Come gli strateghi dell'odio hanno costruito il caso delle vignette "blasfeme"
concorrono un tabù inesistente, menzogne , l' immam braccio destro di un terrorista
Testata: Corriere della Sera
Data: 06/01/2006
Pagina: 1
Autore: Magdi Allam - Stefano Montefiori - Guido Olimpio
Titolo: Non raffigurare Maometto: il tabù immaginario - Non mi pento di quelle vignette. L'odio nasce dalle bugie degli imam - Il predicatore di Copenaghen che ha acceso la rivolta araba

Il CORRIERE della SERA  di lunedì 6 febbraio 2006 pubblica in prima pagina e a pagina 8 un articolo di Magdi Allam che spiega come  il divieto della raffigurazione di Maometto viga solo in un'interpretazione fondamentalista dell'Islam, e sia smentito dalla storia di questa religione. Ecco il testo:

 Alla base dell'intransigenza di molti musulmani, trasformata in carburante ideologico dai terroristi che attaccano ambasciate e chiese, c'è il convincimento che Maometto sia una figura sovrumana. Ma ciò è falso.
Alla base dell'atteggiamento intransigente di molti musulmani, che viene trasformato in carburante ideologico dai terroristi che assaltano le ambasciate e le chiese, che aggrediscono gli occidentali e i cristiani, c'è il convincimento che Mohammad (Maometto) sia una figura sovrumana. Che sia assolutamente proibito raffigurarlo e che, pertanto, le vignette incriminate sarebbero doppiamente blasfeme, sia perché lo ritraggono sia perché lo diffamano. Ebbene tutto ciò è falso. E, peggio ancora, qualora l'attuale crisi internazionale finisse per accreditare questa interpretazione fanatica dell'islam a suon di minacce, condanne a morte e attentati, gli estremisti vincerebbero una battaglia importante nella guerra in atto volta a imporre il loro potere oscurantista e violento nei Paesi musulmani e in seno alle comunità musulmane d'Occidente. «Sono solo un essere umano, sono di buono o di cattivo umore come ogni altra persona», dice di sé Mohammad secondo un hadith, un detto, contenuto nella raccolta «Sahih» di Muslim. E il Corano recita: «Tanto strano è dunque per gli uomini che Noi abbiam rivelato a un uomo come loro di ammonire il suo popolo?» (Sura X, 2). D'altro canto è proprio il rigido monoteismo su cui si basa l'islam ciò che lo porta a disconoscere il mistero cristiano della Trinità e a riconoscere a Gesù la sola natura umana.
E lo stesso vale per Mohammad. Ecco perché il volerlo immaginare un essere sovrumano serve ai fanatici islamici a ridurre o eliminare il ruolo della ragione e della critica umana nell'interpretazione del testo sacro. Un caso emblematico è appunto quello che concerne il divieto di raffigurare gli esseri viventi. Essendo solo Dio il Creatore della vita, l'individuo che fa una rappresentazione di un essere vivente tenterebbe di sfidare e di competere con Dio. A sostegno di tale tesi viene citato un hadith del profeta, secondo cui a «un individuo che ritrae un essere vivente gli verrà chiesto di infondergli la vita» e costui «verrà torturato fino al Giorno del Giudizio». Secondo gli integralisti islamici i termini «forma», «dare forma», «il formatore» che compaiono nel Corano sono attribuibili soltanto a Dio. Uno dei 99 attributi divini è «Musawwer al-kainat», il Formatore delle creature.
Sono cinque i versetti del Corano che accrediterebbero il divieto di raffigurare gli esseri viventi. Il versetto 24 della sura LIX recita: «Egli è il Dio creatore, plasmatore, formatore di ogni essere. Gli appartengono per diritto i più bei nomi. Tutto il creato, in cielo e in terra, canta osanna: egli è il potente, il saggio». Ma sull'interpretazione dei versetti non vi è consenso tra i giureconsulti islamici. Alla base di questa disputa c'è il contrasto più generale sull'interpretazione del Corano. Per gli integralisti islamici le parole del Corano vanno accettate letteralmente e hanno un valore assoluto, universale, eterno. Viceversa gli islamici modernisti e illuminati, più inclini a considerare il Corano un testo sacro creato, dove quindi la parola di Dio è stata creata da Dio stesso ma viene dopo Dio, sostengono che le parole del Corano devono essere calate nel loro contesto storico, culturale, sociale e letterario. Di certo Mohammad è stato ritratto ampiamente dai pittori e dai miniaturisti musulmani arabi, persiani e turchi anche con il volto scoperto.
Secondo Al Hassan bin Ahmad, noto come Abu Ali Alfarisi, morto nel 987, l'atroce punizione per gli autori delle arti figurative verrebbe inflitta solo a coloro che ritraggono Dio con sembianze umane. Il teologo modernista Mohammad Abduh (1849-1905), che fu il mufti d'Egitto, ha sostenuto che il divieto delle arti figurative non è assoluto e che «le immagini e le statue sono lecite fintantoché non intaccano la sacralità del culto di Allah». È un dato di fatto che i califfi islamici omayyadi (661-750) e abbasidi (750-1258) non vietarono le arti figurative. Un recente esempio di come i musulmani siano divisi su questo tema l'ha fornito il film «Il messaggio», realizzato nel 1976 dal regista siriano Mostafa Aqqad, ucciso lo scorso novembre in un attentato terroristico ad Amman. Il film è stato proiettato in quasi tutti i Paesi musulmani, ma non in Egitto e in Arabia Saudita per l'opposizione delle autorità religiose locali al fatto che Hamza, lo zio del profeta, interpretato da Anthony Quinn, compaia a volto scoperto. Il dato di fatto è che l'islam si coniuga al plurale. Gli integralisti, gli estremisti e i terroristi che hanno alimentato una campagna d'odio contro l'Occidente e il cristianesimo non rappresentano l'insieme dei musulmani. I contenuti delle vignette su Mohammad possono essere discutibili e al limite impugnati in tribunale. Ma nulla giustifica questo delirio ideologico e questa violenza cieca. Noi in Occidente abbiamo tutto il diritto di sceglierci e di accreditare i fautori dell'islam moderato e illuminato, il cui messaggio è più consono e compatibile con i nostri valori e la nostra civiltà. Per quale mania masochista dobbiamo rassegnarci all'interpretazione estremista dell'islam e sottometterci all'arbitrio dei predicatori d'odio e dei burattinai del terrore?

