A proposito dei palestinesi cristiani
la realtà non è quella raccontata dai grossi giornali
Testata:
Data: 31/12/2005
Pagina: 15
Autore: Lorenzo Cremonesi-Daniele Mastrogiacomo-Andrea Morigi
Titolo: Sindaco donna e cristiana a Ramallah

Sulla condizione dei palestinesi di religione cristiana i nostri "grossi" (non sempre grandi) giornali hanno sempre steso un velo pietoso. Quando c'era Arafat la verità non si poteva raccontare per non offendere il raiss, al quale andavano tributati solo elogi. Dopo la sua morte, qualcosa è cambiato, ma non l'abitudine a nascondere la vera realtà nella quale vivono questi cittadini di serie B.

L'ipocrisia continua oggi nelle cronache che riguardano l'elezione a sindaco di Ramallah di una donna palestinese cristiana. La reale condizione dei cristiani nell'autorità palestinese è di fatto sottaciuta, si evidenziano solo e sempre le critiche a Israele (dichiara il neo-sindaco: "In 12 anni sono stata una volta sola a Gerusalemme. Perchè dovrei farmi perquisire dai soldati che potrebbero essere miei studenti ?". Verrebbe voglia di dirle, caro Sindaco,perchè potresti essere imbottita di tritolo per ammazzare israeliani, come è successo per palestinesi apparentemente insospettabili come te). Pubblichiamo 3 articoli, dal Corriere della Sera, da Repubblica, che tralasciano di evidenziare il veri motivi dell'esodo dei cristiani dai territori palestinesi, e da Libero, che invece scrive di come i cristiani siano effettivamente dei cittadini di serie B.

dal Corriere l'articolo di Lorenzo Cremonesi:

A Ramallah una donna-sindaco cristiana: «Basta tangenti»

 
DAL NOSTRO INVIATO
RAMALLAH (Cisgiordania) — Le lenti dei suoi occhiali sono spesse. I capelli bianchi. I modi lenti, misurati. Decisamente Janet Michael dimostra più dei suoi 63 anni. E non fa nulla per nasconderlo. Niente a che vedere con le rincorse all'eterna giovinezza dei politici occidentali. Eppure molti a Ramallah pensano che il suo successo venga da quest'aureola di posata maturità. «Sembra proprio ciò che è: un'insegnate di liceo in pensione. Semplice, senza pretese. Però concreta, la persona adatta per un momento difficile», dicono i suoi elettori.
Soprattutto il candidato giusto per vincere la battaglia contro la corruzione imperante tra i ranghi del Fatah e l'amministrazione del governo di Abu Mazen. Lei aveva iniziato quasi per scommessa. «Ramallah è una città tradizionalmente laica. Sapevamo tutti che alle elezioni municipali la gente avrebbe scelto i fondamentalisti islamici di Hamas non perché folgorata dal messaggio di Allah. Ma piuttosto per protestare contro i metodi mafiosi, il sistema delle bustarelle ai politici, la polizia corrotta. Dunque ho creato una lista alternativa, "Ramallah per tutti". E ho vinto», racconta nel salotto di casa sua addobbato per il Natale.
Una mosca bianca nel cuore della Palestina sempre più destabilizzata in attesa delle elezioni politiche previste per il 25 gennaio. Lei, donna, nubile, cristiana (è greca ortodossa), quarant'anni di lavoro nella scuola, l'altro ieri è stata nominata sindaco di questa cittadina considerata dalla sua gente «capitale temporanea» della Cisgiordania, in attesa di poter arrivare a Gerusalemme. Una rarità, anche perché alle elezioni municipali che hanno avuto luogo nei territori occupati negli ultimi mesi la parte del leone l'hanno fatta i candidati islamici. Hamas ha ora il controllo di 65 consigli municipali, tra cui quelli importanti di Nablus, Jenin, Qalqilya, El-Bireh, Beit Hanun, Rafah. I dirigenti del Fatah sono più che allarmati. Oltre il 55 per cento degli elettori ha scelto sindaci Hamas. Si sussurra che Abu Mazen abbia più volte parlato di dimissioni. Mentre a Gaza la sua polizia non controlla più nulla. Ieri un gruppo di uomini armati ha persino costretto alla chiusura per qualche ora del valico di confine con l'Egitto a Rafah.
Janet Michael è preoccupata. «Temo che entro 10 o 15 anni i fondamentalisti possano condizionarci del tutto », ammette. Però ha una soluzione: «Integriamoli nel governo. Costringiamoli a responsabilizzarsi. Che, al posto di restare all'opposizione predicando la guerra santa, si occupino invece di amministrare le fogne, il traffico, di gestire le entrate fiscali e il rapporto con Israele. Vedrete che sono molto più pragmatici di quanto si creda e comunque si dividerebbero subito tra moderati e estremisti», aggiunte con un realismo disarmante. Come del resto è del tutto disincantato il suo programma per la gestione di Ramallah. «La nostra è la città dei territori occupati da Israele nel 1967 più aperta al mondo. Ci vivono circa 25.000 persone. Ma altre 30.000 sono emigrate all'estero negli ultimi 30 anni, specie negli Stati Uniti. Intendo valorizzare questo dato. Dobbiamo tenere vivi i contatti famigliari, facilitare i commerci, le comunicazioni via rete», aggiunge. Consapevole però dei limiti imposti dall'occupazione militare israeliana: «Occorre la pace, perché in questo momento ci stanno strangolando. Le nostre libertà di movimento sono minime. Io stessa negli ultimi 12 anni mi sono recata a Gerusalemme, 20 chilometri da qui, solo in una occasione per essere operata di cataratta. Non mi va ogni volta di essere umiliata da quei soldatini ai posti di blocco che potrebbero essere i miei studenti».

