Sharon,Ben Gurion,Kadima,Likud,le prossime elezioni
gli ultimi avvenimenti nell'analisi di Emanuele Ottolenghi
Testata:
Data: 31/12/2005
Pagina: 6
Autore: Emanuele Ottolenghi
Titolo: Sharon sfida la storia d'Israele

Lasciato Il Foglio, Emanuele Ottolenghi pubblica i suoi editoriali sul Riformista. In questo articolo,l'analisi di Kadima, il nuovo partito fondato da Sharon, e un ritratto storico del leader israeliano:

Negli ultimi due mesi,Israele è stato travolto da un terremoto politico: il premier Ariel Sharon ha abbandonato il Likud, partito che lui stesso aveva contribuito a creare nel 1973, per fondare una nuova formazione politica, Kadima Avanti), portandosi con sé quasi metà del gruppo parlamentare e dei ministri del Likud e molti altri nomi prestigiosi provenienti da sinistra e da destra. A quasi 78 anni dunque Sharon mira a compiere una manovra politica mai riuscita a nessuno prima d’ora in Israele: in pochi mesi, creare un partito con quale vincere le elezioni politiche del 28 marzo prossimo  elezioni che determineranno la direzione politica d’Israele nei confronti dei palestinesi in futuro - e così facendo cambiare completamente la mappa politica del paese. La domanda che tutti si pongono, a quasi due mesi dal drammatico annuncio di Sharon, è se bastano i grandi nomi e l’indubbia popolarità del premier perché questa scommessa politica si riveli un rischio calcolato e non invece una mossa azzardata destinata a fallire. I dubbi derivano da due considerazioni: prima di tutto, creare un partito dal nulla non è un’operazione semplice. Non bastano risorse finanziare, nomi di grido e persino buone idee: un partito di massa è un’organizzazione capillare con una presenza diffusa e costante sul territorio nazionale, la cui capacità persuasiva si basa sull’attivismo locale. Per vincere, per mobilitare gli elettori, un partito deve essere presente attraverso le sue sezioni, i suoi club culturali, le sue manifestazioni politiche, e l’attivismo. Di certo Kadima è un partito con un leader carismatico e, a livello nazionale, una squadra abile ed efficiente di luogotenenti. Ma a livello locale rimane l’incognita. Potrà Sharon supplire in poco tempo alla mancanza di quella struttura di cui invece Likud e laburisti, per quanto in affanno causa la perdita di alcuni dei loro leader migliori, dispongono ancora? Eppoi non basta avere leader, risorse e strutture: perché un nuovo partito riesca ad affermarsi occorre uno spazio politico dove la nuova formazione riesce a collocarsi, differenziandosi dagli altri attori politici con quali essa compete. Non basta insomma la popolarità del premier per rompere le logiche politiche degli schieramenti di destra e sinistra che tradizionalmente definiscono l’orizzonte partitico israeliano. Perché Kadima vinca è necessario che quelle logiche si siano già spezzate da sole, e che quindi i vecchi partiti non rappresentino più l’elettorato che li votava in passato. I precedenti di scissioni e nuove aggregazioni politiche in Israele sono spesso citati, a ragione, a sfavore della scommessa di Sharon. L’esempio più eclatante fu il tentativo di David Ben Gurion - padre fondatore d’Israele e il leader più riverito nella sua storia - di creare un suo partito alternativo ai laburisti, sulla scorta della sua immensa popolarità personale. La manovra - a cui si unì Shimon Peres - fallì e Ben Gurion vinse solo dieci seggi. Dodici anni dopo un gruppo di intellettuali, accademici, generali e altre figure pubbliche di spicco fondarono il Movimento Democratico per il Cambiamento - il progenitore di Shinui - conquistando 15 seggi nelle elezioni del 1977 ma fallendo nel loro intento di diventare il partito centrista ago della bilancia d’Israele. Dopo soli quattro anni Shinui si era ridotto a un partito satellite con due deputati. Il suo ritorno in auge nel 2003, nuovamente con 15 seggi ha fatto sperare in una nuova svolta politica, ma gli attuali sondaggi indicano come anche il secondo Shinui - guidato ora da Tommy Lapid - rischia di scomparire a marzo, contando su meno del 2 percento dello sbarramento elettorale israeliano.  E questi sono i fiaschi più eclatanti: tanti altri, legati spesso a personalitàforti in rotta con il loro partito, sono sopravvissuti nel miglior dei casi una sola legislatura, e non hanno mai ottenuto più di una manciata di voti e seggi. Perché Sharon dovrebbe essere diverso da questi precedenti? La risposta è molteplice. Intanto, accanto ai precedenti negativi, ce ne sono almeno due positivi. Il primo è il Likud stesso: fondato grazie al contributo cruciale di Sharon nel 1973, il Likud era in origine una coalizione di gruppi, partiti e movimenti disparati. Il genio politico di Sharon fu allora di vedere, in anticipo rispetto ad altri, come il panorama  politico israeliano fosse profondamente mutato: dopo due generazioni di governi laburisti, il paese era pronto al cambiamento, ma mancava una forza politica di centro-destra forte e credibile abbastanza da permetterlo. Bastava crearla per vincere. L’altro esempio è naturalmente quello di Forza Italia nel 1994, quando in pochi mesi Silvio Berlusconi riuscì a creare dal nulla un partito politico in grado di vincere le elezioni e proporsi come forza di governo. Anche nel caso italiano, il successo si deve all’aprirsi di un vuoto politico, causato dal crollo del comunismo che rese obsoleta la logica del sistema esistente, e dall’onda di scandali che travolse l’intera classe politica italiana creando un vuoto. In entrambi i casi insomma il sistema partitico