Maurizio Blondet sparge veleno su Sharon e Israele
sul quotidiano della Lega
Testata:
Data: 09/01/2006
Pagina: 1
Autore: Maurizio Blondet
Titolo: L’U0MO CHE HA VISSUTO TRA GUERRA E PACE

La Padania del 6 gennaio 2005 pubblica un articolo di Maurizio Blondet su Sharon. Si tratta di un concentrato di faziosità, falsità e ignoranza. Secondo Blondet Sharon avrebbe occupato da solo, nel 1967, "Gerusalemme, Gaza e la Cisgiordania" e nel 1973 si sarebbe spinto oltre il canale di suez mosso unicamente dal desiderio di conquistare terra per gli ebrei.  Una commissione d'inchiesta israeliana l'avrebbe riconosciuto come il mandante della strage di Sabra e Chatila. Ovviamente con la sua "passeggiata sulla Spianata delle Moschee" avrebbe intenzionalmente provocato la seconda intifada violando un'inesistente proibizione, che varrebbe per tutti gli israeliani, a calcare quel sacro suolo islamico ( Sharon si è in realtà recato alla Spianata, o Monte del Tempio con l'accordo dell'ente che tutela i luoghi santi islamici). Tra le righe, è chiara l'insinuazione di Blondet: che Sharon sia anche responsabile dell'"oscura provvidenza" dell'11 settembre che ha fatto della politica di Israele la "politica dell'America". e' una tesi a lui cara, che sulla Padania non può (o non vuole?) esprimere chiaramente, ma che è al centro dei suoi libri e della propaganda del sito (effedieffe.com) che dirige. Invitiamo i lettori della Padania e i lettori di Informazione Corretta politicamente vicini alla Lega a scrivere al quotidiano per chiedere come la linea di politica estera del partito sia compatibile con la collaborazione di fanatico nemico di Israele come Blondet.

Ecco il testo dell'articolo: 

     La casa è sempre lì, nella Gerusalemme araba. “La casa di Sharon” l’hanno sempre chiamata, anche se lui non ci ha mai abitato. Ma che fosse sua, lo diceva un’enorme telone con la stella di Davide che pendeva dal muro, e i sorveglianti armati (ragazzini) che la presidiavano. Erano in parte membri dell’organizzazione giovanile del Likud, il partito di Sharon, e parte di una “yeshiva” (scuola rabbinica) estremista chiamata “Ateret Cohanim” (Corona Sacerdotale) che... ... raccoglie denaro per ricostruire il Tempio ebraico, quello distrutto da Tito imperatore nel 72 d. C. Ma più che studenti di teologia apparivano, con le loro camice nere e la brutale strafottenza, dei picchiatori fascisti.
Insomma non un’abitazione, ma una provocazione: tipico del generale. Il segno tangibile della sua politica quando, tra il 1990 e il ’92, è stato ministro della Costruzione e dell’Abitazione. Nonostante il nome, un ministero nient’affatto pacifico. Sharon lo usò abbondantemente per portar via case e terreni ai palestinesi. Specie a Gerusalemme, in modo da cambiarne la composizione etnica, far diventare la maggioranza araba una minoranza, in vista di un possibile futuro referendum sul destino della città. Per questo l’Olp vietava ai palestinesi di vendere le loro case ad ebrei, a Gerusalemme. Ma Sharon aveva i suoi metodi per venirne in possesso. Se una casa cominciava a crollare (sono molte nella Gerusalemme medievale) il proprietario arabo si vedeva negare dal Ministero l’autorizzazione a qualsiasi opera di consolidamento e ammodernamento. Poi, un’organizzazione estera si faceva avanti, e offriva un bel po’ di soldi per quel rudere pericolante e senza bagno. Il palestinese, costretto dal bisogno, vendeva. L’organizzazione straniera “donava” la casa al Ministero.
Un francescano belga mi fece salire sul tetto del convento per vedere le case così acquisite: un mare di bandiere azzurre israeliane su centinaia di case arabe, ognuna col sorvegliante armato sul tetto. Perché nessun ebreo ci abitava, era troppo pericoloso lì, nei vecchi vicoli musulmani. Ma era un fatto compiuto: la prova precostituita che Gerusalemme era ebraica, e sarebbe stata la capitale indivisa di Israele, senza lasciarne nemmeno un angolo ai palestinesi.
Tipico di Sharon: il maestro dei fatti compiuti, degli atti di forza per vanificare le risoluzioni dell’Onu, per trasformare un inevitabile “processo di pace” in una nuova fase dell’eterna guerra.
“Liberare la terra” dagli arabi è stata la sua ossessione, fin da quando, giovanissimo, ha militato nell’Haganah, formazione terroristica ebraica (un “esercito clandestino”, come l’Ira irlandese) sotto il protettorato britannico in Palestina. Poi, all’inizio della carriera militare, si è specializzato in spedizioni punitive: tipico l’episodio del 1953, quando al comando delle sue truppe fece saltare cinquanta case, quasi tutte quelle del villaggio di Qibya, massacrandone, già che c’era, 69 abitanti.
