Uno dei vezzi di Luigi Bonanate, autore dell'articolo che segue uscito sull'UNITA' di oggi 7.1.2006 è dichiarare che Dan Segre è stato il suo maestro. Visti i risultati, o è millantato credito o le lezioni hanno sortito un ben modesto risultato.L'articolo è pieno di pregiudici, affermazioni false, interpretazioni storiche che, nella penna di uno storico, non possino che stupire. Vediamole:
1) Ci spieghi Bonanate quale "maledizione" pesi su "questa terra meravigliosa e infelice". E' mai stato in Israele ? poiche riteniamo di sì, non si mai accorto che su Israele non ha mai pesato nessuna maledizione, Israele chiede solo di vivere in pace. Perchè Bonanate non prova a chiedersi quale sia la maledizione che pesa sui paesi arabi che vorrebbero, ancora oggi, distruggere lo Stato ebraico ?
2) Sulla "famosa" passeggiata, è bene che si informi. L'Intifada era già pronta, se vuole gli facciamo avere il video con le dichiarzioni dei leader di Al Fatah che lo dicono apertamente.
3) Il massacro di Sabra e Shatila è stato "lucidamente consentito" da Sharon ? ma quando ? nemmeno la commissione d'inchiesta ha usato queste parole.
4) "l'insulto del muro più provocatorio che utile", complimenti prof.Bonanate, il muro sarebbe quindi un insulto e sarebbe più provocatorio che utile. Dal che deduciamo che a lei della sicurezza dei cittadini isrealiani gliene importa un fico secco, visto che non spende neanche due parole su quei bravi cittadini palestinesi che entrano in Israele per provocare stragi, proprio quelli il cui numero si è drasticamente ridotto grazie all'insulto dell'inutile e provocatorio muro.
5) Come è delicato il uo linguaggio quando descrive i palestinesi !Le settimane scorse purtroppo hanno visto proprio il dilagare delle contraddizioni in seno al gruppo dirigente palestinese .Contraddizioni ? ma dove si informa ? non ha visto quello che succede a Gaza ? rapimenti,caos,anarchia,sparatorie, lancio di missili Kassam sulle città israeliane, e lei le chiama contraddizioni ?
Chiediamo ai lettori di Informazione Corretta di protestare con l'UNITA' per il fazioso editoriale di Luigi Bonanate.
Ecco l'articolo:
Quale terribile maledizione pesa su questa terra meravigliosa e infelice che si chiama Israele e che ogni volta che sembra imbocchi la via della pace viene ricacciata all’indietro?Quanti colpi di scena (meglio: di teatro) dovremo ancora attenderci? Ariel Sharon - al quale oggi vanno tributati gli onori che si devono a un grande statista, ci sia piaciuta oppure no la sua politica - ce ne aveva offerti altri e di immenso impatto, uno nefasto come la famosa passeggiata sulla Spianata delle moschee e un altro (forse) fasto come il ritiro israeliano da Gaza.
Se il primo rientrava nella più pura e tradizionale immagine di durezza e insensibilità tante volte condannata nella leadership israeliana dell’era post-Rabin (il grande traghettatore di Israele verso la prima grande speranza di pace, assassinato nel 1995), il secondo era (ed è) talmente stupefacente e gravido di conseguenze da aver colto di sorpresa non soltanto i compagni del partito di Sharon (tanto da suggerire poi a quest’ultimo addirittura di farsene uno tutto nuovo), ma l’intero sistema politico israeliano, prossimo ad elezioni per l’esito delle quali non pochi nei giorni scorsi giungevano a profetizzare non soltanto un buon successo, ma addirittura la maggioranza per Kadima, il partito al quale ha aderito persino Shimon Peres (fino a poche settimane prima rivale di Sharon).
Quando un grande statista esce drammaticamente di scena, le parole di circostanza si sprecano, la retorica sopravanza l’analisi e la pietà zittisce la critica. Sharon merita (o richiede) ben di più. Il bilancio politico del suo passaggio in terra, intanto, è estremamente contrastato, dall’epoca del massacro di Sabra e Chatila (1982), lucidamente consentito dall’allora ministro della difesa israeliano, fino, appunto, all’improvvisa e tutt’altro che condivisa (all’interno del Paese, del sistema politico, del Parlamento, del partito, e forse dell’opinione pubblica ebraica della diaspora) decisione di abbandonare Gaza. Non una concessione, non una fuga: ma neppure un ramoscello d’ulivo. Semplicemente una mossa nell’intento di sgombrare il tavolo e chiarire il quadro complessivo di una situazione di per sé tutt’altro che vicina alla pacificazione. Non dimenticheremo l’insulto del Muro, più provocatorio che utile. Ma le due mosse convergevano verso uno stesso punto: spingere l’Autorità nazionale palestinese alle corde provocandone una risposta che però quest’ultimo doveva saper mantenere pacifica e non-violenta, pena il ritorno (che allora sarebbe stato universalmente giustificato) a una politica di guerra da parte israeliana. L’abbandono di Gaza doveva essere una specie di cartina di tornasole: vediamo se sapete autogestirvi; vediamo se Gaza saprà offrire al mondo il modello di una nuova società palestinese, legittimandone la pretesa a una statualità piena (ma Gaza era o è davvero un’isola felice? Non si trattava piuttosto di un bacio avvelenato?).
Dobbiamo tacerci che la trappola, ben tesa da Sharon, non abbia funzionato al meglio? Le settimane scorse purtroppo hanno visto proprio il dilagare delle contraddizioni in seno al gruppo dirigente palestinese (certo non per la prima volta); ma se le prossime elezioni palestinesi (il 25 gennaio) dovessero o essere rinviate o produrre esiti destabilizzanti, ebbene un’altra vittoria, questa volta postuma (in senso figurato, almeno), arriderebbe alla politica di Sharon. Non dimenticheremo neppure che il quadro internazionale è in questo momento particolarmente inospitale: la leadership mondiale è nelle mani di un Paese e di una presidenza che appaiono particolarmente fragili, intimiditi dai troppi errori passati e comunque incapaci di dettare degli orientamenti al mondo intervenendo con saggezza e autorevolezza. Andrà aggiunto, di passaggio, che questa circostanza meriterebbe, da parte di tutti noi, molta attenzione: il nostro futuro ne dipenderà.
Ma oggi è la percezione della fragilità delle forze umane di fronte alle dure repliche della storia che ci colpisce: in moltissimi tifavamo per Sharon pur senza amarlo perché ne speravamo una svolta tanto sconvolgente da risultare promettente: una specie di shock talmente forte da poter guarire il grande malato. Oggi non sappiamo dire se Peres, che nelle settimane scorse ne aveva condiviso il programma, sarà capace di raccoglierne il messaggio. Non tutti gli uomini sono uomini per tutte le stagioni: così come non seppe risuscitare la politica di Rabin, è difficile che oggi possa risuscitare quella, tanto diversa, di Sharon. Potrà riuscirci, da una posizione speculare, Amir Peretz, il nuovo leader laburista? Più che mai in un momento come questo dovremmo impegnarci, tutti quanti e da qualunque parte stiamo, a favorire la fine della crisi israelo-palestinese: la scia di sangue che l’ha segnata è troppo lunga, e troppe lacrime l’hanno accompagnata. Come in tutte le vicende umane alti e bassi profili si sono intrecciati nella vicenda umana di questo statista, ancora nei giorni scorsi accusato di illeciti rivolti al finanziamento del suo partito. Se è vero che tutto il mondo è paese, perché mai quella sua parte bellissima non deve conoscere la pace?
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