Da pagina 3 del Foglio un editoriale sul pericolo iraniano:
Questa volta la voce grossa l’hanno fatta gli europei, non gli americani. Non solo Tony Blair, ma anche Jacques Chirac e Angela Merkel. Gianfranco Fini ha condannato la decisione iraniana di togliere i sigilli Onu alle centrali nucleari e ha detto che su questo punto Teheran “non ci dividerà”. Il ministro degli Esteri di Mosca, che pure fornisce tecnologia a Teheran, ha detto di essere “dispiaciuto” della scelta iraniana e ne ha discusso con Condoleezza Rice, mentre i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza avevano già ufficialmente chiesto a Teheran di non riaprire le centrali nucleari. Il presidente Ahmadinejad ha replicato che non si farà intimidire da tanto “baccano occidentale”. La Gran Bretagna non esclude nessuna opzione. La Francia parla di “grave errore”. La Germania è certa che il gesto “non rimarrà senza conseguenze”. “Siamo arrivati al punto di non ritorno”, hanno detto i diplomatici del terzetto europeo a nome dei 25 membri dell’Unione, dopo il fallimento della lunga trattativa con Teheran. Gli americani avevano previsto questo esito molti mesi fa, ma avevano lasciato tentare gli europei. La questione arriverà al Consiglio di sicurezza dell’Onu probabilmente già oggi pomeriggio. E prima o poi l’Onu varerà sanzioni di qualche tipo.
Il punto è che ormai non c’è più alcun dubbio sulle intenzioni iraniane. Chi giudicava le preoccupazioni della Casa Bianca assurde paranoie di una presidenza neoimperiale s’è reso conto che gli ayatollah non hanno mai rinunciato a dotarsi della Bomba. La loro strategia è sempre stata ispirata al principio “se fate i cattivi ci facciamo la Bomba, ma se fate i bravi ce la facciamo lo stesso”. Una teocrazia islamista con l’atomica è un problema serio, perché non va dimenticato che alla guida ci sono i maniaci religiosi che vogliono cancellare Israele dalla carta geografica ed esportare la rivoluzione integralista nel resto del mondo. L’Amministrazione Bush, così come il governo inglese del laburista Blair, non esclude a priori nessuna opzione, nemmeno quella militare. Un’ipotesi sostenuta anche dal campione della realpolitik Henry Kissinger. Colpire chirurgicamente le centrali nucleari con raid aerei mirati, simili a quello israeliano che nel 1981 rase al suolo lo stabilimento di Osirak di Saddam, sembra un’idea d’improbabile realizzazione per svariati motivi, non ultimo il vuoto politico in Israele. Preparandosi al peggio, non sarebbe male che intanto il mondo civile lavorasse per il meglio. Vale a dire per fornire all’opposizione iraniana tutti i soldi, tutta l’assistenza e tutti gli strumenti necessari ad avviare una rivoluzione democratica che provi a cambiare dall’interno il regime dei turbanti atomici
Attenzione puntata sulla presa di posizione del premier britannico Tony Blair nell'editoriale del Riformista ( a pagina 2)
Ieri Tony Blair è stato il primo capo di un governo europeo ad annunciare quello che osservatori e analisti sapevano già da tempo: occorre portare al più presto la questione dell’atomica iraniana davanti al Consiglio di Sicurezza. «Non escludiamo alcuna misura», ha dichiarato l’inquilino di Downing Street, lasciando intendere che è giunta l’ora di lanciare un aut-aut al regime iraniano, di minacciare e se necessario implementare sanzioni economiche per porre fine alle pericolose ambizioni nucleari degli ayatollah. La recente riapertura dei siti per l’arricchimento di uranio, giunta dopo una lunga serie di passi avanti e passi indietro, obbliga a constatare che il lavoro diplomatico del terzetto europeo, che godeva del tiepido appoggio da Washington, ha fallito. Ora è necessaria un’azione più drastica che coinvolga, se non la comunità internazionale, che pure è minacciata nella sua interezza dalle aspirazioni iraniane, almeno le grandi potenze.
D’altro canto, l’opzione militare non è da prendere in considerazione, e non solo perché le forze statunitensi sono già provate da tre anni di presenza a Baghdad. L’Iran è un paese enorme, grande quasi quattro volte l’Iraq, il che esclude in partenza l’ipotesi di un’occupazione, mentre gli esperti dubitano della fattibilità di una serie di blitz mirati contro i siti nucleari. Le sanzioni sembrano non solo l’unica via percorribile, ma anche la più efficace: da oltre 26 anni la teocrazia iraniana fa i conti col crescente malcontento di una popolazione impoverita e che non condivide culturalmente il fanatismo del regime, e lo stesso Ahmadinejad sa bene che sanzioni economiche non farebbero altro che acuire l’impopolarità del suo governo. Sanzioni siano, dunque. Ora non rimane che augurarsi che le Nazioni Unite colgano nell’invito di Blair un’opportunità per riscattarsi dal torpore e dalla crisi in cui si trovano da anni.