esistente non rispondeva più alla realtà politica del paese. Creare un partito in grado di riflettere quel movimento tellurico dell’elettorato che nella letteratura politologica si chiama electoral re-alignment è in questi frangenti un rischio politico calcolato che paga. Sharon, da più di trent’anni al centro della politica israeliana, non è né un novellino né un giocatore d’azzardo. Forse l’uomo politico più esperto, acuto e brillante del paese, ha scelto il momento più opportuno per svoltare: non solo da mesi i sondaggi gli davano ragione,ma in più dopo il ritiro da Gaza Sharon sapeva che il suo tentativo di traghettare il Likud al centro della mappa politica era fallito. Nessuno, tra gli elettori moderati, può biasimarlo. Sotto Sharon e le sue politiche, il Likud ha riconquistatola forza elettorale ed è ritornato ai livelli di influenza e popolarità che aveva goduto nei giorni di Menachem Begin, in quel lontano 1977 quando, grazie all’intuizione di Sharon, il Likudaveva conquistato il potere. Ma la differenza era che ora il successo era frutto dell’identificazione del Likud con Sharon e le sue politiche che, dalla sua elezione nel 2001 a oggi, lo hanno portato ad apparire sempre più come un uomo cambiato rispetto allo Sharon del passato: più cauto e moderato. Sharon di oggi è stratega e statista, pragmatico e realista, pronto al compromesso e alle rinunce ma senza rischiare l’interesse nazionale. L’uomo del consenso, insomma, del quale il Likud godeva di riflesso. E nonostante il fatto che Sharon fosse l’arma vincente del Likud, il partito non ha fatto altro che ostacolarlo, cercando di riaffermare una linea politica riflesso di un’ideologia che la maggioranza degli israeliani ha ormai ricusato. Finché Sharon ha detto basta. Il suo nuovo partito gli permette ora di promuovere quelle politiche che gli hanno dato una popolarità senza precedenti dai tempi di Ben Gurion e lo hanno mantenuto al potere, con maggior libertà e spregiudicatezza ora che non c’è un Comitato Centrale o un gruppo parlamentare ostile a ostacolarlo. Sbattendo la porta del Likud, Sharon si è non solo portato dietro metà del partito, ma anche a quanto pare molti dei suoi elettori. I sondaggi, passata l’euforia della sorpresa dell’annuncio, parlano chiaro. Nonostante il fatto che le preoccupazioni economiche del pubblico israeliano siano un importante fattore nel determinare la preferenza elettorale del prossimo marzo - un dato che dovrebbe favorire i laburisti guidati dal sindacalista Amir Peretz e lo Shas da sempre paladino delle politiche sociali - i laburisti sono in caduta libera: saliti a 28 seggi nelle proiezioni della settimana in cui Peretz conquistava la leadership del partito, ora oscillano tra 15 e 20: considerando che ne controllano 21, e che il parlamento ne consta 120, non certo un risultato lusinghiero. Kadima invece se la passa bene, almeno nel voto virtuale che sono i sondaggi settimanali. Anche dopo l’ictus di Sharon, Kadima rimane ben attestata oltre i 40 seggi (Sharon ne aveva vinti 38 a capo del Likud nel 2003). Perdono terreno o svaniscono tutti gli altri: Shinui, come si diceva, potrebbe non farcela; il Likud oscilla tra i 12 e i 20; il partito nazionale religioso, una volta partito centrista e moderato, potrebbe far la stessa fine di Shinui, non passando il quorum; Shas si attesterebbe a circa 6-7 seggi, ben lontano dal suo successo elettorale del 1999 quando ne ottenne 17; la destra radicale vincerebbe una decina di seggi e la sinistra guidata da Yossi Beilin ce la farebbe appena. I sondaggi sono solo sondaggi. E tre mesi sono lunghi. Ma due mesi di proiezioni offrono già un quadro chiaro della situazione. Eletto per combattere una guerra dopo che il suo predecessore Ehud Barak era dovuto soccombere all’Intifada e alla sua incapacità di chiudere un accordo politico con il defunto leader palestinese Yasser Arafat, Sharon ha in fretta compreso che nel lungo periodo la sua popolarità quale leader duro e con provate capacità militari sarebbe svanita se non fosse stato in grado di offrire un’alternativa politica alla doppia illusione della destra e della sinistra israeliane - Oslo a sinistra, la Grande Israele a destra - che la realtà ha negli ultimi cinque anni completamente screditato. E mentre l’elettorato di sinistra e di destra si spostava al centro, decretando la fine della contrapposizione ideologica tra la visione di Oslo e quella della Grande Israele e attingendo pragmaticamente da  entrambe le parti, i partiti sono rimasti attestati sulle loro posizioni. Con entrambe le forze politiche in letterale sgretolamento sotto il peso della realtà, Sharon ha visto l’emergere di un centro moderato, che combina le premesse sia della destra che della sinistra: la sinistra aveva ragione a dire che l’occupazione israeliana non sarebbe potuta durare in eterno ma torto a presumere che il ritiro israeliano avrebbe coinciso con un riconoscimento da parte palestinese della legittimità del sogno sionista di una patria per gli ebrei e l’abbandono delle rivendicazioni territoriali e politiche palestinesi su quello che dal 1948 è lo stato d’Israele.Kadima è il tentativo di esprimere questo nuovo scenario politico. Il voto è naturalmente ancora lontano. Ma la decisione di Sharon di creare Kadima cattura il sentimento prevalente nel paese. Esiste un pubblico elettorato che richiede un programma politico moderato. La scommessa politica di Sharon offre ora a entrambi un partito per rappresentarlied esprimerli. 

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