, quando la Polonia era stata smembrata tra il Terzo Reich e l’Urss di Stalin, l’imbianchino con i baffetti in una seduta al Reichstag a Berlino (6-10-1939) fece proposte di pace a Sir Neville Chamberlain (rispedite al mittente), sostenendo che alla Gran Bretagna non conveniva scatenare una guerra in Europa solo per ricostituire la Polonia, «uno Stato», disse «considerato come un aborto da tutti coloro che non hanno origini polacche». Tipico degli assassini prestati alla politica (ieri Hitler, oggi Ahmadinejad ed i capibanda di bombaroli e tagliatori di teste assortiti) è il gesto di rivolgere al mondo civile proposte per un accordo, a condizione che ci si dimentichi dell’oggetto dei loro piani criminali (nel 1939 la Polonia definita un "aborto", oggi lo Stato di Israele considerato "un tumore"). D’altro canto, l’atteggiamento possibilista di alcuni Paesi europei verso la proposta di una tregua (?!) da parte di Hamas non si discosta molto da quello del Ministro francese Georges Bonnet che chiese a Mussolini di proporre a Hitler un "ritiro simbolico" (sic!) delle truppe dalla Polonia come gesto per salvare la pace, proposta questa che Ciano, nel suo diario, riferisce di aver cestinato senza neppure consultare il Duce per la sua manifesta assurdità. Oggi come allora, se c’è qualcosa di ambiguo non sono le pretese dei tiranni antisemiti (che sono anzi molto esplicite), bensì il desiderio di taluni statisti europei di appigliarsi a fuscelli inesistenti, come nel caso della "ragionevole" proposta di una tregua da parte di Hamas, che continua imperterrita a predicare la distruzione dello Stato di Israele. Aver attribuito a Hitler una ragionevolezza che egli non manifestò mai è costato al mondo intero ciò che sappiamo; ostinarsi a fare altrettanto oggi con Hamas e gli altri gruppi terroristici potrebbe avere (non mi stanco di ripeterlo a me stesso) conseguenze ugualmente gravi per tutti e non solo per il popolo di Israele. Un’ultima osservazione. In questi giorni vengono affissi i manifesti del Pdci con il faccione di Diliberto (da intellettuale marxista in occhialetti) o, in alternativa, con giovani infagottati in sciarpe di foggia alla Arafat, inneggianti alla bellezza del comunismo (lo dicano agli abitanti di Budapest, Praga, Varsavia e Bucarest!), alla pace (naturalmente anche questa secondo la concezione di Arafat, degno premio Nobel in materia!) ed ai valori dell’antifascismo. Riguardo quest’ultimo, mi pare che i nostalgici di Stalin incespichino in un grosso equivoco: antifascismo e antinazismo non sono valori in quanto tali, bensì in quanto implicanti il ripudio delle dittature, specie nei loro aspetti peggiori: il rifiuto della democrazia, il disprezzo della vita umana, l’uso della violenza e (ultimo, ma non meno importante) il virulento antisemitismo. Se l'aver combattuto i nazisti fosse di per sé una garanzia di verginità democratica, si dovrebbero tessere le lodi dei nazionalisti polacchi e russi, il cui odio contro gli ebrei era non meno violento e fuori luogo di quello delle SS. Da qui la tragicomica incongruenza dei fanatici alla Diliberto, che da una lato condannano Adolf Hitler e la sua ideologia criminale, e dall’altro inneggiano alle virtù di terroristi come i membri di Hamas e gli Hezbollah filoiraniani (con i quali, secondo i benpensanti, Sharon prima ed ora Olmert commettono il crimine imperdonabile di non raggiungere un accordo di pace!), il cui pensiero sulla conquista e l'esercizio del potere ricalca perfettamente quello dell’autore di "Mein Kampf", compresa l’utopia sanguinaria di un mondo "Judenfrei". Da anni mi convinco sempre più che per qualcuno il vero crimine di Hitler non fu la distruzione delle comunità ebraiche europee, ma l’aver posto all’ingresso dei campi di sterminio la scritta "Arbeit macht frei" in luogo di "Proletari di tutto il mondo, unitevi!" e l’uso della svastica al posto di falce e martello.
 
 
Luigi Prato, Sassari