Stefano Montefiore intervista Flemming Rose, il giornalista di Jyllands Posten che ha commissionato e pubblicato le immagini di Maometto. Rose giustamente rifiuta ogni responsabilità per le violenze scatenate dai fondamentalisti e denuncia le menzogne che hanno fomentato l'odio nel mondo islamico. Ecco il testo:

Ora che la violenza dilaga, non si pente di avere commissionato quelle vignette? «No, non mi sento responsabile. Mi dispiace enormemente per quello che sta accadendo nel mondo, è una tragedia. Ma chi protesta in modo violento non ha alcuna idea di quello che abbiamo pubblicato e perché lo abbiamo fatto, del rapporto tra libertà di espressione e religione, delle relazioni tra le comunità a Copenaghen. Sono fanatici strumentalizzati dai predicatori di odio, che avrebbero trovato qualsiasi altro pretesto per incitare alla rivolta. Quei disegni, in Danimarca, hanno innescato un dibattito utilissimo, al quale hanno partecipato per quattro mesi molti cittadini musulmani che hanno liberamente e civilmente espresso le loro opinioni su radio, tv, giornali. Di questo non mi pento, anzi ne sono felice. I fatti di Damasco e Beirut hanno poco a che vedere con me e il mio giornale. Sono fondati sulle bugie degli imam radicali». Flemming Rose, 50 anni, è uno dei più noti giornalisti danesi, per 14 anni è stato corrispondente dall’Unione Sovietica, poi Russia (ha tradotto un libro di Boris Eltsin) e Stati Uniti per il Berlingske Tidende e poi per il Jyllands Posten (più o meno la Gazzetta dello Jutland ), il quotidiano più letto in Danimarca. Due anni fa è tornato a Copenaghen con l’incarico di capo della cultura, con i figli e la moglie russa. «Siamo una famiglia multietnica. Difendiamo l’apertura della società danese, una delle più liberali del mondo».

