Dove vanno i partiti politici israeliani
le strategie di Likud, Kadima e Avoda, l'incognita Barak
Testata:
Data: 12/01/2006
Pagina: 11
Autore: Fiamma Nirenstein - la redazione
Titolo: Netanyahu ci prova «Io l’erede di Sharon» - L'opzione Barak - L'insonnia del Likud

La Stampa di giovedì 12 gennaio 2006 pubblica a pagina 11 un articolo di Fiamma Nirenstein dedicato alla politica interna israeliana.

Ecco il testo:

La tragedia si offusca, torna il tempo della politica. Sotto una pioggia battente ieri davanti all’Ospedale Hadassa Ein Karen di Gerusalemme sono rimasti solo i giornalisti israeliani e qualche famiglia che guarda ansiosamente verso le finestre del settimo piano. Una reggeva una striscione: «Sharon svegliati, c’è ancora tanto da fare». Effettivamente il vecchio fra i più amati e odiati della storia di Israele si sveglia lentamente, le radio meticolosamente danno conto del movimento di una mano, di un piede. Il dottore alla guida della troupe dei chirurghi che l’ha operato, un giovane uomo appassionato di origine argentina, Jose Cohen, confessa con la voce rotta: «Nel momento in cui si è mosso, i sentimenti sono stati molto, molto forti». Un anziano contadino, uno dei molti cui Arik ha salvato la vita col suo corpo sul campo di battaglia, scoppia in singhiozzi e dice: «Me lo sentivo, Arik non può andarsene senza salutarmi». Ma in realtà il miglioramento è piccolo piccolo, niente si sa ancora del destino dell’uomo fatale. Intanto la politica spalanca le sue fauci facendo capriole in un Paese parossisticamente vitale. Al primo posto la notizia che, benchè Sharon sia fuori gioco, secondo i sondaggi il partito che ha fondato non solo regge, ma cresce: la percentuale di chi lo preferisce conta il 45 per cento, mentre il Partito laburista tocca a malapena il 18 per cento e il Likud, che domani elegge nel disinteresse generale il segretario, solo un misero 15. Non solo: lo stesso Olmert vola altissimo, quasi che il leader intelligente ma segaligno e senza passato militare, come viene descritto, fosse stato irradiato di luce dalla figura del vecchio leone. Di cui non si sa se potrà di nuovo scrivere il suo nome: perché è questa la domanda. Gli uomini di Kadima sussurrano che comunque il nome di Sharon aprirà la lista che verrà presentata all’elettorato il 28 marzo. Se Sharon potesse firmare la richiesta secondo la legge, si mormora, sarebbe comunque, quali che siano le sue condizioni, una scelta simbolica molto significativa. Un’idea che non profuma nè di buon senso nè di moralità, e che, si può scommettere, sarà cassata quanto prima. Intanto ci sono due figure primarie che sulla tragedia di Sharon pianificano o realizzano