Nella guerra dei Sei Giorni, fu Sharon a creare il fatto compiuto che non ha cessato da allora di costituire il primo problema dell’area: senza il mandato dei suoi superiori, e soprattutto contro tutte le risoluzioni Onu, occupò Gerusalemme Est, la striscia di Gaza e la Cisgiordania (West Banks). Un’annessione di fatto di un’area massicciamente araba, e la garanzia che la guerriglia palestinese si sarebbe invelenita, e che la “pace in Israele” sarebbe diventata impossibile.
Ma a Sharon la pace non interessava: lo stato di guerra perpetuo consentiva di “liberare la terra ebraica” senza compromessi né negoziati, perché in guerra gli israeliani sono invincibili.
Ci ha riprovato di continuo. Nel ’73, la guerra contro l’Egitto, con una mossa a sorpresa che sorprese anzitutto i comandi israeliani, portò il conflitto al di là del canale di Suez, in territorio egiziano (la zona occupata dovette poi essere restituita). Nel 1982 - era ministro della Difesa - ordinò, all’insaputa del capo del governo Menachem Begin, l’invasione del Libano, dove s’era rifugiata l’olp. L’armata israeliana arrivò fino a Beirut, Arafat e il suo stato maggiore dovettero scappare o furono espulsi. Soprattutto, centinaia di palestinesi, rifugiati nei campi-profughi di Sabra e Chatila, furono massacrati da miliziani cristiano-libanesi sotto l’occhio degli israeliani. Persino un tribunale israeliano nel 1983 riconobbe Sharon come mandante dell’eccidio, un crimine di guerra in piena regola.
Per qualunque altro, sarebbe stata la fine politica. Ma Sharon era diventato popolarissimo per i suoi fatti compiuti. Perché Israele sarà anche “la sola democrazia del Medio Oriente”, ma i suoi primi ministri sono quasi sempre generali vittoriosi. E un 50% di israeliani simpatizzano con il movimento “Gush Emunim”, che proclama: “Il popolo ebraico detiene un diritto sacro sulla terra d’Israele, ed è dunque suo dovere sacro prendere possesso del paese. L’integralità della terra per l’integralità dell’ebraismo”. La “laicità” ha dei limiti, e Sharon è sempre stato visto come l’uomo che, coi fatti compiuti, stava compiendo il “diritto sacro” ebraico alla totalità della Terra Santa.
Da ministro della Costruzione, è stato ancora Sharon a riempire i territori occupati di “coloni” israeliani. Fanatici religiosi, spesso emigrati appositamente dagli Usa, venivano piazzati lì in mezzo ai palestinesi: armati, circondati da mura e fili spinati, protetti dai carri armati d’Israele. Vita sgradevole? Non per fanatici che compivano “un dovere sacro”. Tanto più che la casa era gratis (fornita dal ministero Sharon) e i coloni non hanno bisogno di lavorare, perché sono mantenuti dai quattrini della diaspora nel mondo, in ansia per questi suoi sacri figli in pericolo.
Il momento peggiore per Sharon è stato nel 2000. Quando Clinton obbligò israeliani e palestinesi, a Camp David, a cominciare il processo di pace. Un processo che avrebbe comportato, inevitabilmente, negoziati con Arafat, e dunque il riconoscimento da pari a pari dell’essere che Sharon più ha odiato; che avrebbe comportato cessioni di territorio. E soprattutto, cedere una parte di Gerusalemme come capitale dello Stato palestinese.
Mai. Sharon bollò il premier israeliano Ehud Barak - che volente o nolente stava partecipando ai colloqui di Camp David - come «un usurpatore pronto a svendere Gerusalemme per una pace qualunque». E non si fermò lì. Fece il suo magistrale colpo di testa per creare una nuova situazione.
Passeggiò sulla Spianata delle Moschee, ossia nella zona sotto controllo religioso musulmano, il cui accesso è vietato agli israeliani sia dal governo, sia dalla religione: è suolo sacro, perché vi sorgeva il Tempio di Salomone. Circondato da centinaia di guardie del corpo, Sharon sfidò i divieti, mostrando che Gerusalemme era tutta ebraica e lui poteva andare anche lì quando voleva.
Immediata, spontanea e corale la reazione dei palestinesi, il lancio di pietre poi le sventagliate di kalashnikov. La seconda intifada.
La Bbc disse allora: Sharon ha provocato deliberatamente la violenza araba, contando che gli elettori israeliani, spaventati, avrebbero dato il potere all’uomo più duro: lui.
