E' iniziata la riabilitazione del fantasma di Arafat, uguale a Mosè e Sharon
ci pensa da Israele Manuela Dviri
Testata: Corriere della Sera
Data: 08/01/2006
Pagina: 2
Autore: Manuela Dviri
Titolo: E la mia amica palestinese ora paragona il generale ad Arafat

Se dovessimo giudicare dagli articoli di Manuela Dviri che il CORRIERE della SERA ha ripreso a pubblicare, dopo un lungo,salutare silenzio, dovremmo concludere che è iniziato un processo di revisione di Arafat. Dopo averlo giudicato per quello che era, grazie a tutto quello che era venuto fuori alla sua morte, il suo fantasma viene ripresentato come se fosse veramente ripresentabile. La Dviri, dopo averlo paragonato ieri a Mosè e a Sharon, ci riprova oggi in un pezzo intitolato " E la mia amica palestinese ora paragona il gnerale ad Arafat". Perchè la Diviri è una di quelle israeliane che hanno "l'amica palestinese", alla quale ricorrono quando devono esprimere un giudizio sulle cose del proprio paese. Un po' come fanno in Italia quelli che per attaccare Israele ricorrono alla classica frase " Mi ha detto un mio amico ebreo...", e giù con il veleno. Vedremo tra non molto Arafat riportato sugli altari, e,prima della catto-sinistra, ci avrà pensato Manuela Dviri. Per fortuna che accanto al suo articolo c'è Elie Wiesel. Ci scusiamo noi con lui per averlo impaginato il Corriere accanto alla Dviri, non lo merita. Per leggerlo, cercare la pagina su IC di oggi.

Ecco l'articolo:

Il velo di silenzio del Sabato è calato per qualche ora sulle condizioni del Grande Vecchio. Anche la radio e la televisione sembrano voler prendere respiro: dopo le ore e ore d'ininterrotto chiacchierio e commentario che hanno fatto da sfondo in questi giorni alla nostra vita quotidiana, i media sono passati alla musica tranquilla anni Settanta, tutta rigorosamente in ebraico, quella dei momenti tristi ma non tragici, un po' epica, e si accontentano di un notiziario all'ora, che tutti ascoltano, a casa, in automobile, per la strada, nei bar.
Li ascoltano anche nell' «altra» Gerusalemme, quella araba, distante pochi minuti e un mondo da quella israeliana.
La mia amica T. adesso vive lì, a Gerusalemme, in una casa d'affitto. E non si perde un notiziario: la vita e la probabile morte di Sharon hanno influito e influiranno sulla sua vita non meno che sulla mia.
Le chiedo che cosa pensa di Sharon, della sua morte imminente. Di queste nostre giornate di tensione, di incertezza e di timore per il futuro.
«Sono cristiana — risponde — e credente, quindi non desidero la morte di nessuno. Nemmeno quella di Sharon. Che non ho mai molto amato. Però mi sembra un uomo forte, sicuro di se stesso, uno di quelli che quando prendono una decisione la mantengono, come nel ritiro da Gaza, per esempio. Capace, più di altri, di fare passi importanti. Mi ricorda, pare impossibile, in un certo senso, Arafat. Anche lui era un uomo che aveva carisma e forza, quello che lui decideva veniva portato a termine, che ti piacesse o meno. (Non come adesso, che viviamo nel caos più totale e tutti vogliono comandare). Però…».
Però?
«Però, sono talmente preoccupata per la mia vita quotidiana, che ogni giorno diventa più dura, faticosa, difficile, che non riesco a pensare ad altro. La mia casa di Betlemme è a cinquecento metri dal muro voluto e costruito da Sharon. Dietro al muro. Io lavoro a Gerusalemme. Andare al lavoro a Gerusalemme è diventato impossibile, alla fine mi sono arresa e ho dovuto affittare qui, ma i prezzi sono altissimi, la vita è diventata una lotta quotidiana. E alla fine, dopo la chiusura finale di quella orribile barriera di cemento, io rimarrò definitivamente tagliata fuori dalla mia casa, da mia madre, dai miei fratelli.
«Tutti parlano delle grandi idee, dei grandi progetti, dei grandi uomini, della loro gloria, delle loro vite e delle loro morti, ed è giusto, naturale e normale. Vorrei solo che ogni tanto parlassero anche di noi, le persone comuni. Che qualcuno ci ascoltasse. Siamo briciole di pane sulla tavola dei potenti, che con il gesto distratto di una mano vengono spostate qua e là … siamo entità insignificanti, un nulla, puntini invisibili nella grande storia di due popoli in lotta…».
E invece contiamo, le ho risposto, non credi che proprio la realtà quotidiana di noi puntini minuscoli sia stata la ragione per la quale alla fine il falco Sharon ha iniziato a cambiare politica? Che anche lui negli ultimi anni della sua vita ha dovuto iniziare a tener conto di entità insignificanti come noi, di donne quotidianamente coraggiose come te?… Credimi. È così, ne sono certa.

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