guadagni. Uno è Bibi Netanyahu, oggi capo del Likud, che ieri ha ordinato ai quattro ministri del suo partito di dimettersi dal governo. Decisione presa da tempo, ma rimandata dopo l'ictus che ha colpito Sharon. Bibi è forse stato una delle maggiori cause della secessione dal Likud di Arik: il suo clamoroso abbandono del governo all’ultimo minuto prima dello sgombero da Gaza, soprattutto la sua partecipazione attiva a un clima in cui il premier veniva trattato da corrotto, dittatore e traditore, lo avevano certo amareggiato molto. Lui che di Bibi aveva fatto un ministro del Tesoro molto ben sostenuto dal governo in un mare di polemiche. Adesso Netanyahu, in un’intervista al New York Times, spende parole di apprezzamento infinito per il suo Primo Ministro, «il più grande generale che Israele abbia mai avuto», ricorda i tempi della loro collaborazione come quelli di un sodalizio indelebile, e in definitiva si dipinge come il suo più diretto erede politico, nonostante il dissidio sullo sgombero da Gaza. Certo, se Bibi avesse criticato anche adesso Sharon, sarebbe stato imperdonabile, quindi è comprensibile che ne dica bene. Ma anche un’adesione così accentuata sembra eccessiva, specie se si pensa a quello che Sharon gli risponderebbe se potesse. Di lui aveva già detto che «È un personaggio che entra facilmente nel panico e perde il controllo». Quanto a Shimon Peres, dopo che Tzipi Livni, la giovane ministra della Giustizia si è scansata volontariamente, ha ottenuto il secondo posto in lista dopo Olmert, anzi, il terzo se Sharon dovesse restare capolista. Ma Olmert non gli ha affatto promesso, come Peres voleva, il posto di ministro degli Esteri nè quello di sostituto del Primo Ministro. La Livni sembra la migliore candidata, e Shimon Peres non raccoglie per questa sua vittoria personale vicino al letto di dolore di Sharon, un grande consenso personale. La critica sui giornali e fra la gente è aspra e si concentra su una domanda: davvero il grande Peres, il Premio Nobel per la pace, aveva bisogno di altri titoli, di altre affermazioni? Intanto Olmert ha parlato ieri al telefono con Condoleezza Rice e le ha assicurato che Israele non fornirà nessuna scusa all’Autonomia Palestinese per rimandare le elezioni cui gli americani tengono tanto. L’ombra di Hamas si estende quindi potente su questa scadenza, che invece di favorire il processo di pace potrebbe scardinarlo definitivamente. Yuval Diskin, il capo dello Shabbach, ha fatto sapere ieri che in questi quattro mesi sono entrati a Gaza 5800 fucili, 5000 chili di esplosivo, 200 rampe per il lancio dei missili, 3 razzi antiaerei, e una quarantina di missili Grad con una gittata di 40 chilometri.