Il Corriere della Sera pubblica a pagina 17 un'intervista di Guido Olimpio al filosofo americano di sinistra Michael Walzer, che sottolinea le gravi responsabilità dell'Europa nel precipitare della crisi.
Ecco il testo:
WASHINGTON — Michael Walzer, l'autore di «Guerra giusta e ingiusta», teme che nel suo braccio di ferro con l'Iran l'Occidente vada incontro «a uno dei peggiori disastri di politica estera della storia». E ne attribuisce la colpa all'Ue, «che non ha messo Teheran con le spalle al muro e non si è assunta le proprie responsabilità». L'inanità europea nei negoziati, dice il grande filosofo politico americano, ha contribuito alla crisi, e rimangono poche settimane per rimediarvi. «Guai — ammonisce Walzer — se l'America o Israele fossero costrette a bombardare l'Iran. Dall'Asia centrale al Medio Oriente, tutti ne avvertiremmo ripercussioni negative per decenni».
Innanzitutto, come giudica la situazione?
«Estremamente grave. Il presidente iraniano Ahmadinejad è un Khomeini con l'atomica. Si comporta come l'Ayatollah che nel '79 fondò la repubblica islamica e che denunciò gli Usa come "il grande satana". E tra non molto disporrà di armi nucleari. Che uso ne farà se non lo fermeremo? Se ne servirà per diffondere la propria versione dell'Islam nel Golfo Persico e nell'area circostante?».
Se la situazione è così grave, perché l'amministrazione Bush non la affronta direttamente?
«Per due motivi. Perché la catastrofe dell'Iraq le ha tolto molta credibilità e l'ha resa semi-impotente nella regione: l'unico strumento che le rimane è quello militare ed è logico che esiti a ricorrervi. E perché spera ancora che l'Ue negozi un accordo con Teheran, grazie ai buoni rapporti passati ».
Ma lei considera i negoziati europei un fallimento.
«Lo sono. L'Ue è stata troppo morbida, ha contrapposto la propria carota al bastone americano offrendo incentivi invece di prospettare sanzioni, si è lasciata beffare dagli iraniani. Il premier inglese Blair se ne è reso conto e intende mobilitare l'Onu. Ma non basta».
Perché?
«Perché l'Onu va al traino delle grandi potenze. L'Ue si deve presentare al suo Consiglio di sicurezza con un duro piano anti Teheran, un embargo finanziario e commerciale, tutta una serie di misure politiche e diplomatiche».
In conclusione?
«Questa crisi dimostrerà se l'Ue è capace di svolgere un ruolo internazionale importante, o se è un colosso con i piedi d'argilla. L'Ue sbagliò una volta in Iraq. Non può permettersi di sbagliare di nuovo in Iran».
Olimpio dedica un informato articolo agli indizi che avvalorano il timore che il progetto nucleare iraniano nasconda finalità militari (timore che del resto le dichiarazioni bellicose e l'ideologia di odio di tutta la classe dirigente iraniana basterebbero da sole ad avvalorare). Olimpio scrive alla fine del suo articolo di "bugie" americane sulle armi di distruzione di massa in Iraq. Posto che queste non fossero in realtà presenti nel paese (sulla possibile effettiva presenza di armi di distruzione di massa nell'Iraq di Saddam Hussein vedi: http://www.israele.net/articles.php?id=1021) si tratterebbe comunque di errori, non bugie (altrimenti, perché non fabbricare prove false?).
Ecco il testo:
Nessuno — per ora — ha scoperto la «pistola fumante» che dimostri che l'Iran vuole costruire l'atomica. Ma, sicuramente, esistono molti indizi. Alcuni raccolti dall'intelligence Usa, altri da quella israeliana, altri ancora forniti dagli oppositori al regime.
Piccoli tasselli che permettono di comporre solo parzialmente un quadro accusatorio. Tra questi ve ne è uno affascinante quanto controverso. Ha le forme tecnologiche di un computer portatile. Un laptop. Una «fonte di vecchia data» in Iran lo ha fatto arrivare nel 2004 agli 007 statunitensi. Nei suoi file ci sono i piani che descrivono come costruire una testata nucleare con la quale armare un missile terra-terra Shehab. C'è anche un grafico che illustra un'esplosione nel cielo sopra un bersaglio. Dunque il computer, come si dice in gergo, «parla». Fornisce indicazioni sulle intenzioni di Teheran. Altro che programmi pacifici, dicono a Washington, è evidente che il progetto dei mullah è militare.