Come le è venuta l’idea?
«Nei primi giorni del settembre scorso, ho notato troppi casi di autocensura: K?re Bluitgen, autore di un libro per bambini sulla vita di Maometto, non trovava illustratori; a Londra, la Tate Gallery ha scelto di non mostrare God is Great , un’opera di John Latham sui punti di contatto tra le religioni; il comico danese Frank Hvam ha detto che nei suoi sketch poteva forse dileggiare la Bibbia ma aveva paura di prendersela con il Corano; in tutta Europa non si trovavano traduttori di un libro di Ayan Hirsi Ali e chi lo faceva preferiva restare anonimo, ad esempio in Finlandia, per non fare la fine di Theo Van Gogh».

E quindi?
«Da responsabile del settore cultura, ho pensato che avremmo potuto fare il solito articolo, o qualcosa di più incisivo. Così ho scritto una lettera a 25 disegnatori danesi, chiedendo di raffigurare la loro idea di Maometto».

È venuto fuori un arcigno signore con gli occhi cattivi, la barba, il naso adunco e una bomba in testa.
«Io avevo domandato immagini, non satira. I 12 disegnatori che hanno accettato hanno scelto le caricature perché è nella nostra tradizione. Da secoli prendiamo in giro il governo, la famiglia reale, il Papa, i potenti, chiunque. Nessuno è intoccabile, neanche la comunità musulmana può esserlo. L’intento non era affatto provocatorio: nel commento pubblicato accanto alle vignette, ho scritto che chiedere un trattamento speciale per gli islamici era incompatibile con la democrazia e la libertà di espressione. Riconoscevo che i risultati del dileggio non sono sempre felici o belli da vedere, ma aggiungevo che l’importante adesso è frenare la corsa all’autocensura».

Perché le fiamme, quattro mesi dopo?
«In Danimarca, molti musulmani si sono sentiti offesi e hanno protestato, come era loro diritto, altri hanno capito che il nostro nemico non è affatto l’Islam ma l’oscurantismo. In ogni caso, nessuno ha provocato disordini gravi. La coscienza civile dei danesi, cristiani e musulmani, è aumentata. Di questo sono fiero. E i tribunali ci hanno dato ragione. Un gruppo di imam radicali tra cui Abu Laban, fan dichiarato di Osama Bin Laden, non si è arreso e ha organizzato un viaggio in Medio Oriente per sollevare le folle raccontando bugie».

Quali bugie?
«Intanto, che il Jyllands Posten è un giornale xenofobo di estrema destra: non lo è affatto, siamo un rispettabile quotidiano conservatore, di centro-destra. Poi, che nelle vignette c’erano scene di sesso con animali, pedofilia, e Maometto raffigurato con la testa di maiale. Tutte falsità gratuite propagandate per scatenare un odio insensato».

Hanno fatto scandalo, mesi fa, le compagnie di taxi che a Copenaghen accettano di fornire autisti bianchi e non immigrati: basta che il cliente chieda in codice «un’auto per me e il mio cane». Gli imam accusano i danesi di razzismo, a dicembre è stata approvata una legge più restrittiva sulla cittadinanza. La Danimarca diventa intollerante?
«Sono tornato a vivere qui due anni fa, dopo molto tempo passato a Mosca e Washington. Ci possono essere episodi negativi, ma in generale questa mi sembra ancora una società tranquilla, civile, aperta al prossimo. La nuova legge è dura contro i matrimoni forzati, l’infibulazione, le violenze sui figli, il terrorismo, ma gli immigrati in attesa di diventare cittadini godono di assistenza medica gratuita, diritto di voto locale, sono tutelati qui più che ovunque. Questo è un vanto della Danimarca e deve restarlo».

Ha paura per la sua vita?
«Io e il giornale abbiamo ricevuto molte minacce, cerco di lasciare la preoccupazione della mia sicurezza alla polizia».