Il Foglio pubblica a pagina 2 dell'inserto l'articolo "L'opzione Barak".
Ecco il testo:

Gerusalemme. I medici di Ariel Sharon stanno riducendo al minimo la dose di sedativi che mantiene il premier israeliano in coma farmacologico. Non nascondono che ci vorranno giorni prima di capire quali siano le sue reali condizioni. Ehud Olmert, il premier in carica, si occupa del paese nel frattempo. Ieri ha incontrato le prime difficoltà: l’indisciplinato ministro della Difesa, Shaul Mofaz, ha dichiarato che Israele avrebbe permesso a Gerusalemme est di partecipare alle legislative palestinesi. La mossa non era concordata. Olmert ha informato il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, che il suo governo deciderà soltanto domenica sulla questione. Il giovane partito creato da Sharon si mantiene comunque in vetta ai sondaggi, nonostante l’assenza del premier. Tra le sue fila ci sono politici provenienti dai ranghi del Likud, il centrodestra, e da quelli dei laburisti di Avoda. Ma la sua anima di centro, a giudicare dalla provenienza dei membri più influenti, tende più a destra. Olmert, Tzipi Livni, ministro della Giustizia, e Mofaz arrivano dal Likud. Shimon Peres, ex leader storico della sinistra, è il grosso nome che Avoda ha perso a beneficio di Kadima. Questo squilibrio interno, da ribilanciare per ottenere un centro perfetto, aumenta l’interesse attorno alle voci che vogliono in possibile avvicinamento l’ex primo ministro laburista, Ehud Barak, al neo partito. Le cronache politiche israeliane raccontano l’imminenza di un incontro tra Olmert e Barak. I due uomini, nonostante l’appartenenza a schieramenti politici opposti, sono molto vicini. “E’ il migliore per guidare Israele”, ha detto Barak di Olmert. Lo staff dell’attuale premier conferma che i due si siano parlati al telefono, ma nega la possibilità di un incontro. A Gerusalemme, qualche giornale, come il conservatore Arutz Sheva, si è spinto a scrivere che si parla di una possibile entrata di Barak in Kadima. La piattaforma del partito, con il suo ritorno alla road map e l’impegno in vista della formazione di uno Stato palestinese, fa sperare nella riapertura di un processo di pace e ricorda l’era dei negoziati, gli accordi di Oslo, Camp David 2, Taba. Giorni lontani, in cui Barak era protagonista come primo ministro e poi rimossi dallo scoppio della seconda Intifada, nel settembre 2000. Quei giorni sono riscoperti sotto un’altra formula, quella dell’unilateralismo, dal progetto del vecchio premier. “Sharon ha sviluppato la sua idea rispetto a quello che percepiva essere il fallimento degli Accordi di Oslo, firmati nel 1993, ma non conclusi fino al 2000 – racconta al Foglio Raymond Cohen, professore alla Hebrew University di Gerusalemme presso il dipartimento di Relazioni internazionali e il fallimento di Camp David 2, nel 2000. Il processo di pace fallì”. Dice Cohen che, nel caso del progetto di Sharon, si può parlare dell’“anti eredità di Oslo”, da cui il premier ha cercato di muoversi per trovare una terza via capace di aprire a nuovi negoziati. Barak impersonifica quel fallimento agli occhi di molti israeliani. Tuttavia, spiega Cohen, la possibilità che l’ex premier laburista si unisca a Kadima c’è. Barak, però, rimane un politico poco popolare in Israele. Per parte della popolazione ha commesso errori ai tempi dei negoziati. Kadima può forse corteggiarlo, perché interessata ad aggiudicarsi altri grossi nomi dalle fila di Avoda. E Olmert è un amico. Ma per Shaul Mofaz, uno dei possibili competitori per la leadership e ministro della Difesa, un uomo come Barak, noto per la sua devozione alla sicurezza del paese, sarebbe forse di troppo. Spiega David Hazony – direttore della rivista politica Azure, dello Shalem Center di Gerusalemme – che Barak è ancora percepito come il primo ministro che ha fallito: una sua entrata in Kadima darebbe al leader del Likud, Benjamin Netanyahu, l’occasione per dare più di un colpo al neo partito. Corteggiare Barak non è una buona mossa strategica. E’ più probabile, racconta Hazony, che siano i laburisti a corteggiarlo. Avoda ha perso personaggi importanti. E cerca una figura capace di dare credibilità alla sua politica di sicurezza.

Nella stessa pagina una colonna è dedicata a "L'insonnia del Likud". Ecco il testo:

