Sharon nelle parole del suo vecchio amico Elie Wiesel
in una intervista di Alessandra Farkas
Testata: Corriere della Sera
Data: 08/01/2006
Pagina: 2
Autore: Alessandra Farkas
Titolo: Il mio amico Sharon, l'ultimo dei patriarchi

Una bella intervista a Elie Wiesel sul CORRIERE della SERA di oggi 8.1.2006, di Alessandra Farkas. Eccola:

NEW YORK — «I timori per Israele del dopo-Sharon sono infondati. La storia non può essere riavvolta come una videocassetta e la sua enorme figura umana e politica aleggerà per sempre sulla vita pubblica e privata dello Stato ebraico. E quando raggiungeranno finalmente la pace, in un futuro spero molto vicino, i due popoli alzeranno gli occhi al cielo per dire "grazie, Ariel Sharon"».
Non riesce a contenere la commozione Elie Wiesel mentre chiude l'ennesima telefonata intercontinentale con Israele. «Sono praticamente in linea diretta con Gerusalemme: tre volte l'ora», dice al Corriere lo scrittore Premio Nobel per la Pace, sopravvissuto ad Auschwitz e considerato la coscienza morale degli ebrei della diaspora.
«Sono pervaso dalla tristezza — spiega Wiesel —. Per oltre un quarto di secolo mia moglie Marion e io siamo stati amici strettissimi di Ariel e Lily Sharon. Ho seguito tutta la sua carriera con grande trepidazione e ho profetizzato la sua metamorfosi, intuendo forse per primo che l'uomo della guerra era destinato a diventare il simbolo della pace in Medio Oriente».
Come e quando intuì la svolta di Sharon?
«Ariel e io parlavamo spesso e a lungo, e lui si confidava con me perché non appartengo ad alcun partito politico israeliano. Dopo la morte della seconda moglie, nel 2000, Ariel ebbe un periodo di grande isolamento e solitudine, tanto che mia moglie e io ci recammo in Israele a trovarlo solo per dimostrargli che non era solo. "L'uomo che nel '73 ha salvato Israele non merita questa solitudine", gli dissi. In quei giorni capii che il Generale era pronto a seguire le orme storiche di de Gaulle e Begin: finita la guerra, si preparava anche lui a inventare la pace».
Tirandosi addosso l'ira dei coloni che adesso esultano.
«Ariel voleva la pace, ma non ha mai rinunciato alla sicurezza; secondo lui, erano le due facce della stessa medaglia.
All'inizio è stato duro e anche crudele coi nemici, ma nessuno può dubitare che questo grande capo ha combattuto per Israele tutta la vita, senza mai pensare un attimo a se stesso».
Anche la sinistra, che un tempo l'additava come un nemico, adesso prega per lui.
«Ho sempre giudicato ingiustificato l'odio che una parte dei politici hanno espresso nei suoi confronti. E comunque i fatti parlano da soli: dopo la metamorfosi, Sharon è diventato il simbolo della pace, il leader che più di ogni altro si è battuto per riconciliare due popoli e due culture, investendo tutto il suo talento in questa causa».
Qualcuno adesso teme il tracollo di Kadima, il partito di centro da lui fondato.
«E' vero il contrario: l'elettorato premierà Kadima come atto di gratitudine verso Sharon. E comunque Ehud Olmert, un uomo che conosco bene, è un grande architetto della politica, molto vicino a Sharon. E' il suo degno e capace erede».
Non teme l'esito delle elezioni palestinesi, dopo la vittoria di Hamas alle amministrative?
«Hamas è un'organizzazione terroristica che vuole distruggere Israele e ha ragione l'Autorità palestinese a volerla escludere dal processo elettorale democratico. Finché non rinuncia al terrore, non merita di partecipare alle urne, così come non lo meritano le Brigate Al Aqsa».
Come verrà ricordato dalla storia Ariel Sharon?
«Come uno dei pochi, veri grandi padri della Nazione ebraica. Sharon appartiene a una generazione di leader che hanno partecipato a tutte le guerre di Israele ma è stato fra i pochi a imporsi come una figura carismatica quasi sovrumana, non solo in Israele ma nel resto del mondo. Soltanto Ben Gurion e Yitzhak Rabin hanno raggiunto apici altrettanto elevati. Ariel è il padre di tutti gli ebrei della terra, e anche nella malattia continua a suscitare simpatia, riconoscenza, gratitudine in tutte le persone perbene. Appartiene alla grande tradizione del patriarca, che dal Vecchio Testamento alla letteratura ebraica moderna si chiama "old man", il vecchio saggio. Ben Gurion amava essere chiamato così e Sharon se lo merita».

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