Guido Olimpio offre un ritratto dell'immam Abu Laban, principale artefice della campagna anti-danese e anti-europea.  Legato al terrorista  Talaat Fouad Kassim, Laban é con ogni evidenza un predicatore d'odio e un istigatore alla violenza. E mentre media e intelletttuali si impegnano in assurdi dibattiti sui "limiti" della libertà d'espressione, sulle "provocazioni sacrileghe " che suscitano scontri di civiltà o sull'"umiliazione" dei musulmani, la sua vicenda suscita  una semplice domanda che ci stupiamo venga posta da pochissimi, e senza suscitare alcuna eco: è il caso di continuare a lasciare che  personaggi come Laban continuino ad operare indisturbati nei nostri paesi, orchestrando la violenza e il sovvertimento dei nostri ordinamenti giuridici ?
Ecco il testo:  

L'imam Ahmed Abdel Rahman Abu Laban non aspettava altro che un'inutile e offensiva provocazione. Così le vignette danesi, oltre che toccare la sensibilità dei musulmani, hanno fornito al leader islamico legna per il fuoco oltranzista. Abu Laban è un personaggio che conosce bene tanto il Medio Oriente che l'Europa.
Vive infatti in Danimarca dalla metà degli anni '90, dove vi è giunto al termine di un lungo peregrinare. Palestinese, originario della città di Jaffa, alla periferia sud di Tel Aviv, ha vissuto in Egitto e Kuwait dove è entrato a far parte della Fratellanza Musulmana. Poi, seguendo, l'esodo verso Occidente di molti esponenti radicali si è stabilito in Nord Europa.
A Copenaghen Abu Laban diventa lo stretto collaboratore di Talaat Fouad Kassim, figura di rilievo della Jamaa Islamya, movimento che in quegli anni non esita a ricorrere al terrorismo contro i turisti in Egitto. Il palestinese e Kassim stampano il bollettino «Al Morabitun», tengono rapporti con gli ex mujaheddin della guerra afgana. Attraverso la Danimarca passa anche il futuro numero due di Al Qaeda, Ayman Al Zawahiri, che lascia tra i suoi recapiti un indirizzo nel pacifico paese. Usando la piattaforma danese, i vertici della Jamaa lanciano una intensa attività di propaganda nelle comunità musulmane in Europa. Abu Laban e Kassim viaggiano molto, visitano moschee, predicano e raccolgono fondi per i fratelli della Bosnia e della Cecenia, denunciano la feroce repressione scatenata in Egitto.
L'imam palestinese si fa vedere spesso a Milano, dove accorrono in tanti da tutto il Nord Italia per ascoltare i suoi discorsi. E' considerato un personaggio influente, che cattura l'attenzione con sermoni incendiari. Nel febbraio del 1995 qualcuno segnala la sua presenza alla preghiera — a Milano — in onore di due kamikaze palestinesi fattisi saltare per aria il 22 gennaio in Israele: 18 i morti.
L'impegno di Abu Laban e del suo compagno Kassim destano l'attenzione dell'intelligence egiziana. Il Cairo sostiene, senza però fornire prove, che il palestinese avrebbe partecipato ad un summit per scatenare attacchi terroristici.
Più pesanti le accuse su Kassim che attirato in una trappola a Zagrabria (Croazia) durante un viaggio verso la Bosnia, viene catturato e rapito. Finisce poi al Cairo dove sarà fatto sparire per sempre. Liquidato, come altri esponenti integralisti inghiottiti nelle carceri speciali.
Abu Laban, invece, resiste nel rifugio danese e diventa gradualmente il canale di comunicazione tra le autorità e la comunità islamica. I critici dicono che in realtà l'imam mantiene una posizione ambigua.
Parla con toni distensivi quando si rivolge agli europei, ridiventa lupo se intervistato dai mass media arabi. Secondo la tv danese ha ripetuto lo schema di recente: davanti alle sue telecamere ha condannato il boicottaggio dei prodotti, ma ha cambiato posizione quando è apparso sugli schermi di Al Jazira. Sempre fonti danesi hanno ricostruito la missione di Abu Laban nei paesi arabi agli inizi di dicembre. Incontri di massimo livello — confermati in una lettera dallo stesso imam — incentrati sulla vicenda delle vignette offensive. Vede il Gran Mufti d'Egitto, il segretario della famosa Moschea Al Azhar, il segretario della Lega araba e alti funzionari: Abu Laban è contento perché ottiene una fatwa contro la Danimarca e un grande appoggio politico. E' quello che gli mancava per rilanciare una vicenda vecchia di mesi. Tornato in Danimarca, l'imam ha riacceso il fuoco.

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail con la propria opinione alla redazione del Corriere della Sera 

lettere@corriere.it