«Ramallah è una città laica. Chi vota Hamas, lo fa per protesta, non perché folgorato da Allah Io ho proposto un'alternativa» INSEGNANTE
«In 12 anni sono stata una volta a Gerusalemme. Perché dovrei farmi perquisire dai soldati che potrebbero essere miei studenti?» Janet Michael, 63 anni, ex insegnante e sindaco di Ramallah. «E' semplice e concreta», dicono di lei a Ramallah

da Repubblica l'articolo di Daniele Mastrogiacomo:

"Io, sindaco donna a Ramallah cristiana eletta coi voti di Hamas"
 
 
 
 
DAL NOSTRO INVIATO

DANIELE MASTROGACOMO
RAMALLAH - La futura Palestina si tinge di rosa e festeggia il suo primo sindaco donna di una grande città. Sindaco di Ramallah, ormai capitale politica. Un evento raro in una terra tradizionalmente patriarcale, ma segno dei tempi che cambiano nei Territori scossi da una vera rivoluzione generazionale e di costumi. Janet Hanna Mikhael Khouri, 60 anni, cristiana, professoressa di Scienza naturali al liceo, una laurea in Chimica, è riuscita a imporsi grazie ai tre voti dei consiglieri di Hamas che l´hanno preferita al candidato di al Fatah, Ghazi Hanania.
Se l´aspettava, sindaco?
«Ad essere sincera, no. Ma sono convinta che era quello che la gente chiedeva».
Cosa?
«Un sindaco che li rappresentasse davvero».
Una donna sindaco a Ramallah è il segno del cambiamento che sta avvenendo nella società palestinese?
«Ramallah è una città aperta e liberale. Lo ha dimostrato anche questa volta».
Cosa chiede la gente ad un sindaco?
«Vuole il cambiamento, chiede rispetto della legge e un certo ordine».
Perché non ha ottenuto tutto questo finora?
«Perché non c´erano mai state delle elezioni e la popolazione non si era potuta esprimere. C´era molta disillusione, sfiducia, rabbia. Ma la colpa non è di Abu Mazen».
E di chi è la colpa?
«Di al Fatah, non certo del presidente. Al Fatah ha molte responsabilità per quello che è successo in passato e per quello che sta accadendo ora. Rappresenta l´Autorità nazionale palestinese».
Lei si è candidata in una lista indipendente. Ma ha avuto il sostegno del Fplp e di Hamas. Crede di poter conciliare così diverse posizioni? «Il negoziato fa parte della politica. E poi si tratta di persone. Le persone le hanno votate per quello che fanno, non per il partito a cui appartengono».
Quali sono le priorità di Ramallah?
«Aprire le porte del Municipio alla gente. Ristabilire un contatto tra politica e società civile».
In che modo?
«Parlando, ricostruendo, formando dei comitati di quartiere, delle circoscrizioni. Far capire che l´amministrazione non è qualcosa di astratto, ma il punto di riferimento della città. Restituire fiducia».
Impresa difficile?
«Ma non impossibile. La città ha bisogno di servizi pubblici, rilanciare l´economia nei quartieri storici, organizzare strade e parcheggi».
Ci sono i fondi?
«Ricorreremo alle finanze pubbliche. Chiederò alla gente di pagare le tasse».
In che modo?
«Applicheremo il 20% di sconto. Non tutti hanno i soldi, ma sappiamo che il 40% della popolazione è in grado di mettersi in regola».
Di quanti soldi ha bisogno l´amministrazione?
«Di circa 7 milioni di dollari. Li investiremo nei servizi pubblici, nell´elettricità, nella rete idrica. La gente vuole cosa concrete e vuole che tutto sia fatto in modo trasparente».
Quali rapporti avrà con Israele? Affronterà il tema del muro divisorio?
«Il Muro è un problema del governo centrale. Affronterò con Israele il problema dei valichi. Creano disagi, impediscono la circolazione delle merci, il rilancio dell´economia locale. Dovremo arrivare ad una soluzione diversa».
E i rapporti con Hamas?
«Normali. Ci sono tre consiglieri nella giunta. Persone molto efficienti. Persone, non uomini di apparato del partito».
Lei è una cristiana, Hamas è un movimento religioso islamico. Riuscirà a conciliare opinioni e usi diversi?
«La società palestinese è varia, raccoglie al suo interno religioni e costumi differenti. Ma ha un´identità nazionale che la unisce. Il nostro ruolo è amministrativo non politico. Dobbiamo gestire una città, con i suoi problemi concreti».
Come è stata accolta la sua elezione?
«Guardi quanti fiori, quanti messaggi. Sono travolta dalle telefonate. Uomini, donne, i miei studenti. Leader politici e uomini di Stato esteri. Chiama la gente comune, quella che mi ha spinto a candidarmi, che mi ha votato. Anche i miei avversari».
E cosa le dice la gente?
«Mi chiede di cambiare, di far rinascere Ramallah. Questa città è distrutta, sta lentamente morendo».
Dovrà fare i conti con lo scontro interno ad al Fatah.
«Al Fatah dovrà fare i conti con il successo di Hamas. E con la paralisi che la sta disgregando».
Lei difende Abu Mazen. Se fosse al suo posto cosa farebbe?
«Sarei molto più vicino alla gente, parlerei con loro, ascolterei di più e agirei in modo più deciso».
Perché è entrata in politica?
«Amo la mia terra e la mia città. Le vedevo dissolversi, chiudersi, morire lentamente. Come tutti avevo il cuore che grondava di tristezza. Dovevo fare qualcosa, non potevo più assistere a questa distruzione. Ne ho parlato con la gente, con i miei amici, colleghi. Sono stati tutti entusiasti. Mi hanno sostenuto, eletto».
L´aspetta un compito titanico.
«Lo so bene. Ma sono una donna e quando una donna decide di fare qualcosa ci riesce sempre».

