Pericolo iraniano
l'intervista a un esperto israeliano e un editoriale giustamente allarmato
Testata:
Data: 11/01/2006
Pagina: 10
Autore: Lorenzo Cremonesi - Fulvio Scaglione
Titolo: Ma il popolo sta con il regime E sogna di avere l'arma totale - Passo dopo passo Teheran verso l'atomica

Il Corriere della Sera di mercoledì 11 gennaio 2006 pubblica a pagina 10 un'intervista a Menashe Amir, esperto israeliano di Iran. Il titolo, «Ma il popolo sta con il regime E sogna di avere l'arma totale» omette di segnalare che secondo  Amir il consenso del popolo iraniano  verrebbe a mancare quando Ahmadinejad minaccia l'esistenza di Israele. Inoltre Amir sottolinea che in Iran manca la libertà d'espressione: è dunque arduo capire se il "consenso " verso il regime sia davvero tale. Amir in realtà sostiene soltanto che gli iraniani appoggerebbero il programma nucleare, perché si sentono minacciati dai vicini. Questo non significa però che appoggino gli ayatollah.
Ecco il testo:

  GERUSALEMME — L'opinione pubblica iraniana? «Con il regime per la costruzione della bomba atomica. Ma contro Mahmud Ahmadinejad quando si scaglia contro Israele e nega l'Olocausto», parola di Menashe Amir, uno dei più noti osservatori israeliani dei media iraniani. Nato a Teheran, immigrato ventenne in Israele nel 1960, Amir ha trascorso tutta la sua carriera a monitorare radio, tv e pubblicazioni iraniane, oltre a dirigere il canale in farsi della radio nazionale israeliana.
L'Iran scongela il programma nucleare e torna all'indice della comunità internazionale. Ma la popolazione non è stanca di vivere nel Paese paria per eccellenza?
«Siamo di fronte a una dittatura attenta, pervasiva, dove la gente evita di esprimersi con troppa chiarezza. Per la maggioranza degli iraniani la bomba atomica è una questione di prestigio. Sostengono qualsiasi regime che persegue il programma nucleare. L'iraniano medio è un fiero nazionalista. Per lui tutto ciò che dà forza e rispetto al Paese va sostenuto senza riserve».
Atomica come strumento di prestigio?
«Non solo. Qui le memorie della guerra contro l'Iraq negli anni '80 restano una profonda e collettiva ferita. Anche ieri Rafsanjani, molto più moderato di Ahmadinejad, ha ripetuto che se Saddam avesse avuto l'atomica l'avrebbe tirata su Teheran senza alcuno scrupolo. La convinzione più diffusa è che in una regione tanto esplosiva, dove gli iraniani si sentono circondati da nemici e potenziali colonizzatori, l'atomica resta l'unica polizza di assicurazione».
Nessun tipo di opposizione?
«Qualche isolato intellettuale, tra le personalità fuggite all'estero. Ma non hanno alcun peso rilevante».
E come vedono le minacce contro Israele?
«Male. Le ritengono provocazioni che non portano a nulla di positivo. La nostra radio riceve tante telefonate di iraniani, che vogliono scusarsi a nome del loro Paese per le parole cariche di veleno di Ahmadinejad. Stamattina, una signora, una musulmana sciita di Teheran, ci ha offerto uno dei suoi reni per donarlo a Sharon, se per caso ne avesse bisogno una volta uscito dal coma».
Qualche possibilità di cambio di regime?
«Non credo. Non vedo alcuna possibilità di ricambio democratico. E un colpo di Stato è impensabile senza un solido aiuto dall'esterno, che non vedo materializzarsi».
Ahmadinejad può dormire sonni tranquilli?
«Direi di sì. E' sostenuto quasi senza riserve dall'aristocrazia religiosa. L'esercito non lo mette in dubbio. E in più si sente vincente, sta penetrando in Iraq grazie alla nuova supremazia sciita dopo la caduta di Saddam».