Così è stato: il 6 febbraio 2001, Sharon è stato eletto a valanga, sulla promessa che avrebbe stracciato tutti i negoziati con i palestinesi. Lo ha aiutato, in questo, l’oscura provvidenza dell’11 settembre. «Ora l’America vede che i nostri nemici sono anche i suoi», fu la sua prima dichiarazione mentre ancora il World Trade Center era in fiamme. Di colpo, per Washington, tutti gli arabi sono terroristi con cui non si tratta, Arafat in primo luogo. Il processo di pace viene abbandonato, solo la forza parlerà: la politica di Israele diventa la politica Usa.
Ma nel 2005 è Sharon che cambia. È lui che sloggia da Gaza i coloni fanatici che ci aveva messo e finanziato lui stesso. Il punto è che ci sono stati i primi attacchi suicidi. Kamikaze palestinesi si fanno esplodere nei bar e sugli autobus in Israele. Sono atti atroci, ma con un truce successo imprevisto: fanno sentire gli israeliani indifesi. E succede un fatto che non viene mai ricordato, ma è cruciale: 700 mila israeliani lasciano Israele. Sono un bel numero, su una popolazione di meno di 6 milioni di abitanti. Nessun altro paese si svuoterebbe per atti di terrorismo, ma Israele sì. È uno stato nuovo e in parte artificiale. Gran parte dei suoi abitanti hanno una seconda cittadinanza, francese americana o italiana, ed hanno case a Roma, Parigi, New York. I kamikaze hanno rivelato questa natura ambigua dello stato ebraico, la sua artificialità. Nel gergo diplomatico israeliano, si allude a questo svuotamento con una frase cifrata: il terrorismo “mette in pericolo l’esistenza stessa d’Israele”.
Sharon capisce che, lui che ha messo costantemente Israele in pericolo per poterla poi salvare, ha esagerato. Ora, deve rassicurare i cittadini, calmarne le paure, convincerli che possono vivere in Israele sicuri. Sempre lui, quello dei colpi di testa avventuristi e bellicisti, fa’ il colpo di testa contrario. Così, fa evacuare con la forza le colonie ebraiche a Gaza, perché sono indifendibili sul piano militare. Circonda Israele di un muro di cemento lungo 700 chilometri, alto 12 metri, irto di torrette, allarmi elettronici, filo spinato.
Gli estremisti (importantissimi: sono loro che ricevono il denaro della Diaspora, a fiumi) gli si rivoltano contro. A luglio, cinque o sei rabbini pronunciano contro Sharon la Pulsa denura, una fattura di morte: invocano l’Angelo della Distruzione sul generale che ha tradito il sacro dovere di non cedere nemmeno un pollice di terra.
Non è una minaccia da poco. Una pulsa denura fu celebrata contro Ytzak Rabin, colpevole di aderire ad uno dei processi di pace naufragati; e fu efficace, anche se con “l’aiutino” delle revolverate di un fanatico, che uccise Rabin nel ’95. La magia magari non c’entra, ma un rito così mette certe idee in testa a certa gente.
Sharon non è l’uomo da lasciarsi impaurire, ovviamente. Lui sa che fa la cosa giusta: la decisione di abbandonare Gaza è del tutto unilaterale, sicché non lo obbliga a trattare coi palestinesi. I coloni mandati via li rimetterà nella Cisgiordania, terra che è deciso a non restituire più. E nell’elevare il colossale Muro, ritaglia terreni arabi a più non possono, abbatte case, devasta campi, apre “strade di sicurezza” sugli uliveti palestinesi, senza accettare condizioni né compromessi. Il Muro sarà il confine definitivo.
E poiché il Likud non lo segue nel suo colpo di testa non pacificatore ma stabilizzatore, a 73 anni, pericolosamente obeso, Sharon fonda il suo partito. Il nome è già un programma: Kadima, “Andare Avanti”. È un successo, a Kadima aderisce il vecchio capo del rivale partito laburista Shimon Peres, e si affollano per aderirvi varie personalità della destra: il Likud si svuota.
Sharon ha la strada aperta per andare “avanti”.
Se non fosse per il sistema cardiocircolatorio. Non sarà stata la “pulsa denura”, ma oggi Sharon giace in fin di vita, con un’emorragia nel cervello. In quel cervello che solo poteva compiere l’opera, con altri colpi di testa.
Lascia una situazione che lui stesso ha creato: né pace né guerra, totalmente irrisolta. Nulla di deciso su Gerusalemme, i palestinesi nell’anarchia feroce, nessun vero negoziato in atto, la garanzia che il disordine sanguinario continuerà. “L’eredità di Sharon non include la pace”, ha appena detto la Bbc. Già: l’uomo che ha avuto sempre successo nel provocare fatti compiuti per continuare la guerra, per mettere in pericolo Israele e poi farsene il salvatore, ha fallito il suo ultimo colpo di testa: quello in cui ha recitato la parte del duro uomo di pace.

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