 Gerusalemme. Oggi, a Tel Aviv, il comitato centrale del Likud vota per i 92 candidati da presentare alla Knesset, il Parlamento israeliano. I vertici del partito di centrodestra si aspettano quest’anno un afflusso molto basso. Molti membri del comitato centrale sono passati nelle ultime settimane a Kadima, il giovane partito del premier Ariel Sharon, oppure hanno perso interesse nel movimento, come ricorda il quotidiano Jerusalem Post. Le ultime elezioni interne, nel 2002, sono ricordate come un carnevale: si vendevano hot dog, i candidati distribuivano gadget e stringevano le mani agli elettori in coda alle urne. Il leader Benjamin Netanyahu, questa volta, ha chiesto un voto più sobrio. Ieri un gruppo di membri del Likud, vicini al fuoriuscito leader Sharon, si è trovato a Tel Aviv per stilare la lista dei “ribelli”, che si opposero al ritiro dalla Striscia di Gaza, avvenuto quest’estate, e che hanno portato allo scisma e all’uscita del primo ministro. Il Likud appare diviso al suo interno, e lotta per ritrovare quella centralità politica che l’uscita di Sharon gli ha portato via. Ma i suoi politici ora preferiscono attendere e sono silenziosi da mercoledì scorso, da quando il premier è entrato in ospedale. Nessuno parlerà prima dei risultati di stasera. Il Likud ha optato per la strategia del basso profilo; attaccare ora l’avversario, Kadima, mentre il premier è ancora ricoverato, significherebbe dare ai politici appartenenti al neonato schieramento di centro l’opportunità di un contropiede: la destra, direbbero, non ha rispetto per il dolore di un “padre della nazione”. Tal Harel, portavoce di Uzi Landau, membro del Likud, ne è sicuro. Dice al Foglio che il suo partito non attaccherà Kadima adesso: “Chiunque nel Likud lo facesse, la stampa direbbe: ‘vedete, fanno politica invece di mostrare compassione per il primo ministro’”. Le elezioni del 28 marzo si avvicinano, nonostante la situazione politica, dal ricovero di Sharon, rimanga in stallo. “E’ il voto più strano nella storia d’Israele – dice Harel – A tre mesi dalle elezioni non sappiamo cosa attaccare e non conosciamo la piattaforma di Kadima”. Ieri, il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato un sondaggio: se si votasse oggi, Kadima otterrebbe 44 seggi alla Knesset, Avoda, i laburisti, 16, mentre il Likud 13. Secondo Harel, “gran parte dell’elettorato tradizionale del Likud pensa erronaeamente che Sharon rappresenti ‘il vero Likud’”. Rimane il fatto, spiega, che se il premier non fosse stato ricoverato, mercoledì scorso, la stampa israeliana starebbe oggi parlando dei suoi problemi con la giustizia, del processo di pace e dell’economia del paese. In seguito all’emorragia cerebrale che lo ha colpito, le accuse di corruzione sono sparite dai giornali. Per Landau, conosciuto per essere “uno dei politici più puliti” nel paese, questo “è inaccettabile”. Al Foglio spiega che “è come se la questione fosse sparita e fosse diventata irrilevante”. Agli occhi degli uomini del Likud, Sharon, prima di essere ricoverato, non aveva ancora fatto chiarezza sulla via da percorrere verso i negoziati per il processo di pace. La piattaforma di Kadima parla soltanto della necessità di ulteriori concessioni territoriali. Landau spiega che “il Likud non crede nelle cessioni di terra ai palestinesi, senza concessioni” della controparte. “Non crede nel buttare fuori dalle proprie case gli israeliani senza prima chiederglielo. Non crede negli israeliani che cacciano altri israeliani. Deve essere offerta una scelta: le persone devono avere la possibilità di votare”. Ora, gli sviluppi del processo di pace sembrano essere nelle mani del premier in carica, Ehud Olmert. Per Harel, se Kadima vincesse, il politico “cederebbe terra senza concessioni (dall’altra parte) e andrebbe avanti con ulteriori ritiri unilaterali. Se Sharon rimanesse incosciente, giustificherebbe ogni mossa dichiarando: ‘questo è quello che Sharon avrebbe voluto che facessi’”. Olmert è diventato ministro delle Finanze dopo le dimissioni di Benjamin Netanyahu, arrivate alla vigilia del ritiro dalla Striscia di Gaza. Harel critica apertamente l’attuale primo ministro: “Olmert continua a parlare della finanziaria del 2006 come della ‘mia finanziaria’ e continua a criticare il Likud e Netanyahu per le condizioni economiche d’Israele”. E’ una bugia, dice il portavoce. La finanziaria è stata pensata e stilata da Netanyahu. “E’ il suo lavoro e non ha niente a che vedere con Olmert”. Landau e Harel prevedono che il Likud di Bibi, contrariamente alle aspettative della stampa internazionale, prenderà una posizione di centrodestra e non di estrema destra, e rimangono entrambi molto scettici sulle sorti di Kadima – dal cui interno è giunta ieri la proposta di mantenere il nome del premier in testa alla lista elettorale – senza Sharon. “Senza di lui, non ha identità – dice Landau – è meno attraente e senza un programma”. Per Harel, il successo del giovane partito è legato a un’ipotetica guarigione del premier: “Se Sharon uscisse dal coma e pronunciasse due parole: ‘votate per Kadima’ sarebbe la fine, Kadima vincerebbe. La forza e la popolarità di Sharon sono, che ci piaccia o no, molto forti”.

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