Edizioni: Adelphi
Stefan Zweig aveva nella sua scrittura il respiro della storia. Era capace di fissare in poche pagine un grande avvenimento o di dar vita a ottime biografie, tra cui quelle di Erasmo e Magellano, Maria Stuarda e Maria Antonietta, rievocando un’intera epoca.Oppure si lasciava andare all’estro e alla curiosità fiutando anomalie, imprevisti, capricci della sorte che hanno contrassegnato, in vario modo, non solo la vita di singoli individui, ma svolte epocali. Come nella raccolta di medaglioni storici, Momenti fatali, che Adelphi presenta ora nell’ottima traduzione di Donata Berra, e di cui uscì una prima edizione, con solo cinque testi, nel 1927, quando la felix Austria e il mito della sicurezza, erano tramontati da tempo.Quella realtà era stata per Zweig, viennese della generazione dei Broch, Kraus, Musil, sinonimo di saldezza in cui tutto “aveva una sua norma, un peso e una misura precisi”. La rievocò nella sua fortunata autobiografia, Il mondo di ieri (tradotta a suo tempo, da Lavinia Mazzucchetti per Mondatori), che lo vide paladino sentimentale e un po’ retorico di un passato mitteleuropeo riesumato con affetto, ma anche con la tragica consapevolezza di chi scorge di fronte a sé solo l’incertezza del presente.
Per l’ebreo Zweig, grande maestro della novella e divulgatore del freudismo in letteratura, che negli anni Venti aveva prodotto bestseller con vendite da capogiro, e poi, all’avvento del nazismo, andò esule in vari paesi, non ci poteva essere futuro.
Anche per lui “svanisce nella nebbia l’eterno sogno di un mondo più umano”, come si legge nelle pagine di Momenti fatali dedicate al presidente americano Wilson che, dopo la carneficina della prima guerra mondiale, progettava, da buon idealista, la pace universale. L’ostinato umanista Zweig sgusciò fuori dal proprio tempo con un definitivo salto nel buio: si avvelenò con la moglie nel febbraio del 1942 in Brasile.Il suo libro uscì postumo l’anno dopo.
Non era difficile rinvenirvi tracce autobiografiche: l’idealista Wilson, ma anche Cicerone, cocciuto difensore della legge,in due ritratti del 1940, declinano in tempi diversi quel fallimento della legalità e della giustizia, che lo stesso scrittore percepiva intorno a sé fra crescenti efferatezze. Ma al di là delle postille politiche, questo libro è ancora oggi un capolavoro di curiosità e bizzarrie rievocate dalla penna di un cronista il cui cuore batte all’unisono con il ritmo della storia.
Zweig si cala negli avvenimenti e li traduce in racconto vibrante: presente lui stesso, come uno di quei pittori un tempo assoldati per rappresentare e tramandare ai posteri grandi avvenimenti.Il suo sguardo si insinua curioso e furtivo alla ricerca di un imprevisto, di qualche minuzia che sposta altrove il baricentro della storia, di un granello di follia che ribalta destini e vicende. E che cosa trova? Una porticina rimasta aperta per sbadataggine o negligenza nella cinta muraria di Bisanzio.La Kerkaporta attraverso cui penetrano nel maggio del 1453 i giannizzeri del giovane Maometto primogenito del sultano Murad, mettendo a ferro e fuoco la città e decretando la fine dell’Impero romano d’Oriente. Quel particolare è solo l’ultimo tassello di una rievocazione che ha il respiro incalzante dell’epica.
Ogni miniatura di Zweig racchiude in sé un potenziale romanzo. Come il racconto della battaglia di Waterloo, che l’onesto e mediocre maresciallo Grouchy, mandato da Napoleone a incalzare i prussiani, avrebbe potuto volgere a favore dei francesi. Un malinteso senso della disciplina e una certa ottusa cocciutaggine gli impedirono di fare la scelta più opportuna. Che la sconfitta di Napoleone sia veramente dipesa da quell’unico ufficiale?. Può darsi. Affascinante, nell’enfasi del racconto, è tuttavia l’ottica capovolta: la micro-storia, l’indecisione di un singolo che si riverbera, inconsapevole, sul futuro dell’Europa.
Zweig ha un debole per i destini individuali, i trionfi e le disfatte: come nel caso di Vasco Nunez de Balboa, il primo scopritore dell’Oceano Pacifico, il cui sguardo si spegne sotto la mannaia, o del capitano Rouget de Lisle, che scrive in una notte la Marsigliese e muore dimenticato dopo una vita di stenti. Atti eroici o creativi travolti dalle follie e contraddizioni di un’epoca. Racconti di genialità che trionfano dopo mesi di lacerazioni e silenzi, come nel caso di Handel alle prese con il Messia o che riemergono traumaticamente alla vita come il giovane Dostoevskij graziato nell’attimo in cui il plotone d’esecuzione sta per sparare.
Zweig ha scritto anche un grande libro di viaggi e scoperte: verso l’Eldorado, o attraverso l’oceano nell’avventura del telegrafo o al Polo Sud in compagnia dello sfortunato capitano Scott. Ma lo sguardo dello scrittore è fisso su un unico punto: sull’ inestricabile groviglio di volontà e destino. Momenti fatali è un grande, splendido libro sul caso, sulla legge invisibile e irrazionale che scandisce il ritmo di ogni vita.
Luigi Forte