Sulle vicende iraniane Avvenire pubblica in prima pagina un editoriale di Fulvio Scaglione "Passo dopo passo Teheran verso l'atomica" 

Ecco il testo: 

La decisione del governo di Teheran di togliere i sigilli ai siti per la ricerca nucleare, compreso quello per l'arricchimento dell'uranio di Natanz, ha destato reazioni allarmate in tutto il mondo. Decise negli Usa, da tempo pronti a denunciare l'Iran al Consiglio di sicurezza dell'Onu e a iniziare la procedura per le sanzioni. Commenti severi in Europa, dove Javier Solana, alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, ha detto che quello di Teheran è «un passo nella direzione sbagliata». Riscontri duri anche in Russia, nonostante che il Cremlino abbia a lungo collaborato con quel programma nucleare che adesso rischia, proprio attraverso l'arricchimento dell'uranio, di dotare l'Iran della bomba atomica.
Nulla di nuovo, dunque, con la parziale eccezione dell'atteggiamento di Mosca. Che potrebbe rappresentare, più che una novità, un'evoluzione di quella solidarietà con Teheran che resta fruttuosa per la Russia (l'Iran è oggi la sua vera porta verso Sud, considerate le difficoltà nel Caucaso, in Asia Centrale e intorno al Caspio) ma che diventa di giorno in giorno più difficile da gestire anche a causa delle intemperanze del presidente Ahmadinejad. Il signore del Cremlino sa bene che l'Iran non rinuncerà mai alle ambizioni nucleari. Sia a quelle legittime (dotarsi di centrali a uso civile) sia a quelle che la comunità internazionale condanna (il riarmo atomico) e che dal punto di vista tecnico poco distano dalle altre. In questo il Paese è compatto e il voto del Parlamento (221 deputati su 290 hanno approvato la decisione di riprendere le ricerche) lo dimostra.
Gli ayatollah sanno benissimo che procedendo su questa strada lo scontro con il fronte capitanato dagli Usa sarà inevitabile, e doloroso per un Iran che, pur essendo il secondo Paese produttore di petrolio tra quelli dell'Opec, è lontano dall'aver risolto i propri problemi sociali ed economici. Considerata la loro prudenza (l'Iran ha sostenuto il terrorismo ma non ha mai aggredito al cun Paese, né vicino né lontano), vien da chiedersi che cosa sia a spingerli a rischiare tanto. Alcuni dei loro calcoli sono evidenti. La fatica degli Usa, che non possono impegnarsi in altre imprese finché non risolvono il rebus iracheno. L'eventuale choc petrolifero (ieri, alle prime notizie, il greggio è volato oltre i 63 dollari a barile) che ulteriori tensioni in Medio Oriente finirebbero per provocare. L'indecisione di un'Europa poco convinta (vedi le famose armi di Saddam) di essere l'obiettivo di eventuali missili atomici di Teheran.
Il vero cardine dell'intransigenza iraniana, però, è proprio la Russia. Si è ormai delineata una catena di piccoli e grossi ricatti che di fatto blocca la situazione. Dopo aver fornito le basi del programma nucleare iraniano, Mosca è legata a filo doppio con Teheran: non può tirarsi indietro ma non può farsi troppo coinvolgere in progetti che paiono comunque destinati a creare grossi problemi. Neppure Teheran può far da sola, né può contare più di tanto sulla Cina, pronta a concludere affari ma non farsi condizionare. Mosca tenta allora di ribaltare il gioco sugli Usa, proponendosi come l'unico mediatore capace di parlare con gli ayatollah e di farli ragionare, se non desistere.
Come si vede, al di là delle dichiarazioni aggressive, è in atto un gioco di pazienza e di equilibrio. Nessuno vuol fare il primo passo, tutti aspettano che l'altro inciampi. In Iran, intanto, i sigilli sono saltati.

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