Tanto peggio per i fatti
l'esempio di come ragiona un ideologo in un articolo di Zvi Shuldiner
Testata: Il Manifesto
Data:
Pagina: 1
Autore: Zvi Shuldiner
Titolo: Brutta vigilia

Il governo israeliano consente a Marwan Barghouti di lanciare un appello televisivo al voto palestinese. Potrebbe averlo fatto per non acuire la tensione con un divieto, ma anche, ed'è molto probabile, per favorire Al Fatah, visto che ha più volte dichiarato che la vittoria della filiera palestinese del terrorismo islamista bloccherebbe ogni possibilità di negoziato. Tutti gli elementi del quadro contribuiscono da avvalorare l'interpretazione più semplice e lineare: Israele vuole trattare con i palestinesi, ma vuole anche un interlocutore che ne accetti l'esistenza , che rinunci alla violenza e che sia in grado di prendere credibilmente impegni e di far rispettare la legge e l'ordine nel proprio campo. Non vuole la vittoria di Hamas, ma continua al contrario a scommettere sull'Anp di Abu Mazen, pur sapendo, appunto, che si tratta di una scommessa, non avendo il presidenete palestinese un potere consolidato.
Zvi Shuldiner, giornalista israeliano che scrive per il Manifesto , in passato aveva però proposto una teoria diversa: lo scopo del governo israeliano sarebbe di favorire Hamas per poi poter affermare davanti al mondo che un interlocutore palestinese di Israele non esiste. A sostegno di questa tesi portava un solo elemento, ovvero le attività militari di Israele nei territori dell'Anp. Assurdo, perché quelle attività non erano e non sono che l'effetto del proseguire di altre "attività"; quelle dei terroristi.Non a caso, Israele si è astenuta dal colpire quella parte di Hamas che ha accettato il "periodo di calma", e si è concentrata sulla Jihad islamica, che la tregua non l'ha mai accettata. Alla debolezza del punto di partenza, si aggiunge il fatto nuovo dell'intervista a Barghouti, che sembrerebbe demolire l'ipotesi di Shuldiner. "Sembrerebbe" soltanto, perché il nostro non si scoraggia per così poco. Come tutti gli ideologi non prende neanche in considerazione l'idea che le sue tesi precostituite siano false. Il suo problema non è capire le intenzioni e  le motivazioni dei governi israeliani, ma, dato per scontato che esse siano malefiche, spiegare i comportamenti che a prima vista non collimano con questa descrizione. Ecco allora Shuldiner attribuire l'intervista a Barghoutia un momentaneo risveglio degli "eredi di Sharon" dalla propria "cecità politica". Quella che non vuole "un vero processo di pace" e che fino all'ultimo momento ha tentato di favorire Hamas anziché Fatah. Quando si dice: non voler guardare in faccia la realtà.

Ecco il testo:    

 
Il nervosismo nei territorio occupati e in Israele cresce all'avvicinarsi del momento che tutti temono: domani i palestinesi eleggeranno un nuovo parlamento che non rappresenta tanto l'elezione di questo o quel parlamentare, ma il risultato di processi di fondo condizionati dall'occupazione, dalla politica israeliana e dal fallimento del governo palestinese. Il governo israeliano ha contribuito in svariate forme alla costruzione di questo risultato. Ieri è accaduto un fatto drammatico che illumina, forse tardivamente, sui risultati a cui ha contribuito il governo di Sharon: il prigioniero Barguti è stato intervistato da reti televisive che possono far arrivare la sua voce ai palestinesi. Perché? Secondo alcuni politologi e commentatori palestinesi, al di là dei problemi che vive la loro società, le elezioni sono un fenomeno positivo che permette il ritorno alla politica, al discorso politico. Significa affrontare alcune delle questioni che stanno danneggiando la società palestinese e, in tutto questo, c'è un'energia positiva che permette di pensare alla sua ricostruzione. Ma si tratta di una società civile in crisi, con gravi processi di disintegrazione.
La resistenza, il terrore e l'occupazione cominciano oggi a dare i loro frutti più terribili e l'anarchia è seria. Non si tratta della tradizionale rivalità tra Al Fatah e Hamas o altri gruppi. In alcune regioni l'uso della violenza per fare spazio a ogni tipo di interesse - personale, familiare o di bande criminali - è all'ordine del giorno. Insieme al tanto celebrato ritiro unilaterale di Sharon è iniziato un nuovo tipo di violenta repressione nei territori occupati. Favorito dalla grande propaganda che presentava Sharon come un flessibile negoziatore, l'esercito israeliano sparava mentre il governo evitava ogni tipo di negoziato reale con i palestinesi. Dopo la ritirata unilaterale il governo israeliano ha «scientificamente» dimostrato ai palestinesi che la strada per veri negoziati non esiste. E' stato l'argomento migliore per convincere molti palestinesi che forse l'alternativa di Hamas sia un logico risultato. L'appoggio ad Abu Mazen e al suo governo è diminuito nella misura in cui venivano a galla i limiti dell'apertura israeliana ai negoziati di pace. Il consenso è diminuito ulteriormente quando Gaza si è rivelata come una grande prigione e la vita nei territori occupati peggiorava quotidianamente. Basta unire a tutto questo la corruzione e il processo di disintegrazione del governo palestinese, per capire perché tutti temono oggi una sconfitta di Al Fatah. Mentre Israele contribuiva con la sua politica repressiva alla crescente popolarità di Hamas ed evitava i negoziati con Abu Mazen o la liberazione dei prigionieri - atti che avrebbero rafforzato il leader palestinese e il suo partito -, la posizione del governo si induriva e metteva in guardia sugli effetti negativi che avrebbe l'elezione di Hamas o il suo ingresso nella futura coalizione. Sharon e il suo governo in fondo erano interessati a dimostrare al mondo «che non c'è partner ideale» e che si debba continuare con ritiri unilaterali su misura degli interessi israeliani, lasciando ai palestinesi enclave o bantustan.
Nell'establishment si discute il significato dell'eventuale entrata di Hamas nel governo palestinese. Alti ufficiali dell'esercito pensano che ciò porterebbe a una moderazione della linea e a una interruzione - forse temporanea - dell'uso del terrore. Intanto però prevale la linea che teme l'indurimento ed è questa la chiave per capire il perché dell'intervista a Marwan Barguti. Il governo israeliano si risveglia dalla sua stessa cecità e permette un'intervista televisiva a Barguti destinata a dare in extremis un piccolo aiuto ad Al Fatah. Una scelta che rivela più confusione che mai, che evidenzia quanto anche gli «eredi di Sharon» siano capaci in casi estremi di risvegliarsi dalla loro cecità politica, pur restando ostili a un vero processo di pace.

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Manifesto.

redazione@ilmanifesto.it