Un monologo teatrale per giustificare il terrorismo suicida
presentato in modo acritico
Testata: Corriere della Sera
Data: 12/01/2006
Pagina: 44
Autore: Emilia costantini
Titolo: Donna kamikaze a teatro, per capire

Scritto dalla serba Slajdana Stojcovic, che non crede che il regime di Milosevic abbia commesso alcun crimine in Croazia, in Bosnia e in Kossovo il romanzo "Ultime 24 ore di una kamikaze" è ora divenuto un monologo, "Prendimi con te", che sarà messo in scena a Roma. L'immaginaria terrorista suicida  del testo ha perso i genitori, uccisi dagli israeliani. Il fratello minore "ha perso gambe e braccia", in un attacco israeliano. Conseguentemente, scrive Emilia Costantini sul Corriere della Sera del 12 gennaio 2006,  "per difendere il diritto del suo popolo a restare nella propria terra, sceglie il martirio". Testuale. Ovviamente lo spettacolo, dichiara la giovane attrice protagonista, non "giustifica, ma comprende" il terrorismo suicida. Descrivendo gli israeliani come spietati oppressori e i terroristi palestinesi come vittime "disperate"? No, davvero non ci troviamo di fronte a un tentativo di comprendere il fenomeno (per farlo bisognerebbe indagare le sue radici ideologiche, l'educazione all'odio che forma  i terroristi palestinesi), ma a semplice propaganda. Alla quale la giornalista del Corriere si presta a fare da grancassa, del tutto acriticamente. "Comprendere", in un simile contesto, significa proprio "giustificare. L'ingiustificabile.

Ecco il testo:

 ROMA — Aprile 2002: a Gerusalemme una donna- kamikaze provoca sei morti e decine di feriti. Ottobre 2003: un'altra donna, trasformata in ordigno umano, compie una strage in un ristorante di Haifa, 19 vittime. Gennaio 2004: madre di due bambini si fa esplodere a Gaza, 4 militari israeliani morti, 12 feriti. Dicembre 2005: la prima kamikaze europea, una belga convertita all'Islam e arruolata nella Jihad, si fa esplodere in Iraq.
Unbollettino di guerra e una allarmante constatazione: aumenta la partecipazione femminile agli attacchi suicidi. Ma perché una donna, in certi casi madre, arriva a scegliere di togliersi la vita, annientando altre vite innocenti?
A questa domanda tenta di rispondere la pièce Prendimi con te , tratta dal romanzo di una esule serba, Sladjana Stojkovic, nata a Belgrado 34 anni fa, «Ultime 24 ore di una kamikaze». Lo spettacolo, scritto e diretto da Francesco Apolloni, debutta domani sera al Ridotto del Teatro Colosseo.
Protagonista, nel ruolo della giovane Samira, la diciannovenne Mimosa Campironi, diplomata in pianoforte al Conservatorio di Milano, iscritta al primo anno del Centro Sperimentale di Cinematografia, ora all'esordio in teatro. Dice l'attrice: «Mia nonna è una orfana pakistana, adottata da italiani: posso in qualche modo capire cosa significa vivere in un Paese martoriato». Samira è una ragazza palestinese: le hanno ucciso i genitori e vive con il fratello minore che, durante un attacco israeliano, ha perso braccia e gambe. Per difendere il diritto del suo popolo a restare nella propria terra, sceglie il martirio.
«Cosa ho in comune con la mia Samira? — spiega Sladjana — Anch'io provengo da un Paese dove una volta convivevano popoli di diverse religioni. Anche noi serbi, come i palestinesi, siamo stati cacciati dai croati dalla nostra terra. È stato detto che i serbi uccidevano i bambini: non so se qualcuno ne abbia le prove. Penso che i serbi siano stati giudicati male, così come i palestinesi».
Sladjana, esule in Italia da dodici anni, ha trasferito sul personaggio di Samira la sua dolorosa esperienza. Nelle pagine del suo diario, la ragazza, che sta per trasformarsi in una bomba, racconta la sua infanzia in mezzo alla violenza, l'amore che sogna, la sua voglia di vivere, il suo odio per questo mondo che la costringe a scegliere la morte.
Dice Mimosa: «Non è facile per una occidentale come me, cresciuta in condizioni di pace e prosperità, calarsi nella psicologia di un personaggio così lontano. Immedesimandomi in Samira, ho rimesso in discussione i valori umani di vita e morte e ho capito quanto noi siamo fortunati. Alla fine di questo percorso, non posso non sentirmi solidale con la causa del popolo palestinese». Dunque, uno spettacolo che giustifica le gesta di Samira? Risponde Mimosa: «Non giustifica, ma comprende». Conclude Sladjana: «Se quelle donne arrivano a compiere atti estremi, vuol dire che sono disperate».

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera cliccare sul link sottostante.

lettere@corriere.it