Pur ammettendo che i documenti non rappresentano una prova schiacciante, i funzionari americani rilevano che si tratta di una traccia importante. E per questo nel luglio scorso ne hanno rivelato il contenuto a partner europei e ai vertici dell'Agenzia atomica internazionale, l'Aiea. Guidati da un sottosegretario con competenza sulle armi di distruzione di massa, agenti segreti e scienziati hanno tenuto un briefing negli uffici di Vienna dell'ente di sorveglianza. Con un proiettore hanno mostrato alcuni documenti selezionati, diagrammi e altro materiale ritenuto interessante. Ad assistere allo show, seduto in prima fila, il direttore dell'Aiea, l'egiziano Mohammed ElBaradei. Al suo fianco diplomatici di Francia, Germania e Gran Bretagna, i tre Paesi che negoziano con l'Iran.
Le reazioni al briefing sono state contrastanti. Gli spettatori hanno mostrato interesse per le rivelazioni ma al tempo stesso hanno espresso riserve sulla fonte. In poche parole vogliono essere sicuri che non si tratti di false informazioni. Gli americani hanno risposto che secondo gli esperti i file del computer appaiono autentici e la fonte affidabile. Un ricercatore intervistato dal New York Times ha avanzato una terza ipotesi: «Potrebbe essere il lavoro di una fazione iraniana e non di un apparato statale». Il problema è che dopo le bugie sull'arsenale di Saddam è diventato difficile sostenere l'accusa persino nei confronti di un regime che fa sfilare i missili e difende i suoi piani nucleari.
Su La Repubblica Arturo Zampaglione intervista l'esperto americano di mondo islamico Daniel Pipes (che definisce un neocon: l'interessato però non si ritiene tale) che invoca un ultimatum e la preparazione a un intervento militare. Ecco il testo:
NEW YORK - Daniel Pipes non ha dubbi: «L´Iran punta alla bomba atomica e il balletto diplomatico serve solo a nascondere le vere intenzioni». Si dice scettico sulle possibilità dell´Onu di risolvere la sfida. E spiega, in una conversazione con Repubblica, che si sta avvicinando il momento di rivolgere a Teheran un ultimatum credibile e apocalittico: «O bloccate subito il programma nucleare o distruggeremo, con un attacco missilistico, gli impianti che avete appena riaperto».
Fondatore e direttore del Middle East Forum, autore di diciotto libri tradotti in 19 lingue, Pipes è uno dei maggiori esperti americani di Medio Oriente. È anche un neocon molto vicino alla Casa Bianca: una posizione, questa, che assieme al suo approccio anti-conformista alle relazioni con l´Islam, gli ha sempre attirato aspre critiche e consensi entusiasti. Non è il solo, in queste ore, a rispolverare l´opzione militare per l´Iran. Del resto George W. Bush e Tony Blair ripetono di non escludere alcuna strada per bloccare Teheran. Quindi neanche quella missilistica.
Signor Pipes, quella dell´ultimatum non è una strada rischiosa, soprattutto alla luce della guerra in Iraq, che continuerà, anche secondo George W. Bush, a costare molto in termini politici e di sacrifici umani?
«Di pericoli, ne vedo tanti: un attacco missilistico sugli impianti nucleari arresterebbe del tutto il processo di democratizzazione in Iran, che procede lentamente, ma esiste. Gli ayatollah potrebbero diventare un punto di riferimento dell´anti-americanismo nel mondo islamico. D´altra parte, quando sono in gioco la vita e la morte non ci si possono permettere troppi lussi. E sarebbe comunque una operazione militare limitata, senza un´occupazione, come in Iraq, né il tentativo di abbattere il regime».
Comunque infiammerebbe le relazioni internazionali. Non sarebbe meglio deferire l´Iran al Consiglio di sicurezza e cercare una soluzione diplomatica?
«Ripeto: non dobbiamo illuderci sulle intenzioni di Ahmadinejad. Il neo-presidente vuole usare tutto - la religione, il petrolio, la bomba atomica - per estendere il potere iraniano. Non credo che l´Onu sia in grado di capire l´urgenza del problema e di affrontarlo in modo energico. Rischiamo di ricadere in negoziati inconcludenti con la Russia e con la Cina, di perdere tempo cercando di interpretare le strategie del Cremlino e di ripercorrere la strada delle sanzioni irachene».
Qualcuno dice: se Israele ha una bomba atomica, pur non avendolo mai ammesso, perché mai ci si terrorizza per i progetti iraniani?
«Sono due situazioni ben diverse. Israele è uno stato democratico che vuole proteggersi. L´Iran è guidata da una ideologia che vuole conquistare il potere, costi quel che costi. Ricordate la frase dell´ex-presidente Rafsanjani? Disse: "se scoppia una guerra atomica tra Teheran e Gerusalemme, Israele sarà completamente distrutto, l´Iran no"».
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