da Libero l'articolo di Andrea Morigi:

Betlemme vuole mettere una tassa sui cristiani
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VICTOR BATARS EH > conflitto di coscienza per il sindaco della città in cui è nato il salvatore: lui è cattolico ma è al potere grazie ai voti di hamas. e l'organizzazione estremista ha promesso che, se l'amministrazione verrà confermata dalle urne a gennaio, introdurrà la jizya, il " pizzo" che la legge islamica impone ai seguaci di gesù che vivono in territorio musulmano T orna la tassa contro gli infedeli. Se Hamas vincerà le elezioni del 25 gennaio, i cristiani palestinesi dovranno pagare la jizya, che il Corano prevede alla sura 9,29. Sono dhimmi, cioè " protetti", secondo la legge islamica, dunque devono sborsare un extra, una specie di " pizzo islamico", per essere lasciati estinguere in pace. Perfino a Betlemme, luogo di nascita di Nostro Signore. Duemilacinque anni dopo, la cittadina è ora amministrata da un sindaco cattolico, Victor Batarseh, militante della formazione di sinistra Fronte popolare per la Liberazione della Palestina, ma eletto grazie ai voti di Hamas e della Jihad islamica. Lui è contrario al progetto, anche per un fatto personale. Ma è un primo cittadino di serie B, almeno rispetto al consigliere comunale di Hamas, Hassan El Masalmeh, che si è conquistato una pagina del Wall Street Journal del 23 dicembre annunciando che « noi di Hamas un giorno o l'altro introdurremo questa imposta » . In aggiunta alle altre, comuni a tutti. Del resto, sono le regole applicate per oltre un millennio nel Califfato e poi nell'Impero ottomano. E, spiega Masalmeh, « accogliamo chiunque in Palestinamasoltanto se accettano di vivere sotto le nostre regole » . Per uno strano fenomeno di ribaltamento della percezione della realtà, se in Europa si chiede agli immigrati di adeguarsi alle leggi scatta l'accusa di razzismo, ma l'imposizione della sharia da parte degli estremisti islamici agli autoctoni non musulmani, invece, appare come l'esercizio legittimo di un diritto. Al di là di ogni diritto. Proprio tramite la jizya, associata a un complesso di misure altrettanto discriminatorie, nel corso dei secoli, è stato realizzato il disegno di estinzione delle minoranze religiose nei Paesi musulmani. Storicamente determinante si è rivelato il fattore demografico, in un sistema che vietava sotto pena di morte la conversione dall'islam, ma non all'islam. Mentre i califfi e i sultani esigevanouncontributo annuale fisso dalle comunità degli infedeli, nel frattempo questi ultimi diminuivano numericamente, a causa delle persecuzioni e degli esili più o meno volontari. Sebbene fossero ridotti a quantità sempre più esigue, cristiani ed ebrei dovevano pur sempre versare il totale stabilito in origine. E, fatalmente, quel meccanismo finiva per produrre sempre nuove conversioni all'islam, al solo scopo di sfuggire a un'imposizione fiscale divenuta di anno in anno più insostenibile. Ora, celandosi dietro i cristiani progressisti che vanno incontro al proprio suicidio politico, la Mezzaluna sferra una nuova offensiva. Ieri un'altra cristiana, Janette Khouri è stata eletta sindaco di Ramallah, la città della Cisgiordania dove ha sede il quartier generale dell'Anp. Pur essendo un'indipendente del Fplp, ha ricevuto il voto favorevole di nove dei 15 membri del consiglio comunale, tra cui i tre di Hamas, coalizzati contro Al- Fatah, il partito di Abu Mazen. Ha accettato la carica, mettendo a rischio la sua stessa sopravvivenza.

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