Per l'ex consigliere di Rabin in Medio Oriente tutto dipende da Kadima
e la Road Map è solo utopia
Testata:
Data: 11/01/2006
Pagina: 6
Autore: Jacopo Tondelli
Titolo: Il futuro del Medio Oriente dipende da Kadima

Il Riformista di mercoledì 11 gennaio pubblica un'intervista di Jacopo Tondelli a Yoran Peri, ex consigliere di Rabin, sulla situazione politica interna e internazionale di Israele

Ecco il testo:

Era al fianco di Rabin quando Yigal Amir spezzò il sogno di una pace che viveva del suo uomo simbolo.Con Rabin aveva meditato quei passi, guardando soprattutto alle ricadute strategiche che il cammino di Oslo avrebbe avuto sulla stabilità d’Israele, sul suo futuro di “paese normale”.Del falco Rabin, che morì da colomba,Yoram Peri è stato infatti primo consigliere politico, ruolo che poi, con Barak premier, toccò allo storico Benny Morris. Studi politologici e strategici alle spalle, ora dirige il prestigioso Herzog Institute dell’università di Tel Aviv, dove insegna sociologia politica e comunicazione.Alle inattese evoluzioni di Sharon ha guardato con attenzione, e ora che lo scenario di dieci anni fa sembra beffardamente riproporsi – un leader che manca improvvisamente, nel bel mezzo del guado da lui stesso iniziato -, Peri non nasconde le sue paure. Non c’è domanda cui non inizi a rispondere sospirando: «Tutto dipende dal successo di Kadìma». Tutto. Sul piano dei rapporti con i palestinesi; su quello delle relazioni internazionali, in particolare con il mondo arabo ed islamico, ma non solo; e infine su quello, certo non secondario, dei profondi mutamenti sociali che attraversano fino allo smottamento la società israeliana. Ma prima di capire perché la tenuta di un partito appena nato e che solo qualche mese fa era solo nella mente di pochi sia così decisiva, vale la pena di analizzare le sue realistiche possibilità di successo senza Arik. E, ancor prima, cosa significhi “successo” per Kadìma, a questo punto. «Ci sono due scenari che è realistico prevedere, ora, per le elezioni di fine marzo» dice Peri al Riformista. «Il primo è che Kadìma conquisti più o meno i seggi che gli erano attribuiti prima della defaillance di Sharon. 40 parlamentari, più o meno, e la certezza che il partito diventi il centro di gravità dell’intero sistema politico, e dei rapporti di forza. Questo risultato dipende da quanto l’assoluta novità dell’idea di Sharon e la voglia diffusa di superare il dualismo Labour-Likud sono in grado di sopperire all’assenza improvvisa del leader carismatico su cui l’intero partito si reggeva». Questo il successo. E l’insuccesso in che cifre si misura? «Attorno ai 30 parlamentari, magari anche qualcuno meno. Il risultato sarebbe negativo per tutti, perché ci troveremmo di fronte ai tre principali partiti che grosso modo contano allo stesso modo, e nessuno è in grado di dare stabilità». E addio alle poche, solide alleanze (tendenzialmente con il Labour di Peretz e i laici dello Shinui di Tommy Lapid) che probabilmente Sharon preparava per una maggioranza finalmente libera dai ricatti degli ultra-ortodossi. «Esatto. Una situazione incontrollabile, con il Likud nella posizione di poter bloccare ogni iniziativa di pace, o con minuscoli partiti religiosi nuovamente dotati del potere di ricatto che tanto male ha fatto a questo paese e, per di più, con la grossa incognita delle reali capacità di leadership di Ehud Olmert », prosegue Peri. «Sempre che anche la sua candidatura non sia discussa e ritirata prima delle elezioni dal suo stesso partito. E poi non dimentichiamo il peso decisivo del voto dei russi, oltre un milione di elettori che sceglieranno in modo decisivo tra Kadìma e Likud, visto che l’immagine da “comunista” di Amir Peretz li ha definitivamente allontanati dal Labour». Ben prima di quel 28 di marzo, peraltro, si vota di là dalla linea verde, per le prime elezioni parlamentari palestinesi in cui Fatah rischia di perdere o, quantomeno, di non vincere. Dovesse vincere Hamas, sarebbe più che mai auspicabile che in Israele ci sia un governo solido, e con le idee chiare. «Esatto, ma questo governo passa per l’auspicabile ma di sicuro non certa affermazione di Kadìma. Anche perché le incognite legate ad un’eventuale vittoria di Hamas sono davvero grosse e nessuno può dire con certezza se ci darà una svolta moderata, come qualcuno dice, o se invece Hamas terrà fede alla sua linea. E soprattutto, è difficile prevedere quali reazioni efficaci, unitarie e lungimiranti prenderà un governo israeliano debole e frammentato ». Oggi Olmert ha annunciato che anche i palestinesi di Gerusalemme decisamente pro-Fatah) potranno votare. Un’arma a doppio taglio, perché ora l’Anp non ha più scuse per bloccare delle elezioni che rischia seriamente di perdere. «Già, ma credo che un rinvio sarebbe stato comunque peggiore da tutti i punti di vista e per tutti, Israele compreso». Diciamo che vince Fatah. La Road Map va avanti? «Non credo proprio che la tempistica prevista dalla Road Map (con nascita dello Stato palestinese entro il 2008, ndr) sia realistica. Non lo era prima, figuriamoci ora. Bisogna essere due contraenti fortissimi per giungere a quel risultato, e non vedo affatto che Israele e Anp abbiano la coesione che serve, al proprio interno». Intanto l’Iran ha ripreso coram populi ad arricchire l’uranio, mentre la Siria continua a gonfiare il petto a nascondere una grave crisi interna al regime.«E anche qui l’orizzonte è quanto mai incerto. Con riguardo all’Iran», spiega Peri, «non abbiamo la forza per pensare di agire da soli militarmente. Talora qualcuno lo propone, in Israele,ma mi sembra davvero irrealistico, e quindi siamo nelle mani della comunità internazionale. Diverso è il discorso della Siria. Che è in grave crisi, è vero, e per questo qualcuno dice che è il momento di forzare Assad a riconoscere Israele in cambio del Golan. Vedo due problemi enormi, però. Anzitutto, in questo modo si darebbe una patente di legittimità ad un governo dittatoriale proprio nel momento della sua massima crisi. Secondariamente, una parte ampiamente maggioritaria degli israeliani si oppongono per ragioni di sicurezza alla restituzione del Golan. Servono, ancora una volta, una grande leadership ed una maggioranza solida per portare il paese ad un passo così impopolare. Ricordo bene quando nel 1994, prima che firmassimo la pace,la Giordania di re Hussein fece la proposta oggi ricordata come Prima di tutto Gerico. Chiedeva, in sostanza, che Israele cominciasse col ridare Gerico, conquistata nel ’67, alla Giordania. Un gesto di distensione caldeggiato dagli Usa e sostenuto da Kissinger, dagli europei,da buona parte del mondo arabo e dal Consigliere di Rabin, cioè da me. Contro il parere di tutti Rabin si oppose, spiegando a chiare lettere il perché. Non era abbastanza forte, ci disse, in Israele».

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