Il Medio Oriente dopo Sharon
uno scenario
Testata:
Data: 10/01/2006
Pagina: 4
Autore: Roberto Gatti
Titolo: Olmert e il rilancio di una nuova Road Map

Dal Riformista di martedì 10 gennaio 2006:

Come sarà il Medioriente senza Sharon? La scomparsa politica del  eone Arik” si riverbera imprimendo forti vibrazioni non solo sul quadro politico israeliano e sul campo palestinese ma, per il principio politico dei vasi comunicanti che da oltre
mezzo secolo regge la geopolitica dell’area, sugli inquieti paesi della regione.
Il nucleo centrale dell’annunciato programma di Kadìma,ora guidato da Olmert, è quello di tracciare le frontiere permanenti di Israele anche attraverso un processo negoziale. Un processo complesso, che permetta la costituzione di uno Stato palestinese, e che prevede scambi di aree e di popolazioni. Tormentato dall’incubo demografico che lascia intravedere, agli attuali tassi di natalità e di attesa di vita, un Israele, con Territori annessi, a maggioranza araba entro pochi decenni, Sharon aveva ipotizzato, dopo il ritiro da Gaza, un nuovo piano: la cessione all’Anp di alcune aree a maggioranza araba in territorio israeliano in cambio di zone occupate della Cisgiordania dove i coloni sono maggioranza. Nella stessa ottica intendeva affrontare la spinosa questione di Gerusalemme. Tali permute permetterebbero
Israele di mantenere, entro i nuovi confini, una salda maggioranza ebraica. Contrariamente allo sgombero da Gaza o la costruzione del Muro, un simile passo non può essere realizzato mediante scelte unilaterali: per questo diventa necessario rilancio di una nuova road map. Olmert dovrebbe ora dare continuità
a quel progetto. Sebbene confortanti sondaggi di queste trepidanti giornate risentano, inevitabilmente,dell’emozione suscitata dalla partecipazione corale all’ultima e più dura battaglia che Sharon sta combattendo; e sebbene il fido
scudiero divenuto premier a interim e leader del partito, non abbia titanico carisma del suo padre-protettore e manchi a Kadìma una cultura politica sedimentata, vero antidoto all’improvvisa scomparsa dei leader fondatori, lo spazio per una politica che pratichi davvero, e non strumentalmente, la ricerca della pace nella sicurezza" esiste nella società israeliana. Il merito dell’ultimo Sharon è stato quello di darle
corpo e legittimarla davanti a estesi settori della società israeliana. Ma tale politica può trovare ora improvvisi ostacoli. Non solo quelli eretti da un sempre possibile riflusso destra a favore del redivivo Likud di Netanyahu per timore che senza Sharon quella politica non sia possibile. Ma anche quelli innalzati in un campo palestinese dove la debolezza di Abu Mazen è davanti a tutti. Se Hamas vincesse le elezioni legislative di fine gennaio,tutta la situazione potrebbe cambiarerapidamente anche in campo israeliano. Quanti di quelli che si sarebbero “affidati” a Sharon continuerebbero a guardare "avanti"? O quanti invece, anche se la Difesa nel nuovo governo rimanesse al falco Mofaz, a scapito delle aspettative
dell’astro nascente ma digiuno di cose militari Tzipi Livni, che in quella poltrona vede il necessario passaggio per poter aspirare in futuro alla premiership, guarderebbero piuttosto indietro, al Likud dei duri e puri? L’ipotesi di un successo di Hamas non è affatto peregrina,come ha dimostrato il recente turno elettorale
amministrativo e in particolare i risultati che il gruppo islamista ha ottenuto fuori dalla storica roccaforte di Gaza.Forte del suo welfare religioso e della sua struttura armata, del prestigio che,a torto o a ragione,le viene dall’essere l’unica forza che, dopo Hezbollah, può dire di aver costretto gli israeliani al ritiro, la branca palestinese della Fratellanza si consolida sempre più mentre l’Anp naufraga in una guerra per bande e nell’incapacità, dopo il ritiro israeliano, di controllare la Striscia.
Nonostante la politica delle scelte unilaterali, l’uscita di scena di Sharon
è per Abu Mazen un duro colpo: perché lo priva di un interlocutore politico spietato ma credibile nella sua recente volontà di creare uno Stato palestinese.Per il dopo Sharon, l’Anp ha un proprio incubo. Quello di rimanere stretta tra l’incudine del
possibile successo di Hamas e il martello del ritorno di Netayahu.O, nell’ipotesi
migliore, quello di un Kadìma timoroso di essere percepito, senza la tutela “militare” del suo fondatore, troppo debole davanti all’opinione pubblica per gestire le fasi di crisi che i nemici del negoziato di entrambi i campi metteranno inevitabilmente in moto. Con il rischio che, senza Sharon, il nuovo partito non
arrivi sino in fondo.O ci arrivi male. Il versante palestinese è in ebollizione anche dal punto di vista militare. Le forze di sicurezza israeliane denunciano l’infiltrazione di Hezbollah nella Striscia e il sostegno della formazione sciita libanese ai panislamisti della Jihad islamica.Altro fattore di complicazione è il tentativo di
Al Qaeda di insediarsi, oltre che in Giordana, in Palestina.Libano e Giordania sono nuovi possibili fronti per Israele. Amman paga l’essere insieme: alleata degli
Usa, terra di profughi palestinesi e patria di Zarkawi, il suo essere statocuscinetto
tra Israele e Iraq.Zarkawi ritiene che sia giunto il tempo per Al Qaeda, di cui è ormai il comandante militare operativo in Medioriente, di colpire in proprio Israele. Agendo con una strategia del tutto diversa da quella islamonazionalista di Hamas,
che continua a rifiuta di entrare in Al Qaeda e si “accontenterebbe”di cancellare Israele dalle carte geografiche senza poi aderire al jihad globale. Anche l’Iran di Ahmadinejad afferma di volere la stessa cosa.E Israele, che ha sempre considerato l’Iran l’unica seria minaccia per la sua sopravvivenza, vuole impedire a ogni costo che Teheran possa sviluppare il nucleare.Per impedire la bomba degli
ayatollah Sharon aveva probabillmente elaborato un piano che prevede la replica di Osirak, il reattore di Saddam polverizzato dagli aerei con la Stella di David. Ma Arik riteneva anche che simile operazione , per le implicazioni che ha nell’intero mondo
islamico, non potesse essere svolta da Israele.O, comunque , non solo da Israele.E non tanto perché gli iraniani, memori del precedente iracheno, hanno rinforzato i siti e dispersi in diverse località rendendo più difficile i raid. Ma per lo sconquasso politico che un’azione unilaterale di Israele potrebbe generare nell’intero mondo islamico, aggravando le difficoltà degli stessi regimi alleati di Washington.Un Israele che si autopercepisse meno sicuro in assenza di una leadership "forte" potrebbe invece essere tentato dal colpo a sorpresa. Quanto al Libano Sharon aveva salutato con favore il ritiro siriano da Beirut. Ma, come in passato quel paese si è rivelato irriducibile alle attese del vecchio leader. Il vuoto lasciato dai siriani non è sfociato nella piena realizzazione della “rivoluzione dei cedri” ma nel rafforzamento di forze ostili a Gerusalemme, come Hezbollah. Quanto alla Siria, il “bulldozer” era intenzionato a avviare anche con Damasco un discorso su confini.A partire dal Golan.Un banco di prova essenziale per il giovane Assad, ancora prigioniero della vecchia guardia legata al padre. Tutto questo resta, per ora solo un progetto, mentre Sharon combatte la sua battaglia decisiva all’Hadassa.


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